Se è vero che l’Umbria è una regione piccola, numericamente poco significativa, come ci ha tenuto a far notare – con una certa malagrazia – uno di quelli che aveva paura di perdere, è anche vero che 700.000 abitanti sono comunque un bel test per misurare i nuovi assetti della politica italiana e la tenuta del governo. E, ovviamente, non sfugge a nessuno la potenza simbolica di un’elezione che ha consegnato in mano alla destra una regione tradizionalmente rossa a pochi mesi di distanza da altre regionali pesanti.
Leonardo Croatto
Sono molteplici le dinamiche politiche che sono state sottoposte a misura: un PD fresco di scissione sottoposto al voto in una regione in cui la dirigenza locale è stata travolta da una serie di scandali, in alleanza con un Movimento la cui narrazione di partito anti-establishment confligge con l’esperienza di governo.
Dalla parte opposta una destra a trazione leghista in cui Forza Italia è diventato terzo partito, condannato all’irrilevanza e scavalcato da Fratelli d’Italia. A livello nazionale l’aggregatore di sondaggi della rivista Politico stima i consensi della Lega di Matteo Salvini, nonostante una importante flessione dopo l’uscita dal governo, al 33%, che con FdI all’8% e FI al 7% danno un’alleanza di destra al 48%; la somma delle medie dei risultati dei sondaggi per l’attuale alleanza di governo è ben sotto questa cifra: PD e M5S al 19 % ognuno, IV al 5% e il resto della sinistra intorno al 2%, praticamente sotto il limite di sensibilità delle rilevazioni.
Con questi numeri è difficile immaginare per M5S e PD una strategia diversa da quella attuale: di fatto un grande patto di mutua tutela da ripetere in tutte le prossime regionali e da accompagnare con una forte azione governativa volta ad assicurare – anche strumentalmente – il consenso di ampie fasce popolari da spendersi poi elezione territoriale dopo elezione territoriale fino alle prossime nazionali, ma oramai abbiamo avuto prova più volte delle perversioni autolesioniste che hanno caratterizzato l’azione dei due partiti nel recente passato. All’opposto, la destra è sempre stata capace di costruire solidi patti di collaborazione: prospettiva inquietante, viste le regioni in ballo nel prossimo futuro.
Piergiorgio Desantis
L’avanzata trionfale delle destre alle elezioni in Umbria, probabilmente, ci sarebbe comunque stata senza la presenza del governo Conte bis. Le questioni nazionali hanno schiacciato le questioni locali che erano tante e gravi: dalla desertificazione economica e sociale agli scandali in ambito sanitario fino alla disoccupazione e alla precarietà sono il terreno fecondo dove il richiamo della destra di Salvini ha già attecchito da tempo e senza problemi.
Oltre alla strada spianata, chi si opponeva al chiaro progetto salviniano era veramente ben poca cosa: raccogliticcio e senza alcun progetto. A ciò si aggiunga il governo nazionale, frutto dell’accordo M5s/Pd, che continua a galleggiare, come se ci fosse la bonaccia e invece c’è mare grosso (anche a livello internazionale). La finanziaria messa in campo contiene misure assai deboli e inefficaci per ridare fiato ai ceti colpiti dalla crisi. Una debacle totale, senza prova di appello, dal punto di vista ideale, dei provvedimenti e della gestione di alleanze o convergenze che ci parla di come, ancora una volta nella storia, dalle crisi si esca da destra.
Per fermare questo solco già ampiamente tracciato, servono provvedimenti chiari e risorse da investire: da un piano straordinario di assunzioni in ambito pubblico (carenza dell’organico statale in tutti i comparti), una patrimoniale che colpisca rendite e grandi patrimoni e possa redistribuire le risorse, una nuova politica industriale nazionale che gestisca e rilanci le centinaia di medie imprese italiane che chiudono sono solo alcune delle idee che possono essere messe in campo.
