L’esito delle elezioni regionali in Calabria e, soprattutto, in Emilia-Romagna, era atteso con ansia (di speranza o di timore) da molti. Da Salvini, che sperava di portare una leghista alla guida di una regione rossa ben più importante dell’Umbria; dal centrosinistra, che al pari del suo avversario si giocava moltissimo sulla riconferma di Bonaccini; dal M5s, in crisi di leadership e ridotto ai minimi termini a livello locale; non ultimo dal governo, il cui destino sembrava appeso al verdetto emiliano.
L’esito delle consultazioni, a parte le solite incertezze riguardo l’affidabilità degli exit poll (stavolta sostanzialmente corretti), non sembra difficile da decifrare: sparisce il M5s, ritorna il bipolarismo e, con esso, la fedeltà politica storica di due aree d’Italia – a sinistra l’Emilia-Romagna, ai conservatori la Calabria.
Sulle indicazioni e conseguenze del voto si interrogano oggi le nostre Dieci Mani.
Leonardo Croatto
Come dicevo per il caso inglese, i numeri delle elezioni possono essere letti in molti modi, ottenendo con poco sforzo la conferma a qualsiasi ipotesi.
In questo senso, se in Emilia-Romagna le percentuali danno vincente Bonaccini e la Borgonzoni sconfitta, l’entusiasmo costruito intorno ad un presunto trionfo del candidato della coalizione a trazione PD appare abbastanza poco misurato.
I dati delle ultime tre elezioni regionali (2010/2014/2020) vanno in questo ordine:
SX: 1.197.789 / 615.723 / 1.195.742
DX: 844.915 / 347.736 / 1.014.672
M5S: 161.056 / 167.022 / 80.823
Appare abbastanza evidente come nella tornata del ’14, caratterizzata da un’affluenza bassissima, le coalizioni di destra e centrosinistra abbiano visto calare massicciamente il rispettivo numero di voti in confronto al ’10, mentre il Movimento ha ottenuto più o meno gli stessi consensi.
In conseguenza di questi dati, l’impressione è che queste elezioni abbiano semplicemente visto tornare a votare gli elettori di centrosinistra e di destra che non avevano votato alle elezioni precedenti, mentre il Movimento ha perso la metà esatta degli elettori. Ma, mentre Bonaccini ha ottenuto esattamente gli stessi voti di Errani nel ’10, la Lega è cresciuta di circa 170.000 voti rispetto a quelle elezioni.
Ancor più disastroso per il centrosinistra il confronto in Campania: a parità di elettori (circa il 1.895.000 votanti a queste e alle precedenti elezioni) Callipo ha preso 245.000 voti circa, mentre il suo predecessore fu eletto con 490.000 voti circa. Il racconto di una tornata elettorale costruito solo sulla rappresentazione della competizione tra i candidati governatore non aiuta affatto a capire la mobilità dei consensi, mentre analizzando la numerosità degli elettori è molto più chiaro capire in che direzione si spostano le masse dei voti, e non sembra proprio che che la direzione sia quella dei partiti di sinistra o di centrosinistra.
Nonostante lo scampato pericolo, non si capisce proprio cosa abbia da festeggiare il principale partito del centrosinistra: in Calabria il candidato della coalizione ha perso disastrosamente, mentre in Emilia-Romagna solo la paura di Salvini ha spinto elettori disamorati a tornare alle urne.
Piergiorgio Desantis
La battuta di arresto della Lega e di tutto il centrodestra è indubbiamente un segnale positivo nel panorama politico (asfittico) italiano. Che la gioiosa macchina da guerra salviniana si sia bloccata intorno all’Emilia parla di un contesto locale animato di movimenti di piazza (vedi Sardine) ma anche di una struttura sociale e un ceto produttivo regionale che continua, sebbene con grandi difficoltà, a tenere. Nonostante non si siano ripetuti gli esiti elettorali della vicina regione umbra, altro ex feudo rosso, dove l’onda verde-nera aveva fatto strame di un glorioso passato operaio, restano tuttavia intatte le ragioni per cui l’avanzata delle destre è stata così subitanea e veloce.
Le enormi e crescenti disuguaglianze, ad esempio, sono venute ben prima della destra sovranista. A ciò si aggiunga che la crescente precarietà e la mancanza di lavoro per i salariati e per le salariate italiane crea l’humus fecondo di tutti i tipi di destre (da quelle xenofobe a quelle liberiste, spesso intrecciate) e sono solo alcuni dei problemi che da alcuni decenni attanagliano milioni di famiglie. Il governo in carica, pertanto, o riesce a aggredire almeno le rendite (per non parlare degli enormi profitti che, nonostante la crisi perdurante, si continuano a realizzare) e a sviluppare una ricostruzione economica e industriale nazionale oppure, la vittoria di salvini e del mondo a esso collegato sarà inevitabile.
