Di Giuseppe Adduci
Alcune semplici considerazioni si possono fare in modo molto sintetico. La Destra non passa in Toscana, e questo ci fa molto piacere; il PD stravince, e questo non ci rende certo particolarmente ottimisti circa il futuro della nostra regione. Su base nazionale la Destra non dà la “spallata” al Governo PD – Cinque Stelle che, presi singolarmente registrano: un buon risultato il PD e una clamorosa sconfitta i Grillini. Il Governo nazionale probabilmente durerà, a causa del timore che i suoi componenti hanno di elezioni anticipate. Tanto più che il numero dei Parlamentari viene ridotto di un terzo dalla vittoria del SI al referendum.
E, a proposito del referendum, nel quale ci siamo spesi per il NO, va detto che qualche dubbio sulla portata costituzionale nella vita politica attuale forse è legittimo. La Destra invoca elezioni immediate perché la composizione attuale del Parlamento risulta non conforme alla nuova previsione costituzionale. Gli altri fanno leva sul fatto che l’attuale Parlamento deve portare a compimento il mandato ricevuto dagli elettori, fino alla sua scadenza prevista. Tutti vedono che la Destra spera in un momento che ritiene a sé favorevole per fare ora le elezioni, mentre le forze di maggioranza temono di perdere appunto tale maggioranza. Da un punto di vista quindi si invoca la nuova previsione costituzionale, che renderebbe illegittima l’attuale composizione del Parlamento; mentre dall’altra parte si invoca la previsione della legge costituzionale stessa che prevede che la sua applicazione decorra dalle future elezioni, lasciando quindi in vita il Parlamento nella sua attuale composizione. Non ci lanciamo in questa disputa, sottolineando invece la vittoria di un qualunquismo perfino banale, che ha trasformato agli occhi degli elettori il numero dei Parlamentari in un mero problema di costi, col risultato di ridurre la rappresentanza democratica. Non possiamo però sottacere che uno degli argomenti a favore del NO, e cioè che con la riduzione dei Parlamentari si diminuiva la rappresentanza dei territori, è stato contestato dai fautori del SI che hanno ricordato che la Boschi, per essere sicura di essere rieletta alla Camera, si era presentata nel feudo democristiano di Bolzano, che con il territorio della sua Toscana non aveva niente a che fare. Come dire che Renzi è come le lumache: lascia la scia.
Il voto odierno ci conferma una realtà, sia su base regionale che su base nazionale. Una realtà che non avrebbe senso ignorare. Appare ormai certo che lo “spazio politico” sia delineato in un certo modo.
1° – Il 50 %, più o meno, (diciamo dal 40 al 50%) degli elettori non va a votare.
2° – Una vera sinistra, organizzata e forte, non c’è più, non trovando spazi di rappresentanza se non marginali, sia a livello locale, che regionale, che nazionale.
3° – La politica è oggi egemonizzata da tre tendenze e dai partiti che le incarnano: i liberali (Partito Democratico e Forza Italia –che ormai non è più soltanto il partito-azienda delle leggi ad personam); la destra forcaiola e razzista; i qualunquisti “né di destra né di sinistra” e quindi di destra, come dimostra il fatto di avere governato fino a un anno fa con una ben qualificata forza di destra, qualunquisti che, in quanto tali, non hanno un programma politico che vada oltre l’immediata ricerca del consenso.
Bisogna quindi chiedersi perché questo accada.
I passi compiuti dalla politica italiana in questa direzione sono tanti. Sintetizzando, possiamo dire che il sistema elettorale maggioritario ha innescato la polarizzazione degli schieramenti spingendo i partiti a schierarsi su due fronti contrapporsi con una semplificazione della dialettica politica. L’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di regione ha ulteriormente contribuito a spingere verso la bipolarità.
