Le elezioni generali in Irlanda dell’8 febbraio scorso hanno visto una decisa affermazione del partito di sinistra Sinn Féin. Molti analisti hanno parlato di un risultato storico e di un vero terremoto nella politica irlandese, visto anche il declino dei due partiti moderati, Fianna Fáil e Fine Gael, che hanno dominato la storia politica recente in Irlanda.
Leonardo Croatto
Che il successo elettorale ottenuto dallo Sinn Féin sia dovuto ad una improvvisa ripresa del nazionalismo irlandese è francamente poco credibile.
E’ molto più facile immaginare che nella Repubblica d’Irlanda, così come in Inghilterra e negli USA, una fetta di popolazione abbia finalmente deciso di togliere il proprio appoggio ai partiti che fino ad oggi hanno sostenuto politiche di “ragionevolezza” liberale, per provare a sostenere un partiti (o candidati, nel caso delle primarie USA) che si presentano con programmi più marcatamente di sinistra. Anche in Irlanda, come negli altri due casi, il voto a sinistra è fortissimo tra i giovani, mentre i più anziani votano più a destra.
Dopo una crisi durissima la Repubblica d’Irlanda ha ricominciato a crescere con ritmi importanti, ma questa grande crescita economica ha favorito i profitti delle multinazionali molto più di quanto ha distribuito ricchezza alle famiglie. Per questo motivo, l’impressione è che gli elettori abbiano voluto scaricare i due partiti della destra storica, Fine Gael e Fianna Fáil, e dirottare i propri voti verso il partito che si è presentato con il programma orientato più a sinistra.
L’unità dell’isola è il primo tema affrontato nel programma dello Sinn Féinn (e ci mancherebbe altro: l’isola è ancora per un pezzo sotto controllo dell’occupante inglese!), ma i capitoli successivi sono tutti dedicati temi sociali: sostegno alla famiglia, ai piccoli agricoltori e alle comunità locali, tutela dell’ambiente, contrasto alla povertà infantile, diritti dei lavoratori.
Purtroppo, l’esplosione di consensi ha colto di sorpresa anche il partito, che molto ingenuamente s’è lasciato scappare diversi seggi in parlamento perché ha presentato troppo pochi candidati, perdendo in una decina di circoscrizioni il secondo eletto.
A questo punto, con tre partiti praticamente a pari merito, il vero enigma sarà la composizione del governo: nessun partito sembra particolarmente entusiasta di partecipare ad una grande coalizione alla tedesca che sulla lunga distanza potrebbe risultare logorante per chi ci partecipa e favorire chi sta all’opposizione.
Piergiorgio Desantis
Le ultime elezioni irlandesi vinte dalla “sinistra nazionalista” (largamente definita in tali termini dai giornali in Italia) di Sinn Fein sono davvero una novità per il panorama politico irlandese e europeo. Al di là della specificità irlandese, una sinistra che unisca i ceti popolari sul tema dell’unificazione nazionale con un programma economico radicale si dimostra vincente. Questa prova elettorale evidenzia che non è premiato un pensiero debole e/o subalterno ma si può vincere senza aver paura delle proprie identità e, anche, del proprio passato. Tuttavia, la presidente di Sinn Fein Mary Lou McDonald, dopo aver preso il posto di Gerry Adams, (e tutto il partito) è riuscita a rielaborare e rilanciare proposte per risolvere alcuni dei problemi storici che hanno contraddistinto il passato, superando la nostalgia di epoche già vissute.
