I recenti fatti riguardanti la richiesta della rimozione di statue pubbliche, come è successo ad esempio per quella di Indro Montanelli, o di simboli ritenuti anacronistici o deleteri per il messaggio che veicolano, sicuramente spingono a qualche riflessione.
Certamente non si tratta di eventi inediti: la storia antica e recente porta con sé molteplici esempi di questo tipo: basti ricordare, per andare indietro nel tempo, ad esempio, come il Tempio di Gerusalemme fu distrutto due volte: la prima volta, nel 587 a.C. dal re di Babilonia, Nabucodonsor; ricostruito tra il 536 e il 515 a.C., fu abbattuto una seconda volta dalle legioni romane di Tito nel 70 durante la prima guerra romano-giudaica. Nel Medioevo, nel 1072, con la sconfitta e la cacciata degli arabi da Palermo, Ruggero D’Altavilla, per ottenere l’appoggio della Chiesa, rase al suolo tutte le moschee della città, mentre nel 1204 i soldati impegnati nella IV crociata conquistarono e devastarono Costantinopoli, distruggendo, oltre a statue risalenti a mille anni prima anche l’antica Biblioteca bizantina; in epoca moderna, durante la Rivoluzione Francese, vennero abbattute chiese, monasteri e perfino l’intero apparato scultoreo di Notre Dame, mentre durante la Prima e la Seconda Mondiale vennero bombardati monumenti di valore inestimabile, come, solo per fare un esempio, l’antico monastero di Montecassino colpito dagli Alleati nel 1944. Dopo la caduta del muro di Berlino molti monumenti dei leader comunisti sovietici furono abbattuti nei Paesi dell’ex URSS (è notizia di pochi giorni fa che, invece, è stata inaugurata a Lenin una statua a Gelsenkirche, in Germania, come a sottolineare il relativismo intrinseco di molte operazioni di distruzione o costruzioni di simboli e riferimenti storici e culturali). Per arrivare ai giorni nostri, difficile non ricordare la distruzione di Palmira da parte dell’Isis nel 2015.
Attraverso questo breve excursus, è possibile evincere, che, al di là dei diversi contesti storico-ideologici, la distruzione di monumenti e raffigurazioni artistiche rappresenta spesso l’emblema della presa di potere da parte di un vincitore che tenta di fare tabula rasa dei simboli del precedente assetto politico-culturale per riproporne dei nuovi funzionali alla propria visione.
Tornando al presente immediato, come scritto in apertura, ha suscitato dibattito la statua di Montanelli a Milano che è stata imbrattata con vernice rossa il 13 giugno 2020, mentre un gruppo di attivisti, in concomitanza con le manifestazioni antirazziste seguite al barbaro omicidio di George Floyd, ne ha chiesto al sindaco Sala la rimozione.
La questione è sicuramente complessa, e se è vero che Montanelli, in quanto espressione di un pensiero dissidente, legato anche da vicende personali al fascismo, rappresenta un intellettuale divisivo, attraverso il deturpamento di una sua statua si rischia di accendere una polemica ben più ampia del singolo caso: certamente il giornalista di Fucecchio può per alcuni incarnare un’ideologia discriminatoria (basti pensare che l’intellettuale ammise, nel corso di una trasmissione televisiva, di aver sposato e abusato una ragazzina eritrea di dodici anni all’epoca del colonialismo fascista in Africa) e in contrasto con gli ideali di uguaglianza ed emancipazione veicolati da coloro che ne hanno richiesto la rimozione; ma chiedere l’abbattimento del monumento che lo celebra non rischia di essere una fanatica operazione ideologica?
Per alcuni no: scrive, ad esempio, Silvia Ballestra, che “è pienamente condivisibile la sensibilità delle nuove generazioni che tornano a parlare dei crimini coloniali italiani, dei corpi delle donne come bottini inermi di guerra, della violenza contro popolazioni inermi di ieri di cui Montanelli “mai si pentì” neanche nel mutato contesto storico del Dopoguerra, ma che anzi “continuò a rivendicare”, assurgendo a emblema, “se non di un mostro, certamente di uno a cui non tributare un monumento”[1].
