In pochi giorni la situazione politica italiana è rapidamente mutata, con un’accelerazione imprevista. A poco più di un anno il Ministro dell’Interno e Segretario della Lega, Matteo Salvini, ha dichiarato l’intenzione di porre termine al Governo Conte. Il quadro nazionale, a poche settimane dal voto europeo, nel pieno dell’estate, subisce un profondo mutamento…
Piergiorgio Desantis
È sempre più inutile commentare l’ennesima crisi di governo, non per il passaggio in sé ma per le ragioni che hanno portato alla fine del governo gialloverde. Cannibalizzazione e subalternità totale del M5s alla Lega erano ampiamente prevedibili e previste. Le ragioni della chiusura, invece, sono tutte di propaganda spicciola, di consenso immediato (“italiani datemi pieni poteri” è una roba comunque inquietante). Il Paese vive tutti i segnali di una stagnazione e di una desertificazione economica e sociale (basta fare un giro al Sud Italia ma non solo) mancando totalmente una visione di sviluppo compatibile, di lavoro e di politica industriale (cosa che avevano tutti i partiti della Prima Repubblica). Continua l’assenza di una qualsiasi cultura politica e economica (che non sia un fascino per il liberismo tardo anni ’80), mentre il consenso si ottiene sulle proposte di difesa e di respingimento di persone che si muovono. Opposizione assente e, quando presente, divisa e spesso appiattita su proposte subalterne a vecchie ricette di un blairismo ormai superato. Niente da fare: è da ricostruire tutto, a partire non solo dal leader (cosa necessaria ma assolutamente insufficiente) ma dalle idee che colgano le grandi tradizioni del Novecento ibridando i piani e le opportunità (rapporto tra Stato/Mercato, Politica/Finanza, Piano/Libera iniziativa privata, Stati nazionali/UE). Nulla sarà come nel passato secolo eppure tutto ci serve per scrollarci di dosso una crisi ormai quarantennale.
Dmitrij Palagi
Per quanto mi riguarda è davvero difficile capire quale sarà l’esito di questa crisi di Governo innescata da Salvini. La situazione di forza in cui si trova il Ministro dell’Interno garantisce sulla carta sia un rapido ritorno al voto con una destra compatta (a trazione leghista, con una forza ‘moderata’ come Forza Italia e la destra sociale classica di Fratelli d’Italia), sia una posizione strategica nel caso di governi a maggioranze diverse da quella attuale (non bisogna scordarsi come l’opposizione alla riforma Fornero abbia garantito un elemento fondamentale per la nuova narrazione del Carroccio). A differenza di Renzi, “l’altro Matteo” sembrava aver la capacità di non accelerare le sue tappe di ascesa. Per questo sarà davvero interessante comprendere quali ragioni abbiano innescato il nuovo contesto. Come ha recentemente dichiarato Macaluso in un’intervista la sensazione è che ben poco esista al di fuori del Partito Democratico, nella percezione dell’elettorato diffuso. Il Movimento 5 Stelle è una sorta di mito in cui credono solo i suoi sostenitori (da capire quanti saranno, data la fluidità elettorale dimostrata sul piano delle amministrative). Zingaretti è riuscito a fare talmente poco che un ritorno sulla scena di Renzi è sembrato naturale e credibile. Nella società “l’uomo delle spiagge” sembra aver costruito più di chiunque altro. Forse è potenza narrativa, ma le prossime settimane sapranno dirci qualcosa in più. Sicuramente fuori dal campo dell’antirazzismo si segnala ben poco come resistenza sociale. Sulle tematiche del lavoro, dell’ambiente, del futuro del Paese manca proprio il dibattito… La paura di tornare velocemente al voto è una (non)simpatica scusa per chi comunque non aveva iniziato a lavorare efficacemente per un’alternativa. Certo sarebbe importante che qualcuno riuscisse a interrompere la resistibile ascesa di Salvini, le cui capacità risiedono tutte nelle debolezze altrui…
Jacopo Vannucchi
Tre settimane fa avevamo affrontato proprio sul Dieci Mani (qui) l’eventualità di una crisi del Governo Conte.
Personalmente avevo espresso la convinzione che la frattura reale non fosse tra i due partiti di governo bensì interna alla Lega, tra la dirigenza “nordista” e la leadership del “Capitano” Salvini. Riguardo la funzione storica dei due partiti, il M5s costituiva da un lato il volto meridionale di quegli interessi reazionari espressi al Nord dalla Lega, e dall’altro lato il battistrada della Lega stessa, poiché tramite il cavallo di Troia dell’antipolitica aveva impedito la svolta a sinistra dopo la crisi del berlusconismo, preparando il terreno per un nuovo blocco reazionario che predominasse sull’Italia.
