di Norberto Albano*
Mai come in questi mesi, grazie al martellante intervento dei “media”, siamo stati travolti da dibattiti, analisi e moniti dalla “scienza”. Eppure mai come in questi mesi è sembrato chiaro -come notava Elias riferendosi ad alcuni filosofi della scienza1 – che l’unità della scienza è qualcosa di molto più teorico che pratico: gli interventi spesso contraddittori di professionisti ed esperti provenienti dal “mondo della scienza” hanno in molti casi creato più confusione ed incertezza tra i non addetti ai lavori, piuttosto che il contrario. Se a questo aggiungiamo che il clima teso che viviamo alimenta un dibattito pubblico confuso ed aggressivo, gli interventi che si presentano come “scientifici” rischiano la facile strumentalizzazione e possono diventare pericolosi.
Un esempio chiaro di questo pericolo lo si può ritrovare in interventi come quelli della biologa Barbara Gallavotti, ospite alla trasmissione di Giovanni Floris “Di martedì” su La7 dell’11/11/2020, dal quale è stato tratto un video2 prontamente ricondiviso da alcune pagine Facebook molto popolari come dimostrazione che una parte della popolazione italiana (e forse mondiale) sia affetta da demenza in quanto malattia neurodegenerativa.
Il breve estratto dell’intervento della biologa prova a spiegare perché secondo alcune ricerche del neuroscienziato Earl Miller (non citate esplicitamente nell’intervento), quelli che l’opinione pubblica definisce come “negazionisti” sono paragonabili a dei pazienti affetti da demenza, a causa di meccanismi neurofisiologici analoghi osservabili in queste categorie di individui. Se da una parte la strumentalizzazione dell’intervento ha gettato altra benzina sul fuoco della guerra tra poveri cui stiamo assistendo (“ora che c’è la prova scientifica togliete la tessera elettorale a queste persone!”, “togliete a queste persone la possibilità di curarsi”, ecc.), dall’altra il video è, come dicevo, indicativo di diverse pericolose tendenze che si stanno sedimentando nel dibattito pubblico.
Brevissima premessa, non giudico la dott.ssa Gallavotti una incompetente, perché non conosco direttamente il suo lavoro, ma valuto i rischi che si corrono in questo momento a lanciare certi messaggi e ad etichettarli come “scienza”.
Divulgazione e formati
Le informazioni condivise dalla biologa sono presentate con una fretta ed una superficialità tale, che non possono che produrre disinformazione. Questo è certamente dettato da esigenze televisive, ma nessuna persona dotata di buon senso (per non dire nessuno “scienziato”) potrebbe accettare conclusioni riguardanti la condizione clinica, neurofisiologica e psicologica di migliaia (se non milioni) di persone con un’argomentazione da un minuto e mezzo. Dare per certe teorie o pseudo-teorie su cui non c’è consenso nel mondo scientifico, vuol dire dimenticare che i lunghi tempi della ricerca, sono spesso inconciliabili con i tempi brevi e spettacolari della comunicazione mediatica.
Gallavotti si serve di una figura che rappresenta un cervello umano tagliato sul piano sagittale privo perfino dei nomi delle aree evidenziate: cosa dovrebbe farsene un pubblico non istruito su questi temi? Puro spettacolo e simbologia pseudo-scientifica, da cui siamo sommersi da mesi, come le variegate rappresentazioni dei dati epidemiologici.
Piuttosto che essere strumenti in grado di aiutare le persone a comprendere i fenomeni, divengono simboli decifrabili dai soli addetti ai lavori posti a giustificazione di scelte meramente politiche.
