Con la nomina dei nuovi ministri, si cominciano a definire sempre più dettagliatamente i contorni di quello che sarà il governo Conte 2, frutto dell’alleanza fra Movimento 5 Stelle e PD. Il nuovo esecutivo, superato il test del voto di fiducia alla Camera e al Senato, dovrà dare subito delle risposte a un Paese che si trova in una grossa crisi sociale e culturale prima ancora che economica. La nascita di questo strano ibrido politico interroga la sinistra: una concreta speranza di cambiamento rispetto agli eccessi demagogici del sovranismo salviniano oppure l’ennesimo pasticcio liberista capace solo di accrescere ancora di più il malcontento del popolo italiano e il consenso delle forze di estrema destra? Ne parliamo a “10 mani”.
Piergiorgio Desantis
Non possiamo che rallegrarci per la scapestrata mossa di Salvini che ha deciso di uscire dalla compagine di governo nazionale. Tuttavia, nonostante la nascita della compagine Pd-M5s-Leu, occorre ricordarsi che la Lega governa tutte le regioni del Nord, ove si produce (con tutti i limiti e le contraddizioni) il 70% del PIL italiano.
È necessario, per il nuovo governo in carica ma non solo, provare e iniziare a smontare il pezzo (forte e assai diffuso nel paese) che è stata la base assai duratura del successo leghista nel nostro paese.
La riforma federalista del centrosinistra fu un gigantesco assist per implementare le tendenze autonomiste presenti da anni al Nord. Il gigantesco problema occupazionale del Sud, un piano del lavoro (assunzioni pubbliche in ambito sanitario, scolastico, dei servizi sociali e delle amministrazioni pubbliche), un nuovo piano ambientale che metta in sicurezza i tanti luoghi a rischio italiani, la difesa e il rilancio dell’industria manifatturiera e non solo italiana, un’attenta fiscalità progressiva, l’abolizione del Jobs Act e dei decreti sicurezza sono solo alcuni dei punti non più rinviabili affinché non ci si ritrovi Salvini al 60% tra 12 o 18 mesi in occasione di possibili elezioni politiche anticipate.
Dmitrij Palagi
Costruire l’opposizione politica e sociale al Governo: una posizione semplice, difficile da affermare, soprattutto dopo un agosto in cui il timore maggiore era un ritorno alle elezioni che consegnasse alla Lega l’esecutivo nazionale e l’elezione del Presidente della Repubblica. Perché la democrazia è borghese, ma al momento l’alternativa di classe latita.
Si capisce bene il disorientamento della vasta galassia della sinistra. Da quella del PD appesa al voto della piattaforma a 5 Stelle, a chi fuori dal Parlamento aveva seri dubbi di poter rientrare con il ritorno al voto, passando per chi si è ritrovato con un Ministero pesante (alla salute) pur avendo ottenuto un deludente risultato elettorale. La centralità del Parlamento nel nostro sistema ha dato il suo esito, uno dei più politici a cui ci avevano abituato seconda/terza Repubblica. Rimane la debolezza diffusa di tutta la politica nella società, facilmente proiettata nelle istituzioni. Non saranno mesi semplici, il centrodestra e la destra non possono contendersi il ruolo di unica opposizione. Ne va degli anticorpi ancora presenti nel nostro Paese.
Jacopo Vannucchi
Due sono le incognite forti su cui nasce questo Governo. La prima, quali si manterranno i rapporti fra i partiti di maggioranza, acceleratamente ravvicinati dalla necessità di fermare l’eversione leghista, e quali si manterranno i rapporti fra le diverse correnti interne ai singoli partiti di maggioranza. La seconda riguarda la contraddizione tra le premesse con cui l’esecutivo avrebbe dovuto nascere e i tratti con cui invece è effettivamente nato. Inizialmente l’idea era quella di un governo “istituzionale”, a tempo, pensato sostanzialmente per evitare l’esercizio provvisorio di bilancio, e fondato su niente più che un provvisorio cessate-il-fuoco tra avversari. Poi, sia per la diffidenza del Presidente della Repubblica verso soluzioni dal debole collante politico, sia per l’evoluzione delle posizioni dei diversi partiti, si è costruita una compagine che ambisce ad avere una progettualità di lungo respiro, addirittura di legislatura.
Un po’ di tregua è già stata concessa al nuovo governo, sia sul fronte degli interessi sul debito pubblico sia in termini di buona disposizione delle autorità europee – Oettinger, che a primavera 2018 pronosticò che i mercati avrebbero insegnato agli italiani a votare, ha presto parlato di “ricompense” per l’Italia. Ma la tregua non durerà a lungo: anzitutto perché l’ingranare dell’attività di governo potrà fornire, se non occasioni, almeno sicuramente pretesti per la ripresa delle schermaglie interne; poi, perché l’eventuale arrivo di Gentiloni al Commissariato agli Affari economici porrà l’ex Presidente del Consiglio in una posizione scomoda, schiacciato tra accuse di favoritismo nazionale e l’adesione ai dogmi rigoristi cari al Nord Europa.
La navigazione non sarà semplice e l’impressione è che il sistema politico italiano sia ancora ben lungi dall’aver trovato uno stabile assestamento. Anche questo governo ha incluso tra le proprie priorità programmatiche una riforma costituzionale e, implicitamente, una riforma elettorale che la bilanci. Il consenso ai partiti si mantiene, al contempo, elevatamente volatile.
Alessandro Zabban
Che la Lega non sia più al governo è un fatto senz’altro positivo. La demagogia salviniana ha rappresentato un eccellente strumento propagandistico, ma dal punto di vista fattuale, non ha prodotto niente se non i vergognosi decreti sicurezza che oltre a diminuire i diritti democratici, stanno rendendo anche le nostre città non più ma meno sicure.
Ma anche l’uscita di scena di Berlusconi nel 2011 fu accolta con molto entusiasmo da una parte consistente dell’elettorato. Sappiamo poi come sono andate le cose. Salvini è tutt’altro che uscito di scena e le sue idee sono ancora estremamente popolari. Il fatto che non sia sotto i riflettori dei media non significa che la sua stella si stia eclissando. Una perdita di consensi duratura e strutturale da parte della Lega può avvenire solo se si ha un governo che toglie il terreno sotto i piedi del malcontento che spinge l’Italia verso posizioni di estrema destra.
Serve dunque un governo coraggioso, che faccia scelte radicalmente diverse rispetto a quelle dell’era Monti o Renzi. Ma a guardarsi intorno vediamo un panorama tutt’altro che promettente: c’è Conte che si è rifatto un lifting moderato e neodemocristiano, c’è un PD all’apice del suo europeismo e c’è un 5 Stelle in confusione totale, capace solo di assumere le sembianze politiche della forza con cui si allea. Se questo è l’ultimo argine all’avanzata della destra in Italia, temo che lo stiano costruendo di cartapesta.
Immagine da www.corriere.it
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.