Dmitrij Palagi
Fare come in Irlanda. Per fortuna nessuno lo dice, facendo riferimento a dimensioni collettive di una qualche rilevanza pubblica riconosciuta. Perché imitare presunti modelli astratti non è mai servito ad altro che portare male alle diverse esperienze di “successo” sparse nel mondo. L’Irlanda ha una storia dal forte valore simbolico, oltre a essere attraversata da una particolare stratificazione di complessità. Quello che appare è però un significativo rafforzamento di un’area di sinistra altrimenti disorientata nel resto del sistema britannico (e in tutto il vecchio continente). Sicuramente la storia dello Sinn Fein è fatta di coraggiosa solidità, distante in modo abissale dalla tattica di breve respiro delle altre formazioni gravitanti attorno alla Sinistra Europea (o come la si vuole chiamare). Di sicuro alcuni spunti di quello che fu in Grecia dovrebbero ritornare alla mente. Senza una maggioranza assoluta, governare all’interno del contesto europeo, implica forti limiti di manovra. Occorre avere un piano. “A man with a plan” cantano i Flogging Molly in The Hand Of John L. Sullivan. Vedremo se qualcosa del genere esiste. Nel frattempo si può salutare con un sorriso questo risultato.
Jacopo Vannucchi
La Repubblica d’Irlanda fece già scalpore quando, a ottobre 2013, il popolo respinse sia pur di misura (52-48%) l’abolizione costituzionale del Senato. Personalmente la giudicai, lungi da una dimostrazione di maturità riguardo gli equilibri istituzionali, la vittoria dei legami clientelari-corporativi ancora sopravviventi nel Paese (molto eloquente il peso della circoscrizione della capitale nel risultato finale).
Oggi la notizia è data dalla vittoria dello Sinn Féin, la sinistra radicale a tinta nazionalista. (A rigore, lo SF attuale è l’ala nazionalista che nel 1969-70 rifiutò di abbracciare il marxismo-leninismo e si separò dallo SF originario, che prese poi il nome di Workers’ Party of Ireland.) Osservando il poco dell’exit poll Ipsos reso pubblico (https://www.irishtimes.com/…/exit-poll-by-numbers-who…) si può notare come forti linee di demarcazione attraversino l’elettorato irlandese lungo la dimensione dell’età. In particolare si individuano tre, forse quattro, macro-gruppi:
1 / 1 bis: le fasce più giovani (18-34 anni), tra le quali lo Sinn Féin ottiene una percentuale comparabile alla somma combinata di Fine Gael (centrodestra liberale) e Fianna Fáil (repubblicani tradizionalisti). Particolarmente polarizzati a sinistra sono i giovanissimi (18-24 anni), in cui lo SF supera la somma di FG e FF e in cui volano sia gli ecologisti del Green Party (14%) sia i trockisti di People Before Profit (6,6%), mentre di fatto sparisce il Partito laburista (2,6%).
2: la fascia centrale (35-64 anni), in cui tutti i partiti sono in linea con la media nazionale.
3: gli elettori più anziani (dai 65 anni in su), in cui FF e FG si confermano di gran lunga ai vertici del consenso. Per ciò che riguarda la sinistra, il Labour ottiene il suo miglior risultato (5,1%) mentre tutti gli altri il peggiore, ivi compresi i Social Democrats (nati come scissione “modernista” del Labour). Da notare che questa è anche la fascia di maggior successo (2,4%) per Aontú, ossia gli ex esponenti dello SF rimasti fedeli al conservatorismo della Chiesa cattolica.
Geograficamente la polarizzazione più forte è quella che oppone la metropolitana Dublino al resto del Paese. Nella capitale, mentre il livello dello SF si mantiene in linea con la media nazionale, sono gli altri partiti di sinistra a decollare: Verdi, Labour, PBP e Socialdemocratici ottengono complessivamente il 34%, a fronte del 19% nazionale aggregato. Di converso crollano, ovviamente FG e FF. Nelle altre province, invece, la più forte componente tradizionalista e rurale si riflette in una ripresa del FF (scavalcato dallo SF solo nella regione di frontiera del Connacht-Ulster) e in un calo dello SF che è terzo staccato nel sudoccidentale Munster.
