Riflettendo sulla proposta del ddl Fiano
Talvolta qualcuno si riferisce a Boeri come ad un Ministro delle Pensioni, scherzando sull’inconsuenta ingerenza del Presidente dell’INPS nel dibattito pubblico. Nelle librerie è uscito anche un suo libro su “Populismo e stato sociale”. In generale il tenore medio delle sue dichiarazioni è un misto tra posizioni progressiste (“senza migranti non andremmo avanti”) e tesi da anni egemoni (sulla non sostenibilità di un sistema pensionistico che ci avrebbe portato a vivere al di sopra delle nostre possibilità per anni ed anni, leggi qui e qui).
Proviamo a discutere di pensioni e giovani generazioni a partire dalle ultime uscite di Boeri e dalla conferma della grave situazione nostrana inerente ai NEET.
Anche chi non mastica granché di sistemi pensionistici, e magari se ne interessa ancora meno, può facilmente comprendere come, con un’occupazione in picchiata, un incremento demografico al palo e una popolazione di pensionati sempre più vasta e sempre più longeva, un qualunque sistema che non sia quello della capitalizzazione individuale – il fondo pensione per chi se lo può permettere – sia destinato prima o poi a mostrare la corda. Le alternative per non arrendersi a questa triste prospettiva sono un aumento generalizzato dei contributi, poco fattibile in quanto in Italia la quota di reddito che direttamente o indirettamente finisce fagocitata dalla previdenza è già a livelli molto elevati, oppure un incremento sostenuto dell’occupazione; a queste due soluzioni si può forse aggiungere l’introduzione di un reddito di cittadinanza che per i pensionati sia sostitutivo della pensione, ma è già fantapolitica. L’afflusso di migranti, caldeggiato da Boeri, può apportare un’utile trasfusione demografica di giovani in età lavorativa, e in quest’ottica le sue dichiarazioni sul tema sono ovvietà lapalissiane. Bisogna però sottolineare con forza che se la disoccupazione, specie giovanile, rimane agli attuali livelli preoccupanti non basterà nessun flusso migratorio a risanare le prospettive dei pensionati e futuri pensionati italiani. È assolutamente fondamentale una strategia coerente di piena occupazione sul lungo periodo.
Per quanto riguarda i NEET, fenomeno inquietante di per sé, la partita va giocata in parallelo e nel campo delle possibilità lavorative e nel campo delle possibilità educative. Non si risolve un fenomeno complesso come quello dei giovani che non lavorano e non studiano se non si ammette che il sistema educativo italiano è profondamente escludente, e che il problema non è la fantomatica (e assolutamente inesistente) cultura della mediocrità o del sei (o diciotto) politico, ma la purtroppo reale rincorsa all’antimoderna e reazionaria cultura “meritocratica”, che per cercare “l’eccellenza” – misurata su dubbi standard, tutti alla fin fine riducibili alla ricchezza misurata in euro – punisce chi “eccellente” non è, fino all’esclusione e all’espulsione di chi resta indietro.
Piena occupazione e un’istruzione che a tutti i livelli sia aperta e includente. Non saranno uscite ad effetto, ma sicuramente sulla realtà hanno qualche possibilità di incidere in più.
Sarà l’allungamento della vita media o sarà il progresso che permette questo successo, ma se c’è una certezza è l’arretramento culturale e civile che stiamo subendo. Il fenomeno dei Neet è frutto di un sistema che crea sempre più isolamento sociale. Ci sono le opportunità di studio e di lavoro ma sempre meno persone riescono ad accedere a tali opportunità e il sistema diventa sempre più escludente, generando disagio. Viviamo in un periodo altrettanto cupo anche per le fasce generazionali più anziane, intrappolate in lavori spesso insostenibili fino ad età alquanto improbabili, il tutto per un puro conteggio ragionieristico.
Quanto siano fragili i bilanci dell’INPS ce lo spiega il buon Boeri (leggi qui) e ce lo spiega talmente bene che pochi giorni dopo per tutelare una fragile stabilità creata ad arte riesce a parlarci delle migrazioni come elemento funzionale al sistema pensionistico (leggi qui). In un sistema contributivo il saldo dei contributi diventa essenziale. È talmente lapalissiano che occorre prima lamentarsi dei pensionati che vivono all’estero, pur avendo maturato la pensione presso lo Stato italiano e poi attrarre nuove risorse economiche dall’estero per incrementare i flussi contributivi in ingresso. L’umanitarismo liberale è più cieco di quanto sembra, infatti i diritti umani fanno diventare le persone risorse economiche in men che non si dica.