Dmitrij Palagi
La Lega rimane il principale soggetto politico del Paese. Il Partito Democratico vede messo tra parentesi Renzi, mentre intorno a se ha lasciato macerie. Mentre nelle due regioni tutta la destra ha marciato compatta il Movimento 5 Stelle confermano una situazione molto fluida nella politica italiana. Completamente devastata è la sinistra. Elly Schlein brilla, la sua lista un po’ meno, specialmente perché il resto è davvero non pervenuto (la gara a chi si avvicina allo 0,5% tra gli ultimi tre arrivati, superati dalla lista sui vaccini è davvero un punto basso della storia repubblicana italiana). Salvini ha minato l’idea stessa dello stato di diritto, citofonando, ma la sensazione è di una mobilitazione emiliano-romagnola che ha accolto l’invito a salire sulle barricate contro il fascismo, in una regione dove cinque anni fa in pochissimi si erano recati alle urne.
Quanto può reggere una sinistra frantumata e priva di progetto, di visione? Mentre è al governo nazionale con un partito che risulta non godere più di consenso nel Paese. Questo è. Un Partito Democratico debole (forse in ripresa?), Italia Viva che non si capisce cosa voglia fare, Liberi e Uguali che esiste solo in parlamento (come soggetto politico), alleati a un Movimento 5 Stelle in ginocchio. Fuori dal Parlamento imbarazzo e disperazione.
Ci sarà anche da tirare un sospiro di sollievo, ma pare davvero una magra consolazione quella di cui ci si sta accontentando nella sinistra del Paese.
Jacopo Vannucchi
Durante la controversia che, alle presidenziali Usa del 2000, oppose Bush e Gore riguardo i riconteggi in Florida, l’allora Presidente Clinton disse: «il popolo americano ha parlato, anche se nessuno ha capito cosa ha detto».
Quella frase resta a mio parere un monito a non dare mai per scontate le indicazioni dell’elettorato e a cercare di analizzarle oltre il dato finale, che altrimenti rischia di essere letto al modo del risultato di una partita di calcio.
In Emilia-Romagna l’aumento dell’affluenza ha portato, rispetto alla scorsa tornata del novembre 2014, quasi un milione di voti in più. [1] A chi vanno questi voti in più? In termini assoluti i principali beneficiari sembrano la Lega (+491.000), il PD (+336.000), Fd’I (+162.000) e le forze coalizzate di centrosinistra (+103.000). Chi perde? Il M5s (-58.000), Forza Italia (-45.000), il centro totalmente scomparso (-32.000) e la sinistra radicale (-19.000). In termini relativi i vincitori sono senza dubbio la Lega, che passa dal 19 al 34%, e Fd’I che balza dal 2 al 9%. Crollo invece per i partiti di Grillo (dal 13 al 5%) e di Berlusconi (dall’8 al 3%). Sostanzialmente stabile la coalizione di Bonaccini, che slitta leggermente dal 50 al 48%.
Quindi appare chiaro che il rimescolamento è tutto interno alle forze di destra o, come si diceva qualche anno fa, “populiste”.
Eppure l’Istituto Cattaneo dice che Bonaccini ha vinto grazie ai voti degli ex grillini (vedi qui) È vero, se si fa riferimento – come fa l’Istituto – ai grillini delle politiche 2018. Se invece il confronto è con le regionali 2014, la destra raccoglie oggi il 45,4%, distante di pochissimo dal 45,6% aggregato spartito nella scorsa tornata tra destra, 5 stelle e Nuovo centrodestra. In sintesi: il nucleo duro del M5s è stato assorbito dalla Lega, mentre i voti provenienti “da sinistra” e persi dal PD verso i 5 stelle dopo il 2014 sono adesso ritornati all’ovile. È presto però per dire se l’annichilimento del M5s a livello locale avrà ripercussioni nazionali, visto che si tratta di un partito da sempre molto più forte alle consultazioni nazionali (e la buona amministrazione emiliana è stata probabilmente un fattore non ininfluente nell’orientare le scelte per Bonaccini) [vedi qui].