La mossa a sorpresa di Salvini va letta a mio parere in questa stessa chiave. Se egli ha ceduto alle pressioni del “partito del Nord” è stato non tanto per interessi immediati (che pure non mancano) quanto perché si è probabilmente convinto di aver sostituito, o di poter sostituire in brevissimo tempo, il M5s come referente della reazione anche nel Sud. Ricostituendo in tal modo il “partito unico della borghesia” che fu il Partito nazionale fascista.
Questo è sicuramente un cambio molto forte, ma non l’unico: lo scossone di un M5s sganciato dal suo rimorchiatore non è privo di conseguenze o almeno di potenzialità. La decisione di schierarsi a destra evidentemente non ha pagato e oggi la leadership di Di Maio è delegittimata e preda dei tanti cani che vogliono avventarcisi contro da “sinistra”: quella più enragée di Grillo, quella terzaposizionista di Di Battista o quella movimentista di Fico. Senza addentrarci in una disamina di queste differenze, è evidente che vi è l’occasione per fare quello che il Pd non riuscì a fare ad aprile 2018: produrre una svolta a sinistra del Movimento o perlomeno di una rilevante parte di esso. Certamente una sinistra atipica, per niente ideologica, se vogliamo anzi surreale e satirica: come Podemos, o l’ironico Die PARTEI tedesco, o il comico Besti flokkurinn islandese.
L’evolvere della crisi è nelle mani delle discussioni interne ai partiti e nelle mani del Presidente della Repubblica. Sembra però augurabile evitare una campagna elettorale a breve, a solo una ventina di mesi dall’ultima. Non soltanto per gli aspetti economici, ma soprattutto per quelli politici: il rischio di una maggioranza di destra-destra estrema in possesso dei due terzi del Parlamento è concreto, e quindi concreta la possibilità che l’Italia scivoli nella fossa di una ungherizzazione del sistema non solo politico, ma costituzionale (e tralascio le conseguenze di colonizzazione economica che ne seguirebbero).
È da tenere presente inoltre che a gennaio 2022 termina il settennato di Mattarella: è auspicabile che a quella data vi sia o questo Parlamento con una maggioranza diversa da e migliore di quella giallo-verde, oppure un Parlamento nuovo, ma con una composizione più progressista.
In ultimo ripeto le parole con cui quasi tre anni fa concludevo sul Becco (qui) le mie considerazioni sul venturo referendum costituzionale: «la scelta non è più, e forse non lo è mai stata, tra la Costituzione vigente e quella ex riforma Boschi. L’alternativa a quest’ultima non è lo status quo ante, bensì la Costituzione di Grillo e Salvini […] Non è infatti un mistero che a raccogliere i frutti di un eventuale No saranno le forze di estrema destra […] Vi sono dunque, in estrema sintesi, due ottime ragioni per votare Sì: la prima è progredire rispetto alla Costituzione del 1948; la seconda è non arretrare». Fallita la prima ragione, resta la necessità di non arretrare.
Alessandro Zabban
La mossa di Salvini di far saltare il banco arriva un po’ all’improvviso ma non in maniera inaspettata. Con tutti i sondaggi a favore, il leader della Lega prima o poi doveva arrivare a prendersi il suo dividendo elettorale. Farlo in una situazione economica difficile, in cui dovranno essere prese delle decisioni pesanti (aumento dell’Iva o trovare le coperture per evitarla) è da totali irresponsabili ma dal punto di vista elettorale è una mossa tattica che può rivelarsi vincente.
Le opposizioni infatti hanno due possibilità: mettersi insieme per cercare una nuova maggioranza che nell’immediato eviti una già preannunciata vittoria leghista ma che potrebbe implicare l’approvazione di leggi impopolari che regalerebbero ancora più voti a Salvini (linea Renzi) oppure b per cercare di arginare Salvini durante la campagna elettorale (linea Zingaretti). Proprio su questo punto Salvini ha già ottenuto una prima vittoria: una forte divisione nello schieramento del centrosinistra fra l’area di Renzi e quella di Zingaretti sulla strategia da seguire (ma che nasconde divergenze politiche più ampie). Con un 5 Stelle già quasi completamente cannibalizzato, Salvini sta vincendo la sua scommessa. Ma si tratta pur sempre di un salto nel vuoto in cui poche variabili sono facilmente controllabili. Solo nelle prossime settimane inizieremo a capire se la tattica di Savini avrà ancora una volta effetto.
Immagine di MM in it.wiki , da Wikipedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.