Ma che ci volete fare, è l’arte degli apprendisti stregoni che gestiscono i bilanci di Stato far comparire e scomparire i soldi da un dì all’altro. Inoltre, un’attenta gestione dei bilanci secondo il principio contributivo imporrebbe la fine dell’erogazione pensionistica nell’esatto momento in cui le prestazioni giungono a superare i contributi versati. Valuti il lettore quanto umanitario sia un principio del genere. C’è poi un’altra particolarità del modo di produzione capitalistico che sfugge al nostro ragioniere di Stato, ossia il funzionamento del nostro sistema economico tramite “disoccupazione strutturale” che permette di incrementare la competizione tra esseri umani al fine di ottenere risorse economiche a buon mercato. Nulla di straordinario, tant’è che avviene dall’alba del sistema capitalistico, ma il fenomeno dei Neet è dovuto alle ricadute sociali della crisi economica del 2008. È impossibile capirne l’incremento senza legarlo a quell’evento.
Non è nemmeno un caso che il dato sui Neet sia legato al dato sulla povertà estrema, è evidente come i due fenomeni si reggono a vicenda (leggi qui). Questo senza dimenticare il contesto storico in cui viviamo, poiché è dagli anni Settanta che la disoccupazione giovanile aumenta gradualmente e infondo non c’è prova più tangibile della crisi sistemica di questo dato. Quello che dovrebbe sconvolgere l’opinione pubblica, ma non lo fa perché evidentemente inibita dai bombardamenti massmediatici, è che il Presidente dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale abbia la presunzione di risultare scientifico in un’analisi in cui non tiene minimamente conto del fenomeno sociale “disoccupazione strutturale”, mentre tiene ampiamente conto del fenomeno sociale “migrazione” (in merito si rimanda alla seguente lettura).
Boeri è un personaggio politico di indubbio interesse. Quanto sia influente è da vedere, ma certamente lo si può seguire ritenendolo un rappresentante di tendenze presenti nel Paese. In particolare il presidente dell’INPS, nominato da Matteo Renzi, ha scelto di vivere il suo ruolo per dare forza a teorie espresse in più occasioni, anche in forma scritta (nel lontano 2002 è tra i fondatori anche del sito Lavoce.info).
Il centrosinistra progressista incarnato dall’economista in questione ha da tempo il sogno di riformare il sistema di ammortizzatori sociali e sistema previdenziale, per renderlo più “sostenibile” ed “equo”, contro gli estremismi ed i conservatori. Il buon senso dietro cui si mascherano le dichiarazioni relative ai migranti si limita ad evidenziare alcune ovvietà empiriche, con voluto effetto mediatico, in un paese dove ancora si assiste a spettacoli come quello delle braccia tese a Latina.
Come ormai sempre più spesso capita andrebbe disarticolato il dibattito, per ricondurlo ai reali elementi.
Dovrebbe essere considerato scontato ritenere la pensione come salario differito, anziché reddito, ma non lo è. Una persona inoltre dovrebbe avere facile accesso ai dati per i quali è evidente che la parte previdenziale non è in passivo, anzi, ma l’INPS si è accollata numerosi altri problemi fiscali ed economici.
Il dibattito astratto ci parla di industria 4.0, di un mondo fantastico in cui delegheremo le fatiche alle macchine, in cui ci sarà bisogno di un reddito minimo da investire nell’assicurazione migliore del momento. Concretamente in realtà se andate alle Poste a versare lo stipendio vi sentirete chiedere perché non avete aperto un cassetto previdenziale integrativo, dato che a prescindere dal tipo di contratto che avete si dà per scontato che la pensione pubblica non vi basterà.
A Boeri piace fare teoria, come a larga parte del gruppo dirigente del Paese (tecnico o politico che sia). C’è poi la quotidianità, fatta di lavoratori e lavoratrici ignari dei loro diritti e dello stesso significato delle parole che ascoltano.
L’esito del referendum costituzionale, per la sinistra, dovrebbe essere utile anche per ribadire l’Articolo 38 e le varie sentenze della Corte Costituzionale in materia previdenziale.