C’è invece chi non vede nella richiesta della rimozione della statua che una mera forma di integralismo, per cui “tra i nuovi fanatici della censura, il passato dell’arte, della cultura e del pensiero, va superato, cioè distrutto, cancellato, epurato, ricontestualizzato, che è l’esatto opposto della doverosa contestualizzazione di un testo, di un’opera, di un’idea, di una parola”[2].
Come spesso accade, in medio stat virtus, e, senza arrivare a fanatiche tabulae rase, certamente il contesto storico mutato, e una nuova sensibilità che esso porta con sé, aiutano a decretare la legittimità o meno di certe rappresentazioni storico-artistiche.
Nel caso specifico di Montanelli, dal punto di vista di chi scrive, domandare la rimozione della sua statua a Milano assume un senso perché in Italia a nessun altro giornalista, per quanto grande professionista, è stata tributata una statua, e dunque, perché mantenere quella eretta a un personaggio così controverso, approdato dal fascismo a un conservatorismo antifascista che non può però assolverlo da alcune dichiarazioni esplicitamente razziste (“non si sarà mai dei dominatori, se non avremo coscienza esatta della nostra superiorità. Coi negri non si fraternizza”[3], scriveva nel 1936, e, come suddetto, mai del tutto smentite, ma anche appoggiate dalla convinzione che quello fascista fu un colonialismo mite e bonario)? Forse la statua ha un suo senso perché Montanelli è stato vittima di un atto terroristico nel 1977, quando fu gravemente ferito dalle Brigate Rosse? Ma neanche in questo caso, a nostro parere, è valida la motivazione dell’edificazione di una statua in suo onore, dato che è stata costruita per omaggiare il pensatore, non la vittima.
Ma allora, si potrebbe obiettare: chi può arrogarsi di decidere la legittimità o meno di un pensiero? E inoltre: se si critica Montanelli per le sue idee, perché non rinnegare, ad esempio, le opere di Heidegger, Céline o Pound, autori dalle idee filonaziste? O, come è accaduto di recente, perché non considerare surreale mettere sotto accusa Via col Vento rimosso dal catalogo di HBO Max, perché accusato di razzismo? Il punto, in questi ultimi casi, è che si tratta, appunto di opere che possiedono un valore artistico, filosofico o letterario in sé, a prescindere, e, anzi, ben oltre le posizioni politiche dei loro autori, e, qualora sottintendessero un’ideologia non conforme alla mutata sensibilità attuale, ciò non toglierebbe nulla allo spessore e al valore culturale che incarnano.
Tornando a Montanelli, il discorso è un po’ diverso, in quanto il problema non sta se leggere o meno i suoi articoli, ma se conservare un suo monumento che probabilmente non sarebbe il caso di erigere neanche a personaggi letterari ancora più illustri ma con idee ad oggi concepite come anticostituzionali, poiché, nella bilancia fra meriti speculativi e dubbia vicinanza politica probabilmente quest’ultima dovrebbe avere un peso rilevante nel ritenere non idonea l’edificazione di statue a persone portatrici di una certa visione del mondo. Le opere e il pensiero di Montanelli, per quanto punto di riferimento imprescindibile nell’ambito giornalistico, non possiedono, per chi scrive, quel valore storico e culturale tale da giustificare la costruzione di una statua in suo onore. L’opera non scavalca la persona, insomma.
Come fare, però, a non cadere in un fanatico revisionismo che porta a distruggere il passato nel nome del presente e discutere dell’argomento in modo imparziale e obiettivo, per quanto spinoso farlo? Sicuramente il contestualizzare storicamente un’opera è il principale criterio da utilizzare, per cui se un personaggio era portatore di idee ad oggi ritenute inammissibili, non va demonizzato per forza, ma va studiato entro la sua dimensione storica, così come personaggi rivoluzionari dal punto di vista dell’emancipazione del pensiero e dei diritti dell’uomo assumono ancora maggior spessore proprio per il contesto meno illuminato in cui le loro rivendicazioni sono sorte.
