Dilemma a cinque stelle ed Europa (a dieci mani)
Non si poteva non affrontare questa settimana il tema che ha fatto discutere non soltanto i “malati” di politica ma persino gli avventori abituali dei bar intenti ad annuire o bestemmiare con il Secolo XIX o la Nazione tra le mani: la collocazione europea dei Cinque Stelle.
Strabiliante per tempi, risultati ed effetti.
Riuscirà il secondo partito italiano a smettere di sorprenderci?
Ha stupito il sondaggio lanciato dal partito-azienda di Grillo volto a decidere il gruppo europeo dei Cinque Stelle. Il risultato buffonesco assunto dalla vicenda dopo lo stop imposto dai soci di Verhofstadt (che a questo punto è lecito ritenere non fossero proprio informatissimi sulle mosse del loro capo) ha messo in secondo piano gli aspetti di metodo e di merito. Nottetempo, senza che nessuno tra gli iscritti “certificati” da Grillo medesimo ed isolati ognuno dietro il proprio pc ne fosse informato, è stata annunciata la giravolta: dall’ultradestra dell’Albione non più perfida che ha “isolato il continente” agli euroentusiasti, massacratori della Grecia ed iperliberisti dell’ALDE.
A cadere giù dalla sedia dalle risate o dallo stupore oltre me debbono essere stati anche i dipendenti europei dell’ex comico oggi padre padrone della seconda forza politica italiana. Un fuggi fuggi stizzito si è già portato via 3 eurodeputati (verso Verdi e Lega perché grande è la confusione sotto il cielo) prontamente minacciati dalla ditta (in senso giuridico e non bersaniano) con contratti da ancien régime. Grande discussione anche tra i media (eccessiva solo per un Travaglio caduto dal muro liscio sul quale si era arrampicato) e tra gli stessi commentatori/attivisti/consumatori del blog.
Pizzarotti sogghigna con gusto; a sinistra, con meno aplomb, si celebra la magrissima figura tanto di Grillo quanto dell’apprendista stregone belga; il PD esulta estasiato per i mancanti scranni e fondi su cui il movimento voleva mettere mano e per la confusione che sorgerà di nuovo tra le pentastellate fila a Brexit compiuta; Farage detta le condizioni di resa incondizionata per poi fargli “piglià o perdono”; Sibilia (che non ricordo se fosse quello del chip sottopelle o delle sirene) ex membro del “direttorio” (non quello che nel 1795 era contro il vincolo di mandato, l’altro) che critica apertamente Grillo… Tutto in due giorni. Intanto, però, inspiegabilmente essi rimangono intorno al 30% e su questo è utile smettere di ridere e cominciare a studiare.
Anche chi credeva al potere taumaturgico di un nuovo movimento al di fuori della storia politica di questo paese, dovrebbe ormai riconoscere la vera natura del M5S.
Si tratta infatti di un movimento riformista nato per arginare la polarizzazione politica della popolazione sempre più colpita dalla pauperizzazione. Le proposte avanzate nel campo dell’integrazione del reddito con forme di reddito garantito per i livelli più bassi della società rappresentano chiaramente delle politiche di riformismo sociale in grado di ostacolare il conservatorismo politico di una élite sempre più avulsa dal paese reale. Questo farsi portatore delle sofferenze del popolo ha reso il M5S inevitabilmente popolare, ma non ha spostato di una virgola la sua missione politica: l’avvicendamento alla gestione del potere.
L’esempio che più evidenzia il doppiogiochismo lo si ricava dal rapporto del movimento-partito alle due istituzioni politiche più influenti in cui è andato a inserirsi.
Se alle elezioni politiche del 2013 il M5S partecipò slegato da ogni coalizione, rifiutando, a mio avviso giustamente, ogni accordo politico in un contesto in cui persino il Presidente della Repubblica uscente e poi entrante si permetteva di influenzare la formazione di governi di grande coalizione (vedi gruppo dei dieci saggi). Alle elezioni europee del 2014 il M5S decise di presentarsi senza avere ancora deciso in quale gruppo politico schierarsi in parlamento. Ricordo che essendo il parlamento europeo molto più democratico di quello italiano (sic!) non consente alle forze politiche nazionali di non inserirsi in alcun gruppo. La decisione post-elettiva ricadde sul EFD – Gruppo Europa della Libertà e della Democrazia, quello euroscettico presieduto da Farage. È solo per questa titubanza che il tentativo del 9 gennaio di approdo sulle sponde europeiste e liberali dell’ALDE non si può configurare come vero e proprio tradimento del vincolo di mandato.
Già, siccome il M5S ci tiene a farsi promotore di ogni forma di democrazia diretta, io seguo il loro impeto e ricordo che si è sfiorata la violazione del vincolo che lega il parlamentare all’elettore di un nonnulla. Stavolta li ha salvati l’incertezza a monte, ossia la stessa che li ha portati a schierarsi con i massacratori di intere popolazioni in nome dell’austerità a valle. Insomma, a parere di chi scrive, il M5S dopo aver resistito in Italia alle lusinghe del potere ha infine ceduto laddove occorreva mantenere una maggiore integrità, ossia nell’UE. Il risultato è addirittura ridicolo poiché il M5S sarebbe passato, se l’ALDE stesso non avesse rifiutato, da un gruppo euroscettico a un gruppo sostenitore della peggior macelleria sociale in nome dell’Unione Europea. Ma quel che è peggio è che dopo un simile pasticcio politico arrivano le risate delle iene, quelle pronte a pasteggiare con la carcassa politica del M5S ferito a morte. E si sentono già in lontananza le inquietanti risate del PD, tra un “non siete democratici” e un “siete opportunisti”.