Dmitrij Palagi
Il numero delle persone interessate dalle elezioni regionali dell’Umbria è tra i dati più citati nelle prime ore seguite alla chiusura delle urne. Spesso i dettagli possono aiutare a incassare le sconfitte. Il punto non può essere però sottolineato. Il Partito Democratico “spostato” a sinistra, privo di Renzi, perde l’ennesimo territorio simbolico in cui governava da quando era nato. Il gruppo dirigente locale e quello nazionale si sono dimostrati incapaci e inadeguati, secondo l’elettorato. La sinistra non ha avuto la capacità di offrire altre risposte. Sinistra Civica Verde (la sinistra rientrata nel campo del centrosinistra, dove sono confluiti pezzi di Sinistra Italiana e una parte di Rifondazione Comunista, fuori linea rispetto al livello nazionale): 6.727 voti, 1,61%. Partito Comunista (quello “di Rizzo”): 4.108 voti, 0,98%. Partito Comunista Italiano (in qualche modo legato al “fu PdCI di Diliberto”): 2.098 voti, 0,50%. Potere al Popolo (area rimasta con lo stesso nome delle elezioni nazionali, nonostante la fuoriuscita di Rifondazione, Sinistra Anticapitalista e altri): 1.345 voti, 0,32%. Il tutto in una regione storicamente definita “rossa”.
Se il Movimento 5 Stelle gioca in realtà le sue partite sul piano nazionale, sempre molto debole a livello di amministrative ed enti locali, c’è davvero un messaggio importante che riguarda il vasto campo della sinistra. Inesistente, con il Partito Democratico sempre più simile a una ridotta, dove convivono sconfitti e/o presuntuosi. Sicuramente l’Umbria non ha un peso significativo sul piano nazionale, ma davvero sottovalutare un segnale, che si aggiunge coerentemente ad altri segnali, e quindi non è isolato, sarebbe la certificazione di come nel breve periodo non ci siano speranze…
Jacopo Vannucchi
Il risultato umbro, che vede la vittoria della destra per la prima volta dal 1970, è certamente storico, ma non inatteso. Già nel 2014 il Comune di Perugia era andato a destra (prima volta dal 1945); nel 2015 il centrosinistra aveva prevalso alle Regionali con un vantaggio del 3,5% (per un confronto, era il 19,5% nel 2010); in seguito, molte amministrazioni locali sono passate a destra.
La dinamica umbra si inserisce all’interno di un fenomeno che, un tempo presente solo negli Stati Uniti e nel Regno Unito, nell’ultimo decennio si è andato diffondendo in molte aree dell’Occidente: all’antica distinzione tra regioni di destra e regioni di sinistra si sostituisce una tendenza per cui tutte le grandi città si spostano verso sinistra e tutte le campagne si spostano verso destra.
Questo fenomeno in Italia ha molteplici cause: la sensazione di essere tagliati fuori dalla competizione globale, l’incapacità di molti distretti industriali di tenere il passo della grande concorrenza, la paura per l’immigrazione, la scriteriata abolizione delle Province – che, come ricordò Togliatti alla Costituente, sono il vero ente locale intermedio presente nella storia italiana.
Gli scandali umbri, invece, non c’entrano niente. Se l’elettorato fosse sensibile agli scandali non voterebbe la Lega, che ha frodato 49 milioni di euro alle casse pubbliche e ha forse ricevuto (sta indagando la magistratura) finanziamenti stranieri illeciti. Ed è con questo denaro rubato che la Lega è passata dal 4% del 2013 al 34% del 2019, non certo con improbabili “radicamenti sul territorio”.
Di certo è ridicolo addebitare la responsabilità di un fenomeno storico a questo o quel dirigente di turno.
Quello che però si può fare è trarre qualche considerazione sulla gestione della fase umbra a sinistra. A Zingaretti mancarono fin dall’inizio il coraggio o la volontà di prendere una posizione netta sulla Presidente Marini: dapprima invitata in politichese a “prendere la decisione migliore per l’Umbria”, poi rimbrottata per non essersi dimessa. Ma il peggio doveva ancora venire.
Dopo la formazione del secondo governo Conte il PD di Zingaretti ha scientemente perseguito una peculiare linea politica: cedere al M5S su molti aspetti programmatici (Quota 100, riforme costituzionali, decreti sicurezza, ius soli ac culturae, riforma della giustizia, persino il vincolo di mandato) per ottenere, in cambio, alleanze sul territorio – forti dell’affermazione zingarettiana secondo cui «insieme abbiamo il 48%» (ma non in Umbria, pare).
