Mentre in Italia si dibatte sull’opportunità del prolungamento dello stato di emergenza, la pandemia legata alla diffusione del Covid-19 pare aver spostato le sue maggiori criticità nei continenti americani. Le difficoltà statunitensi del Governo Trump sono note e storiche, mentre numerosi casi di importanti rappresentanti istituzionali si sono registrati in Brasile, Bolivia e Venezuela. In Europa la situazione è articolata e il dibattito talvolta propone approssimativi paragoni tra diverse nazioni.
Nel frattempo l’OMS, sotto attacco da parte della Casa Bianca, ha dichiarato un “nuovo record di contagi nel mondo“.
Leonardo Croatto
Dmitrij Palagi
Problema globale, risposta locale. Qualcosa non funziona. Anche perché ancora una volta la globalizzazione si è dimostrata un sistema economico del tutto indifferente ai bisogni delle persone e all’equità.
Il sistema di informazione si concentra sul metodo comparativo. Questo paese avrebbe fatto meglio o peggio dell’altro, a seconda della sensibilità espressa da chi sceglie di fornire dei dati (mai neutrali, dipende da come si sceglie di raccoglierli e leggerli).
L’emergenza è un metodo di governo da ormai molto tempo. Valeva per il terrorismo e rischia di valere per i cambiamenti climatici, ora il quotidiano sospende i meccanismi ordinari per via di un’emergenza sanitaria.
A Cuba si è tentata una risposta diversa, ma cosa può davvero fare una piccola isola a fronte di una modello di sviluppo sbagliato egemone a livello mondiale?
La cooperazione internazionale non esiste, in termini di politiche pubbliche. Lo si registra con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e con l’Unione Europea. Le istituzioni appaiono svuotate di significato e l’unica chiave per il futuro appare il consumo, la produzione di merci e materiali.
Lo ha ripetuto spesso Massimo Cacciari, dall’alto della sua visibilità mediatica: lo stare chiusi in casa non implicava una riflessione sull’esistente.
Si vuole dimenticare tutto il più in fretta possibile, per tornare alle ingiustizie di ieri, vissute meno peggio delle incertezze di oggi.
La sanità non è una priorità. Non la si può ignorare, che gioca ancora un ruolo in molte opinioni pubbliche. Ma davvero non appare il primo pensiero di chi ci governa. A partire dall’emissioni di debiti per permettere di sopravvivere. Che a fondo perduto si possono aiutare solo le imprese private, no?
Jacopo Vannucchi
Alessandro Zabban
Sebbene in Europa l’allarme sul Covid 19 si sia decisamente attenuato, a livello mondiale la situazione continua a peggiorare. Nella stessa Europa, che non può sigillare le sue frontiere esterne troppo a lungo, la situazione non pare idilliaca e la sensazione è che siano ben pochi gli Stati europei zelanti nel monitoraggio e nelle prevenzione rispetto a una possibile seconda ondata. In tutto questo, si assiste allo spettacolo raccapricciante di un sistema politico e mediatico schizofrenico che invita a uscire, consumare e andare in vacanza e allo stesso tempo si prodiga nello sterile esercizio di criticare tutti quegli assembramenti oramai ricondotti indiscriminatamente alla categoria di “movida”. In questa confusione di punti di vista e appelli, è comunque prevalsa la tendenza a ritornare alla normalità, con le persone che hanno quasi del tutto ripristinato le vecchie consuetudini, smentendo chi ipotizzava un cambiamento, persino antropologico, nel nostro modo di approcciarsi con gli altri e con le situazioni di assembramento.
Anche a livello collettivo, non si è assistito a un’apertura dello spazio delle possibilità politiche, con le normali procedure e le vecchie idee che hanno ripreso il loro naturale corso. Le posizioni e le liti all’interno dell’Unione Europea ne sono una chiara testimonianza. Insomma, se le cose cambieranno davvero sarà sotto la pressione dei movimenti di protesta che potrebbero esplodere con la crisi e non per una classe politica che si riscopre improvvisamente illuminata. Eppure la crisi economica che abbiamo davanti dovrebbe farci riflettere sul tipo di modello di sviluppo che è stato sempre legittimato. Viviamo in società che rischiano un forte declino civile e un incremento consistente della sofferenza individuale e collettiva e questo solo perché per qualche mese si è smesso di produrre e consumare beni non necessari. Con la stessa logica ma con una strategia opposta, Paesi come Stati Uniti e Brasile stanno invece mettendo a rischio la vita di milioni dei loro cittadini proprio per fare in modo che questi beni continuino a essere prodotti e consumati. Questa è l’assurdità del nostro sistema economico che fonda il benessere sul superfluo, un superfluo che oltretutto dimostra di essere sempre più insostenibile dal punto di vista ambientale. Qualcuno già diversi decenni fa scriveva che quella dei consumi non è la società dell’abbondanza ma il suo opposto. Nemmeno questa assurda crisi ha aiutato le nostre classi dirigenti a confrontarsi con questi aspetti.
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.