La celebrata “fine delle ideologie”, che in realtà non era affatto una conseguenza necessaria della caduta del “muro di Berlino”, (come la si volle etichettare), ha spinto verso una omologazione dei partiti, con la conseguente perdita della identità politica e sociale. Peraltro, quando il Partito Comunista Italiano di allora cambia nome la sua mutazione era già iniziata, con l’affermarsi di una vocazione industriale e finanziaria (COOP e Unipol).
Poi il “craxismo” mutò il Partito Socialista in un partito senza più un riferimento sociale operaio, e sostanzialmente interessato alla conquista e al mantenimento del potere nell’interesse della sua dirigenza, nazionale e locale. La liberalizzazione dell’emittenza televisiva, allora concessa da Craxi, consegnò a Berlusconi uno strumento, prima strisciante e poi scoperto, di manipolazione del consenso, che qualche anno dopo lo avrebbe portato addirittura alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L’ex PCI, cambiando ben tre volte il nome, scivolava verso un’alleanza organica con gli epigoni della sepolta Democrazia Cristiana, i quali erano invece ben vivi, come dimostra il fatto che tuttora egemonizzano il PD.
E così si arriva al bipolarismo “Centro-destra” e “Centro-sinistra”. Con l’andare del tempo il primo va sempre più a destra, col lento tramonto del condannato ex Presidente e con l’ascesa della rinnovata Lega e dei neo-fascisti. Il Centro-sinistra, grazie a una progressiva deriva moderata e all’accelerazione imposta da Renzi, perde ogni connotato di sinistra e diventa di “centro”: ma qui bisogna capire che senso ha il termine “centro”, se non un richiamo alla storia della DC; in realtà l’accettazione del liberismo, delle privatizzazioni, ecc., significano Destra sia pure nel “nobile” senso di Liberale.
Nel frattempo era forse inevitabile che nascesse nel Paese una qualche repulsione per questo stato di cose; quello che accade col “grillismo”, però, è la esplosione di una rivolta qualunquista contro la “politica” come categoria in sé, contro i partiti in quanto tali; e questa forma di ribellismo registra una aggregazione di consensi elettorali che si catalizza su slogan sostanzialmente privi di programmi, con la fierezza proprio di non avere programmi, non essendo “né di destra né di sinistra”. E questo exploit di consensi, nel breve volgere di un anno o poco più, si affloscia, perché questo “movimento”, andato al governo prima con la Lega, poi col PD, inciampa proprio sulla sua mancanza di visione politica e sulla assenza di veri programmi.
E si rafforza il bipolarismo, con due schieramenti, di fatto entrambi di destra: uno con la destra estrema e con i liberali di Forza Italia, l’altro con i liberali del PD. E la terza forza, i Grillini, che oscilla di qua e di là, e che rimane al Governo, pur diventando marginale nel Paese, come dimostrano i voti nelle elezioni regionali e locali.
L’elettorato più schierato a destra sa cosa fare; invece tra gli altri è successo che molti hanno creduto alle Sirene che cantavano che il PD è di sinistra, e il gioco è fatto! Così in Toscana la previsione di un testa-a-testa sbandierata da tutti i mass media ha polarizzato i voti, col risultato che chi avrebbe votato le pur minoritarie forze realmente di sinistra, per paura della destra fascistoide ha votato il candidato del PD. Poi il testa-a-testa non c’è stato, ovviamente, e il candidato del PD (tra l’altro un ex del Partito di Craxi), ha stravinto.
Ed è così che andremo avanti, d’ora in poi in Italia: col bipolarismo, che tanto incantava Veltroni, Prodi, Berlusconi ecc… E con la metà dell’elettorato che non va a votare perché molti hanno capito che il centro-sinistra non è di sinistra, e tanti altri perché hanno capito che la chiamata alla rivolta dei Grillini era sterile, inaffidabile e priva di contenuti propositivi. Vero è che stavolta in Toscana ha votato il 65 % degli elettori, ma è chiaro che questa affluenza è frutto del terrorismo mediatico sulla chimera del testa-a-testa.