Le affermazioni di Boeri toccano due questioni: da un lato le opportunità di lavoro (e di pensione) per i giovani, dall’altro la sostenibilità del sistema socio-previdenziale.
Per quanto riguarda quest’ultimo, l’immigrazione risulta vitale non tanto per mantenere il sistema in equilibrio quanto proprio per evitarne il collasso. L’ultimo rapporto Istat conferma infatti il calo della natalità anche tra gli immigrati, aggravando l’invecchiamento della popolazione. Scarse opportunità di lavoro per i giovani, emigrazione giovanile, bassa natalità per chi resta in patria, fragilità della copertura pensionistica sono criticità che si riproducono in un perverso circolo vizioso. Il debole sistema produttivo italiano, connotato dalla presenza delle PMI, ha già prodotto una quota molto bassa di laureati, ma neppure questi pochi riescono a trovare un lavoro stabile: non certo perché defraudati dagli immigrati, come il senatore Calderoli ha dichiarato ribattendo a Boeri, ma a causa delle delocalizzazioni produttive volte a spremere all’osso il costo del lavoro.
Ma anche per i “privilegiati” che hanno l’opportunità di un lavoro stabile in Italia il sistema contributivo risulta una bomba a orologeria sociale, tanto che Poletti e Nannicini (responsabile economia del Pd) hanno proposto una “pensione di garanzia” per quanti hanno iniziato a lavorare dal 1996. La questione per i cosiddetti Millennials non è fino a quanti anni lavoreranno, perché con un sistema sociale funzionante e di buon livello l’allungamento della vita media comporta un migliore stato di salute e quindi l’allungamento anche della vita lavorativa (almeno per certi impieghi); la questione è invece se la pensione pubblica che riceveranno sarà dignitosa, secondo quanto previsto dall’art. 38 della Costituzione italiana.
La lista degli interventi necessari per sciogliere i tanti nodi sopra ricordati è lunga ma precisa: l’attrazione di investimenti per creare lavoro qualificato; l’adozione dello ius soli e la riforma delle leggi sull’immigrazione per combattere la concorrenza salariale dei non-cittadini; l’integrazione europea con forti investimenti pubblici per appianare le sacche di dumping salariale nell’Est Europa, per creare occupazione, per controllare le grandi concentrazioni di capitale e addomesticare il mercato selvaggio; il sostegno alla natalità attraverso la conciliazione vita-lavoro.
I passi mossi dal Governo italiano, pure se di per sé poco efficaci in assenza di un intervento strutturale europeo, sono rilevanti in quanto costituiscono il primo reale tentativo di risoluzione generale del futuro dell’Italia.
Mentre la ricchezza si concentra sempre più nelle mani di pochissimi miliardari, continua la retorica dell’austerity e dell'”avete vissuto sopra le vostre possibilità”. Boeri si pone sulla falsariga di chi ha usato la crisi finanziaria e del debito come pretesto per accelerare lo smantellamento del welfare. L’obiettivo non è quello di rendere il settore pubblico più efficiente, ma quello di realizzare l’utopia liberoscambista dello Stato minimo, renderlo un mero involucro amministrativo entro cui si produce una lotta darwiniana per la sopravvivenza economica, una guerra di tutti contro tutti che viene spacciata come libertà.
Così, mentre si celebrano le virtù eroiche dei pochi che sono usciti vincitori da questo bagno di sangue, prendendosi tutto, l’esercito degli sconfitti si deve sentir dire che per salvare i conti pubblici occorre ridurre le pensioni o innalzare l’età pensionabile a 70 anni. Si vuole giustificare questa assurdità col la narrazione dell’incremento dell’aspettativa e della qualità della vita che proprio i tagli alle pensioni e alla sanità stanno invece riducendo! Mentre la macelleria sociale raggiunge livelli mai sperimentati di cinismo, siamo bombardati dal culto della ripresa, evento messianico in realtà mai realizzatosi come dimostrano i dati recentemente pubblicati dalla Commissione Europea che parla di un paese in cui la povertà assoluta è in aumento e nel quale il numero di giovani che non lavorano e non studiano sfiora il 20%.
Non si potrà fermare il declino se si continua con le solite ricette neoliberiste, ma sarà dura invertire la tendenza fintanto che il welfare viene visto come una zavorra e un ingombro.
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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