Scendendo più nel dettaglio, sebbene l’aumento di affluenza rispetto al 2014 pare aver riguardato tutto lo spettro politico, la proporzione dei dati non è rimasta immutabile sul territorio. Il centrosinistra continua l’andamento storico di arretramento nei comuni rurali, specie in quelli montani, mentre recupera fortemente nelle zone industriali (specie nella cintura bolognese). Un recupero compatibile con le ricostruzioni secondo cui nel 2014 la Cgil avrebbe invitato all’astensione per protestare contro il Jobs Act allora varato dal Governo Renzi.
Anche la geografia urbana sembra confermare – almeno per quanto riguarda Bologna [vedi qui] – il fermo insediamento popolare del PD. Se si confrontano i dati elettorali delle varie zone rionali vediamo che prevalgono nei quartieri proletari il PD, il M5S e il PC. Ossia, viste le consistenze numeriche, il PD è *il* partito popolare. Prevalgono nelle zone borghesi, invece, Forza Italia, Fratelli d’Italia, +Europa, la Lista Bonaccini e la lista “Coraggiosa” di Elly Schlein (che per sua malasorte – chiedere a Pisapia – pare essere diventata la paladina della sinistra liberal dell’ex Gruppo Espresso). Hanno, invece, risultati di fatto affini in entrambe le zone: Potere al Popolo, la Lega, e L’Altra Emilia-Romagna.
Una riflessione andrebbe anche fatta sul 48% di Bonaccini, che è identico al 48% che il Pci prendeva da solo negli anni Settanta-Ottanta. Simbolo a mio parere non di un arretramento del campo vasto del centrosinistra, bensì al contrario di un immobilismo dei bacini di riferimento a dispetto dei mutamenti di sigle e denominazioni partitiche.
Una nota infine riguardo la Calabria. Nella sua storia è passata a sinistra solo in due occasioni, due volte in cui la sinistra si è trovata al picco massimo di consensi:
1) Nel 2005, quando alle regionali L’Unione segnò il clamoroso 12 a 2 contro la CdL. All’epoca non poco personale politico di Forza Italia era passato, nel Sud, al centrosinistra (Udeur, Margherita), con clientele al seguito (esempio di punta: Pietro Fuda).
2) Nel 2014, dopo il 41% alle europee del Pd, che arrivò a controllare con la Calabria 18 regioni italiane su 20.
La vittoria della destra oggi riporta la Regione alle sue condizioni politiche di normalità. Più che su questo risultato (pure interessante per la grave crisi del M5s e per i rapporti di forza interni alla destra) parrebbe utile interrogarsi sulle condizioni che permisero la vittoria del centrosinistra e sulle cause, prevalentemente nazionali, delle successive sconfitte.
[1] Per i dati seguenti ho sommato i risultati delle liste civiche di Bonaccini e Borgonzoni a quelli dei rispettivi partiti (PD e Lega).
Alessandro Zabban
Salvini fallisce in Emilia Romagna il colpo del ko, quello che per la sua pregnanza simbolica avrebbe avuto dei riflessi profondi sulle dinamiche della politica italiana. Il centrosinistra può tirare un sospiro di sollievo ma la situazione politica resta piuttosto chiara: la destra è vincente quasi ovunque e anche se perde in alcune regioni rosse, perde di poco. Il trionfo in Calabria, passato un po’ sottotraccia, mostra una destra che pur rimanendo a trazione leghista, riesce a vincere nettamente anche al Sud grazie ai voti forzisti.
La sparizione del 5 Stelle riporta in auge un bipolarismo centrodestra – centrosinistra (o sarebbe meglio dire destra – centro) che la crisi economica aveva distrutto. Ma appare subito come un bipolarismo asimmetrico e distorto in cui mentre la destra estende la sua forza attrattiva, il centrosinistra raccatta voti agitando lo spauracchio del fascismo e del razzismo piuttosto che sulla costruzione di un consenso politico.
La regione rossa come prassi di politiche di mutualismo e solidarietà non esiste più. Esiste solo un esigua maggioranza di persone sapientemente mobilitate (non stupisce il ringraziamento di Zingaretti alle sardine) contro il razzismo becero e l’estremismo di facciata (la sostanza mostra forze liberiste e atlantiste). Questo meccanismo è quello che ha contribuito a condannare ancora più all’irrilevanza le forze politiche della sinistra di classe. La logica del voto utile e del “meno peggio” ha ridato vigore al centrosinistra e a quei pezzi di classe dominante non troppo in sintonia con Salvini ma che hanno contribuito all’impoverimento del paese (a vantaggio dei soliti super ricchi).
Immagine da www.wikipedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.