Alex Marsaglia
Le elezioni europee segnano complessivamente l’indebolimento dei partiti tradizionali PPE e PSE, responsabili delle politiche di macelleria sociale, a vantaggio o dei Partiti sovranisti (Gran Bretagna, Francia, Italia). La spaccatura che attraversa l’Unione Europea diventa sempre più una faglia insanabile, se si pensa che uscire dall’Unione non è più una chimera irrealizzabile visto lo strepitoso successo della Brexit in Gran Bretagna. Il tentativo di tamponare questa faglia con i partiti ecologisti neoliberisti potrebbe temporaneamente riuscire nell’ottica in cui per reggersi la nuova maggioranza avrà bisogno di sempre più stampelle che vanno dall’ALDE ai Verdi per l’appunto.
Le ripercussioni a livello nazionale hanno già fatto una vittima ed è proprio Alexis Tsipras della Sinistra Europea che tanto aveva promesso sulla possibilità di cambiare l’Unione a tentare la mossa disperata delle elezioni anticipate per non venire definitivamente scalzato dal grande ritorno dei conservatori che possono dire a ragione “ve lo avevamo detto”. Gli unici altri Paesi periferici in cui resistono le forze politiche tradizionali sembrano essere quelli della penisola iberica e scandinava che hanno potuto godere di una relativa ripresa economica. Il resto dell’Unione è attraversata dal fuoco della ribellione sovranista che cinge sempre più Bruxelles. E Bruxelles ovviamente reagisce: a spoglio finito da poche ore partono le prime letterine dalla Commissione Europea con la richiesta di chiarimenti sui ‘fattori rilevanti’ che hanno portato all’aumento del debito, moniti sull’aumento del debito e sanzioni salatissime (si parla di 4 miliardi per l’Italia) che graveranno sulle comunità già più fragili in Europa. Questa è l’Unione Europea antidemocratica che ci affligge, non lasciando spazio ai rappresentanti eletti e reagendo con acredine e vendetta. Continuare a restare all’interno di questo ente ci consumerà portandoci a una vera e propria guerra civile tramite lo strozzinaggio dei conti pubblici. L’uscita è l’unica via. È prevista dai Trattati e la Gran Bretagna l’ ha attuata. Resta da chiedersi se i sovranisti sapranno attuare le loro promesse elettorali a differenza di Tsipras che sta scontando il loro tradimento.
Jacopo Vannucchi
Personalmente mi è difficile non solo associarmi a, ma perfino comprendere, le doglianze di molti compagni per il risultato elettorale. Esso, anzitutto, non era inatteso. Le piccole variazioni che si possono notare rispetto a speranze e/o exit poll sono poi tali da rendere il bicchiere “mezzo vuoto e mezzo pieno”.
Anzitutto, i partiti del regime sovranista italiano passano dal 50% del marzo 2018 all’odierno 51%: un risultato accettabile in un Paese in cui secondo l’Onu si violano i diritti umani e in cui si manda la Digos nelle scuole a svolgere funzioni repressive delle opinioni critiche verso il governo.
In secondo luogo, il travaso di voti dal M5S alla Lega è un ulteriore fattore suscettibile di considerazione positiva, in quanto i Cinque stelle sono, tra i due partiti, quello più pericoloso per la democrazia italiana: sia per i più forti propositi totalitari e antiparlamentari, sia per la più forte volontà di stroncare l’economia del Paese (si veda il tema TAV). Non solo: rispetto alla Lega, il M5S è più competitivo per i voti del bacino della sinistra (come dimostrato dagli studi dei flussi tra politiche 2013 e politiche 2018) e la Lega, a differenza del M5S, è più riconoscibile da parte dell’elettorato come un partito di marca fascista.
Ci sono anche dei punti di preoccupazione. Certamente sarebbe stato meglio un risultato più in linea con gli exit poll, cioè con la Lega sotto la soglia del 30% e Forza Italia con un risultato ancora a due cifre. La discrepanza exit poll/voti reali, tipica della storia italiana documentata, è utile oggetto di studio per capire l’orientamento del nucleo duro ultra-qualunquista, un 5% che solitamente non dichiara per chi ha votato (perché se ne vergogna). Questo gruppo, fino al 2013 leale a Berlusconi, passò in quell’anno al M5S. Nel 2014 sostenne il PD (un sostegno al centrosinistra unico nella storia del Paese) e, da allora, alla Lega, che dimostra di mantenerlo.