La contestualizzazione, poi, non dovrebbe essere l’unico criterio, ma andrebbe accompagnata a una valutazione della grandezza del personaggio in questione, delle sue opere o delle sue imprese. Sarebbe assurdo non elogiare Cristoforo Colombo per aver scoperto l’America, anche se ciò ha dato vita alla colonizzazione europea, alla sottomissione e sterminio delle popolazioni indigene e allo schiavismo, come del resto apparirebbe insensato erigere un monumento a Hernàn Cortes ritenuto a suo tempo un eroico conquistatore. Sta poi semplicemente al buon senso discernere tra giusta rimozione e assurdo fanatismo, come nel caso della grottesca decisione di un’azienda svizzera di eliminare dagli scaffali dei cioccolatini “moretti”, detti anche “testa di moro”, pericolosi veicoli di un razzismo strisciante[4].
Sradicare tout-court il passato, in nome di un integralismo prepotente e ignorante, non fa altro che impedire alla storia di essere fonte di insegnamento, di poter essere letta e interpretata lucidamente e criticamente, anche per evitare di ripetere gli stessi errori. È forse più consigliabile leggere Dante e tributargli statue o invece rimuoverlo dai propri scaffali perché considerato islamofobo?
A conclusione, si potrebbe citare la recente decisione, da parte di Ellen V. Futter, la direttrice del Museo di Storia Naturale di New York, di rimuovere la statua equestre di Roosvelt, scolpita nel 1939 da Earle Fraser che raffigura il ventiseiesimo presidente degli Stati Uniti a cavallo con ai suoi piedi un indiano d’America e un africano, considerata un simbolo razzista. La richiesta non riguarda le idee politiche di Roosevelt, ma la “composizione gerarchica” della sua rappresentazione. L’iniziativa è stata approvata anche da uno degli ultimi eredi del presidente americano, il suo pronipote Theodore Roosevelt IV, secondo il quale “il mondo non ha bisogno di statue o reliquie di un’altra era che non riflettono né i valori di una persona né i valori di uguaglianza e giustizia”[5]. Probabilmente il senso di questa richiesta ha un intento positivo, proprio per la composizione iniqua delle figure scolpite. In ogni caso, al di là del caso particolare della singola statua, il vero problema non sta tanto nel decidere se abbattere questo o quel monumento, ma lavorare invece sul tessuto politico e culturale della società.
La statua è solo la punta di un iceberg, ha un valore simbolico e celebrativo che solo teoricamente può trasmette dei messaggi, senza che necessariamente i principi che incarna siano vissuti nella società. Sarebbe necessario invece lavorare per fare in modo che determinati valori intacchino nella profondità della polis, che si radichino nelle convinzioni dei singoli e della intera collettività per agire davvero e per essere promotori di mutamenti sostanziali nel tessuto sociale e politico. Solo allora, parlare della necessità o meno di edificare o abbattere monumenti acquisterà un significato più autentico.
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Silvia Ballestra, Montanelli non merita una statua, Internazionale, 16 giugno 2020. ↑
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La distruzione delle statue: dai moretti a Otello il fanatismo che azzera la storia, Corriere della Sera, 11 giugno 2020 ↑
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Indro Montanelli e l’acquisto di una moglie, in Bufale.net, 21 Febbraio 2002. ↑
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La distruzione delle statue: dai moretti a Otello il fanatismo che azzera la storia, cit. nota 2 ↑
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New York, sarà rimossa la statua di Roosevelt davanti al Museo di Storia Naturale: “Troppo razzista”, La Repubblica, 22 giugno 2020.
Immagine Baltimore Heritage da Wikimedia Commons
Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.