Ecco finalmente “The French Dispatch”. Doveva arrivare nel 2020, era in concorso a Cannes. L’arrivo del Covid ha costretto Fox Searchlight, etichetta del cinema d’autore di proprietà Disney, a rinviare l’uscita di un anno. La pellicola, così come “Tre piani” di Moretti, è una di quelle bollate dal marchio “Cannes 2020” che sono rientrate nell’edizione 2021 del festival francese. Ogni volta che Anderson fa un film è un evento. Difficilmente sbaglia e regala sempre gioia.
È un americano eccentrico che vive in Europa, più precisamente in Francia. Proprio lì ha accarezzato l’idea di ambientare il suo nuovo film, mostrando però la sua formazione nord americana. Infatti il film è prodotto da Regno Unito, Francia e Germania, oltre che dagli USA. Interessante la cosa perché negli States osservano il ’68, l’arte europea senza comprenderla. Anderson in pratica non fa l’errore di Ridley Scott con “The last duel”, non centrifugando la storia americana con quella europea. Il regista inglese ha fatto un parallelo (non riuscito) tra la storia europea anglo – francese durante la Guerra dei 100 anni e quella americana recente (il Me Too). In questa pellicola c’è anche un po’ d’Italia visto che la principale ispirazione di Anderson è stata “L’oro di Napoli” diretto e interpretato da Vittorio De Sica. Film in 6 episodi del 1954 con Totò, De Filippo, la Loren, Stoppa. Inoltre la costumista del film è la torinese Milena Canonero, collaboratrice abituale di Anderson dal 2004 (Steve Zissou). Nel 2015 vinse anche l’Oscar grazie al suo magnifico lavoro per “The Grand Budapest Hotel” (che di Oscar ne prese in tutto 4).
The French dispatch è un tributo al giornalismo di una volta. Il regista ha sottolineato che è particolarmente legato a una tradizione: comprare e leggere almeno un giornale tutti i giorni. Una realtà che piano piano sta diminuendo.
La gente legge sempre meno e sembra star dietro più ai social dove le fake news circolano ancora con più diffusione rispetto ai giornali. Eppure Wes Anderson dice che la sua intenzione è quella “di mettere in scena la necessità di scrivere nel modo giusto, seguendo la verità. È molto importante il gioco di squadra. Oggi sappiamo che le informazioni vengono presentate senza mediazione, e quindi si rischia spesso di sbagliare”.
Non è “The Post” di Spielberg, ma mostra che fare cinema è come creare un giornale. Ovviamente non mancano colori pastello (fotografia del solito Robert Yeoman), inquadrature perfettamente simmetriche, personaggi bizzarri e musiche d’impatto (del fido collaboratore Desplat). Il consueto stile del regista è riscontrabile in ogni inquadratura che oscilla dal (finto) bianco e nero al colore. Infatti la pellicola è divisa in capitoli come se fossero sezioni: politica, cronaca, sport, spettacolo, economia, ecc… Qui ci sono l’arte, la politica e la poesia, l’esplorazione urbana e l’enogastronomia.
All’interno c’è una valanga di volti noti, attori fantastici come Timothee Chalamet, Adrien Brody, Bill Murray, Owen Wilson, Benicio Del Toro, Lea Seydoux, Christoph Waltz, Frances McDormand, Willem Dafoe, Tilda Swinton e tantissimi altri.
La trama stavolta è secondaria, la sceneggiatura non è oliatissima, l’interesse principale non è per i personaggi e la storia. Il livello tecnico tutto funziona a meraviglia: ogni fotogramma è un’opera d’arte da decifrare. Le scenografie sono curatissime, i personaggi si muovono in una Francia versione plastico del caso Cogne di “Porta a porta” del Vespone nazionale. Ci sono più storie al limite del surreale e della comicità in una redazione fittizia che si ispira al “The New Yorker”: un periodico americano nato nel 1925 che sapeva abbinare saggi, satira, reportage, commenti sociopolitici, vignette, poesie. Con grandi firme, naturalmente.
Siamo in un paesino immaginario della Francia nel XX secolo, Ennui-sur-Blasé. Alla morte del capriccioso editore Arthur Howitzer, Jr. (Bill Murray), i giornalisti che fanno parte della redazione si riuniscono per pubblicare un’edizione commemorativa composta dai migliori articoli pubblicati dal French Dispatch nel corso degli anni. La figura di Howitzer è chiaramente ispirata al reale Harold Ross, co-fondatore del “The New Yorker”.
Il titolo del film non è altro che il nome del supplemento settimanale del quotidiano statunitense Evening Sun di Liberty, Kansas che si occupa di cronaca e cultura generale. Wes Anderson ci dice che il giornalismo di una volta è morto. Quello di oggi non è la stessa cosa. La crisi dei giornali, tra le tante cose, evidenzia anche la crisi dei contenuti che genera la disaffezione dei (potenziali) lettori. Per omaggiare Arthur decidono di pubblicare tre storie e un necrologio.
