Il 24 marzo di questo anno, Marco Minniti ha iniziato la sua collaborazione con il quotidiano la Repubblica. Il già Ministro dell’Interno, che oggi guida una Fondazione promossa da Leonardo, che si occupa di promuovere relazioni con Mediterraneo e Oriente, ha scritto nel suo primo articolo dell’importanza di evitare un collasso in Libia, che trascinerebbe con se altre aree dell’Africa settentrionale.
Il nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri ha esplicitato la linea dell’esecutivo italiano: far arrivare la Libia alle elezioni per i primi di dicembre, sostenendo il governo unitario e il cessate il fuoco. È stata annunciata una visita nella prima settimana di aprile. «L’Italia difende in Libia i propri interessi nazionali», è stato dichiarato in Parlamento da Mario Draghi.
Delle relazioni tra Tripoli e Roma scriviamo nel nostro appuntamento settimanale a più mani.
Leonardo Croatto
L’Italia ha sempre avuto col mediterraneo un rapporto strettissimo, anche se l’importanza del ruolo esercitato in tempi passati nelle relazioni con i paesi che vi si affacciano è stata probabilmente mitizzata.
Lo spappolamento degli equilibri conseguenti alle primavere arabe e alla guerra in Libia e poi in Siria, il disimpegno degli USA, le rinnovate ambizioni della Turchia e gli interessi dell’Egitto hanno rimesso in discussione tutti gli equilibri locali, e non sembra che in questo caos il nostro paese riesca a giocare un ruolo di rilievo.
Sembra inoltre che qualsiasi tentativo di intervento nei conflitti in questo momento in atto si scontri, anziché trovare una sponda, con gli interessi di altri paesi europei, senza che l’UE riesca, in politica estera come in molte altre materie, a svolgere un ruolo di sintesi.
L’azione italiana è andata nella direzione di evitare vuoti di potere, di limitare l’espansione russo-turca, nella limitazione dei flussi migratori, nella tutela degli interessi energetici e nella prevenzione di infiltrazioni terroristiche, ma la nostra capacità di agire su questi assi e influire positivamente su ciò che accade in medio oriente e nel bacino del mediterraneo è apparsa decisamente scarsa, e se negli ultimi anni sono stati avviati dei tentativi, seppur abbastanza confusi, di mettere in piedi una strategia d’intervento a tutela degli interessi nazionali, questa non è riuscita a dimostrarsi apprezzabile né nei metodi né negli scopi. I lager libici per il controllo delle migrazioni e il rapporto con l’Egitto dopo il caso Regeni sono stati il punto più basso di un’azione diplomatica debole a volte, riprovevole altre.
Dmitrij Palagi
Quali sono gli interessi nazionali dell’Italia negli altri paesi? Di che natura sono? Chi li porta avanti, quale complesso sistema si è articolato per garantirli?
Da quanto tempo il dibattito pubblico non affronta queste questioni, senza perdersi esclusivamente nelle raffinate analisi geopolitiche o nei commenti sull’inglese di Matteo Renzi?In Libia l’Italia continua ad avere un ruolo. Troppo marginale, si legge da più parti. Nonostante questo ci si concentra sull’immigrazione, quasi fosse l’unico legame che il nostro Paese (e l’Unione Europea) hanno con il continente africano.
Quello che manca ovviamente è un ragionamento comunitario sulla valenza di un’area (quella europea) destinata a una progressiva marginalità, secondo molte letture. Ma forse prima di tutto occorrerebbe partire dagli interessi italiani in Libia, che non riguardano evidentemente una futura umanità che vive in reciproca solidarietà. Nella nostra pensiola sarebbe l’occasione per rendere note le correlazioni tra livelli istituzionali, capitale (residuo) pubblico ed economia privata. I nuovi ruoli di Minniti e Renzi non sono accidentali. E non sono questioni private.
Jacopo Vannucchi
La volontà dichiarata dall’ex ministro Minniti di evitare un’egemonia russo-turca sul Mediterraneo centrale è certamente condivisibile. La gestione strategica del Mediterraneo dovrebbe infatti vedere un ruolo autonomo e unitario dell’Unione Europea nella collaborazione con i Paesi del Nordafrica e del Medio Oriente, e certamente anche con la Turchia e con la Federazione Russa. La forza negoziale, nei confronti di tutti questi interlocutori, di una politica estera UE sarebbe un elemento ben diverso dall’attuale frammentazione in cui diversi attori, dalla Spagna a Cipro, perseguono interessi nazionali diversi.
Non è però chiarissimo come, a questo fine, dovrebbe costituire buona notizia il rinnovato interesse statunitense verso l’area. La partecipazione degli Stati Uniti alla costruzione di una politica di sicurezza collettiva sarebbe certamente una buona notizia, ma visti i precedenti si ha ragione di nutrire qualche timore. L’attuale amministrazione a Washington presenta infatti lampanti continuità con quella del Presidente Obama che fu responsabile, dieci anni fa, proprio del «collasso libico» e del «gigantesco effetto domino in altri Paesi del Nordafrica» giustamente paventati oggi da Minniti.
Credo non vi sia bisogno di ricordare i gravissimi costi umani di quanto veniva graziosamente chiamato Primavera araba: costi umani in termini di vite troncate, di crollo del tenore di vita, di penetrazione terroristica in Africa e in Europa.
Ovviamente non basta evocare una politica estera europea autonoma e unitaria perché essa si realizzi, anche perché la politica estera è fatta di scelte strategiche e di relazioni e oggi queste, come si vede, presentano divergenze fra i singoli stati membri. Perciò è apprezzabile il dichiarato intento di Draghi che l’Italia non debba «avere alcun dubbio a difendere i propri interessi internazionali, né […] timori reverenziali verso qual che sia partner». L’auspicio è che vi sia la possibilità di recuperare margini di autonomia nello scacchiere internazionale, pur nel quadro di un continuato rapporto con gli Stati Uniti la cui posizione è, del resto, da anni chiaramente indebolita.
Immagine da www.flickr.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.