Come leggere i risultati? Innegabilmente le principali esigenze dell’elettorato hanno riguardato i servizi sociali: il 58% degli elettori ha citato come tema più urgente la sanità o la crisi abitativa [https://www.rte.ie/…/2020/0209/1114111-election-exit-poll/] – e le percentuali probabilmente sono ancora più alte tra i giovani, specialmente quelli con alta istruzione e cultura cosmopolita che vivono a Dublino, lavorando a costi relativamente bassi per colossi multinazionali in una città il cui costo della vita è ormai comparabile con quello di Londra.
Si tratta di una nuova ventata rivoluzionaria, o quantomeno di una rinnovata coscienza di classe o – per quanto riguarda il risultato dei Verdi – di stile di vita?
Personalmente ne dubito. Quattro anni fa, per il centenario dell’Insurrezione di Pasqua, conclusi così il mio articolo per il numero cartaceo del Becco: «sebbene il PIL irlandese sia nel suo complesso cresciuto a ritmi “cinesi” (e stia adesso tornando a galoppare dopo la recessione), ciò si è accompagnato ad un altrettanto marcato aumento della diseguaglianza. Le statistiche sulla crescita del profitto occultano, cioè, la persistenza di sacche di sotto-sviluppo sociale. L’influenza reazionaria della Chiesa cattolica appare essersi disintegrata nel giro di pochi anni […] Tuttavia questa potente spinta libertaria, incoraggiata dal capitalismo cosmopolita, innestandosi sul corpo di un Paese a lungo tenuto sotto una cappa di oscurantismo, sembra aver più che altro prodotto una variante del turbocapitalismo». Confesso che mi trattenni, per rispetto dell’anniversario, dallo scrivere “una variante stracciona”.
Sono dell’opinione che i costumi sociali siano troppo radicati perché possano mutare per un risultato elettorale. La storia italiana ce lo ha dimostrato troppe volte, così come, del resto, la storia russa mostra che persino rivoluzioni epocali non scalfiscono se non tenuamente le pulsioni profonde di una comunità.
Alessandro Zabban
La vittoria dello Sinn Fein cambia gli equilibri politici irlandesi in maniera profonda. Ma il sostanziale pareggio in termini di seggi fra i tre grandi contendenti (Fianna Fail, Fine Gael e Sinn Fein) lascia la sinistra in una posizione di subalternità e minoranza. Se è vero che non bastano i seggi congiunti di Fianna Fail e Fine Gael per trovare una maggioranza in Parlamento, è anche vero che difficilmente Sinn Fein diventerà una forza di governo anche perché sembrano mancare i numeri per fare una coalizione d sinistra. Più probabile che siano i partiti di centrosinistra ed ecologisti ad offrirsi alle forze moderate per formare un governo. I verdi e i socialdemocratici potrebbero fare come fecero i laburisti negli anni passati, cioè coalizzarsi con uno dei partiti moderati. Per il Labour questa scelta è costata tantissimo in termini di consenso tanto che ad oggi si ritrova con un modesto 4,4% e un pugno di parlamentari. Ma l’ascesa dei Verdi potrebbe aprire la strada a un esecutivo centrista con una spolverata di ecologismo. E il prezzo politico da pagare potrebbe essere molto alto per questi partiti minori. C’è poi la presenza massiccia di parlamentari eletti fra le fila degli indipendenti che potrebbero spostare non di poco gli equilibri. Appare difficile pensare a un esecutivo politicamente molto diverso da quelli del passato che hanno fatto uscire l’Irlanda dalla crisi economica trasformandola in una paradiso fiscale per multinazionali senza però sfruttare le entrate fiscale per ridistribuire il reddito. Quel che è certo è che se le forze moderate non invertiranno almeno parzialmente rotta dal neoliberismo frenato dell’ultima decade, il risentimento potrebbe destabilizzare ulteriormente lo scenario politico a favore di forze di opposizione come il Sinn Fein.
Immagine da www.euronews.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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