Se poi spostiamo l’attenzione sulla società e sulle dinamiche delle classi sociali, constatiamo che una classe operaia, con le caratteristiche che aveva fino a qualche decennio fa, oggi non c’è più, nel senso che è profondamente cambiata, come del resto è cambiata la produzione. Classe parcellizzata, sfiduciata, senza più la certezza delle tutele sulla stabilità del lavoro: ricordiamo il cosiddetto Jobs Act, l’abolizione dell’obbligo di riassunzione in caso di licenziamento illegittimo, la precarizzazione selvaggia e la mancanza di prospettive che ne deriva, i tentativi di emarginare i Sindacati, la contrattazione aziendale ai danni di quella nazionale per potere ricattare i lavoratori, ecc.). E per giunta quelle norme europee che favoriscono i capitalisti con la convenienza della delocalizzazione, che comporta la chiusura delle fabbriche italiane, come la cronaca ci ricorda spesso).
E quindi un Partito come Rifondazione, di ispirazione marxista, che in epoca post PCI ha avuto un suo ruolo importante in Parlamento – e perfino nel Governo!- e che negli ultimi anni, per le vicende politiche e sociali di cui si è ora detto, ha visto sgonfiare il consenso dell’elettorato fino a diventare extra-parlamentare, che prospettive ha ? Sicuramente scarse e comunque può averne non proprio nell’immediato ma in un futuro, forse anche prossimo, se riesce a far conoscere i propri valori e i propri programmi a un pubblico numericamente rilevante. Il cosiddetto “Partito sociale” cioè l’impegno nel mutualismo e nel volontariato, è ovviamente una esperienza da continuare, ma non è bastato e non può bastare, perché si rivolge a una ristretta fascia sociale, che a volte rischia di confonderlo col concetto di carità. Quello che serve per tentare di risvegliare una coscienza politica di classe, è portare a conoscenza del pubblico quali sono i conflitti politici e sociali, a livello nazionale e locale, che incidono sulla vita delle persone e delle famiglie, nonostante i messaggi rassicuranti del martellamento televisivo.
Parole chiare sul precariato, sulle discriminazioni nel lavoro, sulle conseguenze delle privatizzazioni nel campo della sanità, della scuola, dei trasporti, dell’acqua, dell’energia, sul ricatto che subiscono i lavoratori degli appalti, sulle norme europee che legittimano questi esiti, sull’immigrazione, sulla discriminazione delle donne, ecc…
Abbiamo appena visto i risultati scoraggianti che ha prodotto il focus mediatico sul testa-a-testa in Toscana. Il candidato presidente Tommaso Fattori, portatore di un messaggio chiaro, onesto e aperto, della lista “Toscana a Sinistra”, di cui faceva parte Rifondazione, non ha avuto la possibilità di ascolto che avrebbe meritato nei mass media -anche perché Consigliere regionale e Capogruppo uscente-, che invece si sono concentrati sull’ossessivo scontro bipolare. E il buon risultato individuale ottenuto dai candidati della lista e segnatamente da quelli che ha presentato Rifondazione, è stato penalizzato da questa mancanza di tribuna.
I contenuti giusti la Sinistra -e Rifondazione in particolare- li ha, ma d’ora in poi la sfida dovrà anche essere nel trovare i canali per fare emergere tutto ciò e portarlo a conoscenza di chi oggi è irretito dalla subdola e strisciante propaganda mediatica sulla inevitabilità dello status quo. E quindi continuare a essere presenti sui mezzi di comunicazione informatica; fare il possibile per farsi ascoltare sempre di più dalle emittenti televisive locali; rivolgersi con continuità agli organi di stampa per trovare ospitalità, ecc.
Solo con un costante, duro, non facile lavoro di questo tenore, può esserci la speranza di risvegliare le coscienze di chi voglia contrastare la deriva del messaggio liberista che sta monopolizzando la cosiddetta opinione pubblica. Se questa è la strada, va percorsa con convinzione, e senza fretta di vedere i risultati, ma tenendo fermi gli obiettivi.
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