La rimozione di alcune informazioni rischia di sviare, al solito, le discussioni. L’ALDE è stato il gruppo dell’Italia dei Valori, improbabile esperienza italiana salutata con grande entusiasmo dall’elettorato italiano, con un giustizialismo che gravi danni ha fatto nei settori sociali a cui guarda la sinistra. L’esperienza di Ingroia ci parla di una presunta compatibilità tra sinistra e ALDE. Così come De Magistris, amato sindaco da realtà extraparlamentari e non estraneo alla storia dell’ALDE, in termini di collocamenti.
Questo solo per cercare di smettere di ripetere che “questo dimostra che il M5S non è di sinistra”.
Un altro punto da non dimenticare è che della collocazione europea non è, fino ad oggi, importato niente a nessuno. La grande coalizione di fatto tra PSE e PPE è nata molto prima a Bruxelles che negli stati nazionali (prima in Germania e poi in quasi tutti i paesi della parte occidentale del continente). Mentana, che al solito non resiste dal commentare le notizie, si stupiva che i sondaggi non risentissero della vicenda ALDE-Grillo.
Il punto è che l’Europa è un preteso per declinare la lotta alla casta, la pulsione di pancia che viene da lontano, in cui Mani Pulite ha giocato un ruolo che meriterebbe di essere riletto.
Certo: il recente fatto di cronaca ci ha permesso di dire che “avevamo ragione”, noi critici del 5 Stelle “da sinistra”. Però il nostro problema non è avere ragione o essere nel giusto, è riuscire a convincere gli altri. In questo ancora non ci siamo.
Da un punto di vista meramente formale la collocazione del M5s nell’Alde non sarebbe innaturale: la disperata ricerca di un capitalismo “onesto” e realmente concorrenziale, libero dal dominio dei cartelli, così come la convinzione che la politica sia una disciplina tecnica per la quale basti il «buon ragioniere» evocato da Guglielmo Giannini, sono nuclei ideologici del tutto vicini al pensiero di Mario Monti, la cui eventuale coabitazione con Grillo nell’area Alde ha sollevato tante ironie e perplessità. Del resto M5s e Scelta Civica si presentarono entrambi agli elettori come corpi estranei ai partiti tradizionali, venendo per questo premiati – stando agli exit poll – dai giovani e da chi votava per impulso (ovvero decidendo spesso in cabina, non per calcolo razionale né per appartenenza).
In secondo luogo i punti programmatici del M5s degli albori – trasparenza della politica e dell’informazione, ambientalismo, critica del bipolarismo tradizionale – lo accomunavano, all’inizio di questo decennio, ad altre forze liberali che raccoglievano il voto dei giovani politicamente spiantati e delusi: i Lib-Dem britannici, la VVD nederlandese, la Radikale Venstre in Danimarca…
Infine l’Alde era già stata la casa dell’Italia dei Valori, che del M5s anticipava numerosi punti programmatici pur essendo, in vari aspetti concreti, tutt’altro che liberale (si ricorda, ad esempio, il loro no alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle violenze del G8 di Genova).
Ma non sfugge ad alcuno, e certamente non a Verhofstadt, che non sono compatibili con la cultura liberale le visioni con cui Grillo ci ha anticipato il governo M5s dell’Italia: i processi per gli avversari politici e per i giornalisti critici, lo scioglimento dei partiti politici e dei sindacati e l’introduzione del vincolo di mandato.
Il disegno di Verhofstadt, mandato a monte da una rivolta interna, era dettato da una sete di influenza politica (con il M5s il gruppo Alde sarebbe passato da 68 a 83 deputati) che ha già ammorbato ben più influenti protagonisti: il Partito Popolare Europeo, che per anni ha fornito e continua a fornire asilo a personaggi discutibili e ostili all’integrazione europea, ma provvidenzialmente carichi di voti, come Berlusconi e Orbán.
Il peccato originale di questa vicenda risiede dunque in una UE ostaggio degli stati membri e, con essi, delle loro peggiori pulsioni interne.
Trump ci ha insegnato che si può tranquillamente vincere pur disseminando di gaffe madornali il percorso della propria campagna elettorale. L’inadeguatezza del M5S nel forgiare un progetto politico coerente è frutto innanzi tutto del carattere di assoluta impreparazione e inesperienza dei suoi vertici ma dal punto di vista elettorale sembra che questo aspetto preoccupi poco un elettorato che continua a sostenere in maniera massiccia un’organizzazione politica che mostra tutta la sua confusione ideologica oltre che organizzativa.
Il pasticcio scaturito dal tentativo andato male di cercare di cambiare schieramento politico a livello europeo, con ogni probabilità non comporterà nessuno scossone elettorale perché si sta diffondendo in società un sempre più alto grado di disinteresse che non riguarda più solo i tecnicismi politici ma anche i sistemi di alleanze e le scelte di campo.
In una Europa che è percepita come un blocco unitario e monolitico, a pochi importa da quale pulpito vengano pronunciati i sermoni di un Movimento che col pretesto di considerarsi né di destra né di sinistra, in realtà può essere entrambi a seconda della situazione e delle opportunità che si presentano dato che è in grado di variare piuttosto facilmente e rapidamente modalità e contenti della sua politica. Non c’è dunque nessuna carica rivoluzionaria ma solo molta confusione in un progetto politico che mostra sempre di più di non poter e voler costituire alcuna alternativa credibile al sistema.
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.