Tuttavia l’affermazione leghista se considerata in ottica pan-europea mostra un forte isolamento dell’esecutivo italiano, che sarà schiacciato dalla probabile maggioranza tra Ppe, Pse, Alde e Verdi. Questo, e il più che probabile arrivo di un falco rigorista alla guida della Bce in sostituzione di Draghi, crea le condizioni per una tempesta perfetta con cui la Commissione UE punirà in autunno la nuova sgangherata manovra di bilancio italiana.
Un commento, infine, sui risultati a sinistra. Rispetto al 2018 l’area del centrosinistra (PD, Più Europa, Verdi) raccoglie sei punti percentuali in più (dal 22 al 28%), di cui quattro al solo PD. I gruppi a sinistra di quest’area, invece, conseguono aggregatamente il 2,6% dei voti (1,7% La Sinistra e 0,9% il PC di Rizzo). Questo risultato è ancora più ristretto di quello già francamente insufficiente del 4 marzo 2018. Feci notare all’epoca, e l’ho fatto ancora stavolta, che la richiesta degli elettori italiani era inequivocabilmente una richiesta di destra! La risposta ricevuta da alcuni compagni è rimasta la stessa: «La sinistra radicale perde non perché non vi sia un bacino, ma perché non c’è una proposta credibile».
Insomma, la sinistra dal 1946 non ha mai vinto, ma non perché gli italiani siano in maggioranza di destra: semplicemente perché non c’è una proposta credibile. Mi viene in mente una mordace battuta di Sergio Forconi: «Ma se gli era quarant’anni che nessuno l’aveva aperto [un negozio di maschere subacquee sul Monte Amiata], un motivo ci sarà stato, no?».
Alessandro Zabban
Che al peggio non ci sia mai fine, sembra confermato dalle ultime consultazioni europee. I sovranisti non sfondano ma si ritagliano un peso politico notevole. Si profila una maggioranza europeista ma che presumibilmente dovrà includere gli ultramercantilisti dell’Alde. Potrebbe cambiare qualcosa rispetto al passato austero dell’Europa (dipenderà anche da come andrà l’elezione dei nuovi commissari), ma la sua anima liberista non è affatto in discussione. L’alternativa era comunque fra gli ordoliberisti ortodossi e i liberisti autoritari dei vari Salvini e Le Pen. Anche il buon risultato dei Verdi, che è comunque positivo, non può in ogni caso essere visto come alternativo al sistema economico attuale, data la collocazione molto spesso moderata degli ecologisti dei vari paesi europei. La sinistra cosiddetta radicale è invece allo sbaraglio totale. In Francia e in Spagna le stelle di Iglesias e Mélenchon sembrano sempre meno luminose, la Linke tedesca non sfonda, Corbyn ha dilapidato un patrimonio enorme di consenso grazie alla sue posizioni suicide sulla Brexit, mentre nell’est europeo partiti e movimenti di sinistra continuano a non aver alcun ruolo politico.
Rispetto a questo quadro desolante (unica felice eccezione sembra essere il Portogallo), l’Italia riesce a fare persino peggio. Il risultato disastroso era purtroppo prevedibile. Fino a qualche anno fa si veniva trattati come residui anacronistici, oggi si è completamente ignorati e manca persino la forza di volersi far conoscere e ri-conoscere in quanto soggetto politico. Non sembra allora più così tanto incredibile che in una situazione di crisi dei 5 Stelle e di scarsissima rilevanza di un partito ecologista, la sinistra riesca a fare persino peggio di 5 anni fa. Dato che gli appello al cambiamento, all’unità sono sempre caduti nel vuoto e che anche questa volta dopo le solite “analisi” e “riflessioni” non cambierà niente, resta solo da vedere se si riuscirà a fare persino peggio alla prossima tornata. Del resto, come si diceva, al peggio non c’è mai fine.
Immagine di Erich Westendarp (dettaglio) da pixabay.com
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