La prima è Il Cronista in Bicicletta. Una sorta di diario dai quartieri più malfamati della città firmato dal cronista sopra citato (Owen Wilson). Lo scrittore Herbsaint Sazerac di Owen Wilson è ispirato alla figura di Joseph Mitchell, ritrattista attivissimo nel Novecento e appassionato di storie provenienti dalla strada.
La seconda è “Il Capolavoro Reale”. Prende spunto dall’articolo in sei parti, “The days of Duveen: a beginning in Delft” scritto nel 1951 da S.N. Berhmann. La storia è raccontata da JKL Berensen (Tilda Swinton). Protagonista un pittore psicopatico (Benicio Del Toro), la sua guardia carceraria, la musa ispiratrice (Léa Seydoux) e un mercante d’arte (Adrien Brody), condannato per evasione fiscale, che intravede grandi potenzialità nell’arte dell’uomo. Quest’ultimo personaggio è stato scritto da Anderson sulla base di Lord Duveen, un mercante d’arte nato verso la fine dell’Ottocento, a cui The New Yorker ha dedicato nel 1951 un approfondimento di 6 pagine.
La terza è “Revisioni a un manifesto, amore e morte nella rivolta studentesca”. Racconta le rivolte studentesche nella Francia del 68, prendendo spunto dall’articolo firmato da Mavis Gallant intitolato “The events in may: a Paris notebook”. La storia d’amore tra la matura scrittrice Lucinda (Frances McDormand) e il giovane Zeffirelli (Thimothee Chalamet), leader della rivolta studentesca da lei documentata. Lei aiuterà lui a scrivere il manifesto.
La quarta è “La sala da pranzo privata del commissario di polizia, rapimenti e alta cucina“. Lo scrittore enogastronomico R.Wright (Jeffrey Wright) ricorda una cena con il commissario della polizia (Mathieu Amalric di Quantum of Solace e Venere in pelliccia). Durante la quale quest’ultimo ha la notizia del rapimento del figlio. La polizia trova il nascondiglio del criminale, ma l’episodio ha un epilogo inatteso. Il personaggio di Jeffrey Wright, il giornalista gastronomico Roebuck Wright, è stato creato unendo A. J. Liebling e il buongustaio James Baldwin.
“The French Dispatch” non è il miglior film di Wes Anderson, è più discontinuo di altri, non tutti gli episodi hanno la stessa compattezza e la stessa riuscita, non tutti i grandi attori del cast hanno lo spazio che meriterebbero, ma nel complesso regala momenti di grande cinema. Tuttavia i vari episodi sono un po’ scollegati come se fossero dei corti legati solo da una voce narrante.
I detrattori del regista, più nerd e dandy dell’attuale panorama cinematografico, troveranno diversi difetti in questo film e soprattutto continueranno a dire che è sopravvalutato e borioso, che il suo stile è fino a sé stesso.
Sicuramente c’è più forma che contenuto. La mano è ormai riconoscibile, la velocità della narrazione è alta e non lascia molto spazio ad approfondimenti. Wes Anderson avrà pensato che lo spettatore medio non vuole pensare. In effetti, in molti casi, è proprio così.
Si può godere di una nostalgia del passato come in “Moonrise Kingdom”, “I Tenembaum”, ma c’è anche un po’ di follia in stile “Grand Budapest Hotel”. Ci sono grandi attori, costumi, piccole chicche che impreziosiscono le inquadrature, l’uso esemplare del bianco e nero e del colore, del live action (stile Isola dei cani e Fantastic Mr Fox) e dell’animazione.
E poi ci sono la grazia, la poesia, l’amore per l’estetica e per il cinema che tengono in piedi la baracca. Lo ripeto ogni volta: ogni film di Wes Anderson ha un suo perché. Sono sicuro che ognuno di voi troverà qualcosa che amerà in “The French Dispatch”. E’ una festa per gli occhi. Se avete bisogno di nuovi stimoli, è il film per voi.
Fonti: Movieplayer, Cinematografo, Comingsoon, My Movies
Regia **** Interpretazioni ***1/2 Fotografia **** Sceneggiatura ***
THE FRENCH DISPATCH ***1/2
USA, Germania, Francia, UK 2020)
Genere: Commedia
Regia e Sceneggiatura: Wes Anderson
Cast: Timothee Chamalet, Lea Seydoux, Bill Murray, Owen Wilson, Benicio Del Toro, Willem Dadoe, Christoph Waltz, Adrien Brody, Anjelica Huston, Jeffrey Wright, Tilda Swington, Frances McDormand
Durata:1 h e 48 minuti
Fotografia: Robert D. Yeoman
Musiche: Alexandre Desplat
Prodotto da Fox Searchlight
Distribuzione: Walt Disney Pictures
Uscita Italiana: 11 Novembre 2021
In corso al Festival di Cannes 2021
Trailer Italiano qui
Budget: 25 milioni di dollari
La frase: Fallo sembrare come se tu l’avessi scritto così di proposito.
Immagine da wikipedia.org
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.