L’uscita di scena di Bernie Sanders dalle primarie del Partito democratico americano consegna lo scettro di sfidante a Joe Biden contro il presidente in carica Donald Trump. Perché Sanders si è ritirato? Quali scenari si aprono? Joe Biden è il candidato giusto per vincere? Il dieci mani di questa settimana si occupa di ciò che è avvenuto appena pochi giorni orsono in Usa.
Leonardo Croatto
Scrivevo in un precedente Diecimani che sarebbe stato molto improbabile un Sanders candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti d’America, che il meglio che si sarebbe potuto realmente sperare era un convention combattuta. Una convention dalla quale certo Sanders non sarebbe uscito vincitore, ma in cui almeno i suoi temi avrebbero rappresentato un elemento non trascurabile nel dibattito e nella sua rappresentazione esterna.
E’ evidente che il suo ritiro anticipato e lo spostamento dell’intera attenzione dei media sull’emergenza Covid-19 ha oramai spazzato via ogni traccia di dibattito pubblico sui temi della politica. Il percorso verso le prossime elezioni sarà probabilmente schiacciato sull’emergenza Coronavirus, il candidato repubblicano è un grigio e anziano signore che ha come unica forza la mediocrità: una rassicurante aria di passato, di già visto, di sempre uguale; quello che piace ad una società essenzialmente conservatrice come quella Nordamericana.
Rimane la speranza che la energie culturali e umane messe in moto da Sanders continuino il lavoro di ricostruzione di senso. Se è vero, come in Inghilterra per Corbyn, che i sostenitori di Sanders si trovano prevalentemente tra i più giovani, allora sarà importante che questo patrimonio politico ed organizzativo non vada disperso con l’eclissarsi di Sanders (e magari che sappia darsi una sua autonomia e non si affidi a supposti leader carismatici molto in vista ma molto poco maturi).
Piergiorgio Desantis
Il ritiro di Sanders dalle primarie, dopo il tentativo già effettuato nel 2016, confermano la difficoltà, in una società che è intimamente presidenzialista, di riuscire a far prevalere contenuti connotati a sinistra, soprattutto utilizzando come strumento quello delle primarie. Rispetto al 2016, inoltre, Sanders si è trovato in grossa difficoltà a raggranellare consensi tra i membri della comunità afroamericana e tra gli operai del Midwest, che in precedenza avevano appoggiato il senatore del Vermont. È una sconfitta che si aggiunge e si somma a quella di Jeremy Corbyn e che evidenzia una difficoltà di queste due proposte, molto accomunate tra di loro, di raggiungere un consenso maggioritario anche tra le classi di riferimento (così come ci si esprimeva un tempo). La classe operaia storica, ad esempio, oltre a essere ancora presente anche in Usa, spesso vota a destra o per candidati populisti. Trump è stato molto abile a rivolgere il suo messaggio proprio a questa fascia di popolazione assai impoverita e spaventata ed è diventato egemone. Non è per niente semplice il passaggio storico che vive la sinistra, eppure la crisi conclamata del capitalismo potrà offrire occasioni interessanti per immettere contenuti alternativi a quelli proposti sin a oggi. Sanders, da parte sua, ha assicurato il suo contributo alla battaglia di lungo corso che ci aspetta.
Dmitrij Palagi
Sanders per noi. Dopo Corbyn ecco ritirarsi anche la speranza di vedere un socialista guidare il fronte progressista e democratico statunitense. Ormai da qualche tempo era noto questo esito. L’emergenza legata al Covid-19 ha solo influito sul come si sarebbe ritirato dalle primarie. La reazione della sinistra radicale alla notizia è stata curiosa. Consolatoria. Su il manifesto il titolo dell’articolo era «un discorso da vincitore». Non abbiamo vinto, ma ci siamo fatti valere. Siamo più forti di prima. Ma qual’è l’obiettivo? Perché se non si esiste in modo collettivo, con una prospettiva, ecco che queste vicende diventano solo un campo in cui riconoscersi tra nostalgici di Marx. Il capitalismo prosegue a macinare le sue contraddizioni, spostandosi da una crisi all’altra, mentre i suoi avversari si danno pacche sulle spalle, di sconfitta in sconfitta, emozionandosi ogni volta che il riscatto pare più narrabile di altre. Può darsi che questo giudizio sia troppo legato all’Italia negativo. Lo vedremo sulla base di come si organizzeranno le nuove generazioni di militanti che si sono formate durante la campagna di Corbyn e le due di Sanders. La speranza è che ci sia davvero qualcosa di più di un racconto per consolare gli sconfitti.
Nel torneo del Sei Nazioni di Rugby, da quando l’Italia è entrata a farne parte, ne usciamo spesso sconfitti e senza vittoria (con il famoso “cucchiaio di legno” che spetta a chi non vince nemmeno una partita). Però ogni anno c’è qualche miglioramento su cui concentrarsi. L’importante non è vincere, nello sport. In politica l’importante non è vincere le elezioni, se non si hanno come unico orizzonte le elezioni però. In questo caso andrebbe chiarito quali sono gli obiettivi però.
Jacopo Vannucchi
Può forse apparire paradossale che Sanders abbia terminato la propria corsa proprio nel mezzo della crisi sanitaria che è forse il maggiore argomento a sostegno di una delle sue storiche battaglie, il sistema sanitario pubblico. Poiché negli Stati Uniti sono di norma retribuite solo le giornate effettivamente lavorate, si contano ormai a decine di milioni i lavoratori senza stipendio e quelli che, licenziati, hanno perso l’assicurazione sanitaria.