Risultato? Nelle urne umbre il M5S è stato prosciugato, svolgendo il ruolo di mero canale di transito per sifonare voti da sinistra verso destra. Al modico prezzo di una sconfitta in una regione molto piccola (di rilevanza storica, sì, ma per il PD!) il M5S ha:
1. Ottenuto dal PD una resa pressoché totale sul programma governativo;
2. Fatto la figura del poliziotto buono con la “foto di Narni”;
3. Riaperto il “secondo forno” con la Lega;
4. Umiliato il Presidente del Consiglio, reo di fidarsi, pare, più di Zingaretti che di Di Maio.
Chapeau.
Come uscire da questa situazione? Anzitutto prendendo atto della distribuzione del voto: centrosinistra 37,5%; candidati a destra del centrosinistra 60,6% (Tesei, Ricci, Carletti, Pappalardo, Cirillo); candidati a sinistra del centrosinistra 1,9% (Rubicondi, Camuzzi). È evidente che la domanda dell’elettorato è una domanda di destra, pesantemente di destra. È evidente almeno dal 2013 (con una certa dose di provocazione si potrebbe dire dal 1946), ma ora dovrebbe essere chiaro anche ai più riottosi. In una situazione simile resta ancora valida la soluzione degli anni Trenta: si vince laddove non prevalgono i settarismi, si vince laddove c’è l’accordo con la borghesia moderata.
Renzi aveva tentato questa strada, e con successo, prima che essa si arenasse per la volontà di Berlusconi di agganciarsi al carro di Salvini in qualità di mosca cocchiera, come già fece Chamberlain con Hitler. Ad oggi Renzi sembra restare purtroppo l’unico a comprendere le necessità della fase politica e a farne discendere razionalmente una tattica che non sia un disperato annaspare politicista. E quando si è in una coalizione necessaria sì, ma spuria e con un partner contraddittorio, annaspare senza criterio rende più facile che sia il partner a gabbare te, che tu a gabbare il partner.
Alessandro Zabban
La vittoria schiacciante delle forze sovraniste in Umbria non può essere minimizzata. Dopo il Pepeete e la crisi di governo giallo-verde si ipotizzava una Lega in lieve flessione. Se non è andata così è forse anche per il già palpabile scetticismo nei confronti del nuovo governo, che appare ai più litigioso e poco risoluto. Certo, l’Umbria non rappresenta tutta l’Italia, ma la devastante sconfitta dell’accozzaglia PD e 5 Stelle in una ex regione rossa ha del sensazionale. Il PD in quella regione era finito al centro dell’ennesimo scandalo di corruzione e aveva alle spalle la sanguinosa scissione dei renziani, ma è riuscito comunque a fare peggio dei pronostici più pessimisti. Ma la debacle totale è quella del 5 Stelle che esce dalla consultazione con le ossa rotte. Per chi si diceva antisistema e alternativo alla casta, allearsi prima con la destra e poi con il centrosinistra, persino a livello locale, non ha, come era prevedibile, pagato. Sia loro che il PD, che non ha mai impresso una svolta a sinistra da quando ha eletto il nuovo segretario, hanno chiamato all’unità contro l’estrema destra sovranista, pensando di potersi salvare spaventando gli italiani sulle conseguenze nel caso vincessero “quelli là”.
Tutti questi proclami, si sono rivelati ancora una volta del tutto controproducenti. Oltre agli inaffidabili 5 Stelle, i partiti eredi diretti del grande saccheggio neoliberista italiano che ha impoverito il paese, portato alla desertificazione industriale, a privatizzazioni senza senso e alla drastica riduzione di posti di lavoro, diritti sociali e dei salari, PD e Forza Italia, sono stati puniti oltremodo, segno di una crisi sociale e di un risentimento collettivo che permea molti settori della società umbra e italiana.
La cosa che deve far riflettere di più è che il trionfo populista si associa a una crescita decisa dell’affluenza. Questo potrebbe significare che Lega e Fratelli d’Italia non vincono solo perché visti come “i meno peggio”, ma probabilmente perché le loro idee hanno fatto più breccia di quanto si possa immaginare nell’immaginario collettivo, riuscendo a superare la barriera dello scetticismo e della disaffezione politica. Lega e Fratelli D’Italia stanno lavorando alla costruzione di un blocco sociale potenzialmente egemonico che va dagli operai fino ai piccoli e medi imprenditori. L’ostinazione del PD su posizioni centriste e suicide come quelle della SPD tedesca e il trasformismo dei 5 Stelle, che sarebbero dovuti essere i più puri e onesti, è vento in poppa per le destre.
Immagine dettaglio da fotogramma dal film Frankestein Junior
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.