Scienza e complessità
Va ricordato che i neuroscienziati provano a spiegare i meccanismi neurofisiologici o più largamente neurocognitivi di fenomeni che individuiamo come mentali e non i meccanismi mentali direttamente. Mente e cervello non sono la stessa cosa: uno degli ostacoli attuali nel progresso delle scienze cognitive sta proprio nell’enorme difficoltà che hanno i ricercatori nel collegare osservazioni e teorie sul funzionamento ed il ruolo del cervello a più vaghi e meno definiti fenomeni mentali che appartengono ad un altro dominio concettuale.3 Il nesso causale che sembra stare a fondamento del discorso, cioè la comunicazione tra parti del cervello che sarebbe causalmente responsabile di un output comportamentale osservato, non ha nulla a che fare nell’attuale dibattito scientifico, con ciò che si intende per spiegazione. Sono decenni che vengono proposte teorie differenti per spiegare fenomeni come la comunicazione tra differenti aree cerebrali o come l’informazione viene integrata e scomposta, ma continuano ad esistere disaccordi tra i massimi esperti su cose molto più microscopiche della ricomposizione razionale delle informazioni a partire da dati di senso.
Proporre questa come spiegazione scientifica, ad un pubblico che non ha gli strumenti critici per valutarla, vuol dire prestare la scienza alla strumentalizzazione politica.
L’individuazione del minus habens
La biologa conclude riportando l’idea del prof. Miller stesso, secondo cui quell’informazione infondata, che nei malati è data dai sensi stessi, dai negazionisti è data dalla mancanza di cultura e preparazione scientifica di base.
Allora cosa c’entra tutto il meccanismo neurofisiologico se il problema è che la capacità discriminatoria non è compromessa da un problema neurofisiologico, ma da un ben più conosciuto ‘problema culturale’? Incredibilmente Gallavotti dice che su questo non è d’accordo, lasciando forse intendere, come aveva iniziato il discorso, che poverini, sono dei dementi nel senso clinico del termine… Idea che sembra essere stata ripresa anche dal filosofo Galimberti4.
Pur non avendo dei paletti condivisi ed unanimi per la definizione di negazionista attuale, si da per scontato che tutti sappiano di cosa stiamo parlando, proprio come le pseudo-teorie sciorinate da Gallavotti. Ma negazionista è solo chi nega l’esistenza del virus? Chi nega l’utilità delle mascherine? Chi nega le misure del governo? Chi nega la narrazione dei media ? Cosa nasconde l’uso di questo termine?5
La definizione comune di negazionismo è quella di revisionismo storico6 e, per farla breve, al momento il fenomeno preso a larghe maglie della pandemia non è ancora trattabile come un “fatto passibile di analisi storiografica” perché è ancora in corso, non c’è nessuna garanzia sulle fonti, non ci sono metodi condivisi, non c’è neanche una individuazione precisa del fenomeno (a maggior ragione che questo si sta espandendo sotto i nostri occhi).
Ci stiamo forse infilando in un vicolo cieco? Se una non ben definita generalità di individui sono minus habentes, a cosa serve investire sulla cultura, l’istruzione, la formazione, la conoscenza? Che senso ha parlare di responsabilità del livello culturale di un paese? Come dovrebbe porsi la politica nei confronti di questi “pazzi”?
Il rischio è di ricadere nella barbarie con l’aiuto della scienza.
*Nato nello sperduto Molise nel 1994, è laureando alla specialistica di filosofia dell’Università di Pisa. Con mille interessi e da sempre attivo nelle politiche studentesche, i suoi interessi di studio si focalizzano sulla filosofia analitica con particolare attenzione alla scienze cognitive.
1 Elias, Norbert. “Scienza o scienze? Un contributo al dibattito con filosofi ciechi di fronte la realtà.”, traduzione italiana a cura di Federica De Nisco, Cambio, vol. 6, no. 12, 2016, p. 147+.
2 https://www.youtube.com/watch?v=7y6ib-gFWhc&ab_channel=CorrieredellaSera
3 https://en.wikipedia.org/wiki/Binding_problem
4 https://www.tpi.it/cronaca/covid-galimberti-negazionismo-forma-pazzia-20201113698566
5 Come si sono chiesti recentemente i Wu Ming sul loro blog: https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/11/caccia-al-negazionista/
6 https://www.treccani.it/enciclopedia/negazionismo/
Immagine: tavola di Giambattista Della Porta (dettaglio) da De humana physiognomonia, 1586
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