Se l’obiettivo di Sanders, però, è non tanto diventare Presidente quanto spostare a sinistra il Partito Democratico, egli può dirsi soddisfatto degli ultimi cinque anni. Nel programma di Biden oggi sono inserite le proposte di rendere gratuite le università pubbliche per le famiglie fino a 125.000 dollari di reddito e di consentire su base volontaria l’iscrizione al programma sanitario pubblico Medicare. Entrambe sono posizioni più moderate di quelle sandersiane (università gratuita per tutti, sanità pubblica obbligatoria per tutti), ma anche più popolari.
La figura di Biden è generalmente percepita in modo molto diverso da quella della Clinton: quanto questa era l’ambiziosa e scostante ex first lady, così Biden impersona oggi l’antico padre di famiglia della classe media. Non occorre questionare su quanto siano realistiche queste impressioni: come Babbo Natale, esse sono veritiere proprio in quanto qualcuno ci crede.
Proprio ieri Sanders ha appoggiato ufficialmente Biden, che, anche se non ha ancora la maggioranza matematica dei delegati, essendo rimasto l’unico sfidante in gara è virtualmente il candidato Presidente. Sono passati solo cinque giorni da quando Bernie si è ritirato. Nel 2016 gliene servirono 36 per risolversi ad appoggiare la Clinton, dal 6 giugno (quando l’ex Segretario di Stato ottenne matematicamente la maggioranza) al 12 luglio.
Forse la campagna di Sanders è stata un po’ contaminata dalle pulsioni sessiste di quella classe operaia che invece avrebbe dovuto educare. Del resto conosciamo bene il trattamento che i militanti web (maschi) hanno riservato alle “traditrici”: non solo la senatrice Warren, ma persino la deputata Ocasio-Cortez, che a ottobre 2019 aveva salvato la campagna di Bernie appoggiandolo mentre era scivolato dietro la Warren e aveva appena subìto un attacco cardiaco.
Resta da vedere quanto Sanders sarà in grado di coinvolgere il suo elettorato. I Democratic Socialists of America hanno ribadito di non avere intenzione, per ora, di schierarsi con Biden. Nel 2016 tra i sostenitori di Sanders, divisi per area politica di autocollocazione, le seguenti quote si rifiutarono di votare la Clinton a novembre: estrema destra/destra/centrodestra 52%, centro 36%, centrosinistra 19%, sinistra 10%, estrema sinistra 14%. La buona notizia per Biden potrebbe essere che gli ex sandersiani più conservatori sono già da tempo con Trump o con Biden stesso.
Alessandro Zabban
La crisi pandemica sta mettendo in luce tutte le contraddizioni e i limiti strutturali degli Stati Uniti. Le immagini delle fosse comuni scavate a New York sono un duro colpo all’ideologia narcisista della superiorità occidentale e una ferita allo slogan di Trump “Make America Great Again”. La società statunitense era in una situazione di grande fragilità già prima dell’inizio di questa crisi sanitaria che potrebbe avere ripercussioni economiche e geopolitiche epocali. Le crescenti difficoltà riscontrate da milioni di americani a pagare l’affitto, ad avere un’assicurazione sanitaria e persino a fare la spesa (figuriamoci a pagare le esorbitanti rette universitarie), hanno costituito terreno fertile per l’affermarsi di una agguerrita ala sinistra all’interno dei Democratici guidata da Sanders e che ha avuto il merito di riportare all’attenzione dell’opinione pubblica i temi del socialismo democratico. Credo che molte delle opinioni espresse nel precedente 10 Mani in relazione alla sconfitta di Corbyn in Gran Bretagna possano essere usate anche per provare a spiegare il fallimento di questa piattaforma che deve scontare la grande resilienza di un capitalismo globale che pure se in crisi di legittimità, riesce ancora a proporsi come unica soluzione ai problemi che esso stesso genera o contribuisce ad amplificare. La crisi da Covid-19, che nell’immediato sembra favorire leader e idee “ortodosse” e nel solco della continuità, potrebbe in futuro rafforzare le rivendicazioni dal basso di ampi settori sociali poco protetti e che si stanno trovando senza lavoro, senza assicurazione sanitaria e spesso coperti di debiti. Il neoliberismo non sta funzionando e le élite stanno perdendo posizioni sia rispetto al nemico esterno, rappresentato da una Cina forte e organizzata (che sta seminando il panico fra gli isterici intellettuali occidentali), sia rispetto al nemico interno, rappresentato ormai proprio da questo nuovo socialismo, largamente accettato dai giovani elettori statunitensi. David Harvey sospetta che possa essere lo stesso Trump, proprio nel nome del “Make America Great Again” e per salvare il capitalismo, a riproporre un ruolo forte dello Stato mentre il suo sfidante Biden, se diventerà Presidente, non potrà ritagliarsi il ruolo moderato di un Clinton o di un Obama come probabilmente sperava ma dovrà impostare la politica su coordinate ben più coraggiose (la speranza è che si veda costretto a fare ampie concessioni al programma del socialisti americani che ancora non gli hanno fatto l’endorsement). Comunque vada, se gli Stati Uniti vorranno sopravvivere come potenza globale, dovranno reinventarsi (leggi qui).
Immagine da www.flickr.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.