Quando il 2 aprile 2017 Lenín Moreno vinse il ballottaggio contro il banchiere conservatore Guillermo Lasso diventando il nuovo presidente dell’Ecuador, in molti a sinistra tirarono un sospiro di sollievo. Aveva vinto il candidato di Alianza País, la piattaforma politica di sinistra promossa da Rafael Correa. Sembrava poter continuare un progetto politico che dal 2007 avevano rotto con le fallimentari ricette neoliberiste per muoversi all’interno di un paradigma di interventismo statale in economia, di aumento della spesa pubblica per i servizi sociali e con un programma ambizioso di lotta alla povertà tramite la democratizzazione delle rendite petrolifere e una riforma fiscale più equa.
Sebbene la “Revolución Ciudadana” lanciata da Correa possa essere ritenuta la meno radicale fra le tre Rivoluzioni Bolivariane che hanno scosso l’America Latina nel primo decennio del nuovo millennio[1], data l’impostazione meno dichiaratamente socialista rispetto a Venezuela e Bolivia, è comunque riuscita a creare non pochi grattacapi alle élite globali. Celebre la decisione di rinegoziare il debito estero considerato illegittimo[2] così come la concessione dell’asilo politico a Julian Assange.
Più in generale, una politica economica non conforme ai canoni dell’ortodossia neoliberista e la collocazione internazionale che ha visto l’Ecuador avvicinarsi progressivamente a Venezuela e Bolivia e legarsi economicamente alla Cina, hanno portato il paese a farsi molti nemici fra i sostenitori del Washington Consensus. Ma le politiche del decennio 2007-2017, implementate nel quadro della nuova ed estremamente avanzata Costituzione[3], hanno condotto il Paese verso una crescita più sostenuta e a un deciso miglioramento nelle condizioni di vita delle fasce sociali meno abbienti[4]. Insomma, nonostante l’uscita di scena di Correa e le crescenti difficoltà a finanziare i programmi sociali connesse al calo dei prezzi del petrolio, con l’affermazione di Lenín Moreno che aveva servito da Vice Presidente dal 2007 al 2013, la Rivoluzione Ciudadana sembrava viva e in salute.
Se le cose sono andate diversamente è perché appena entrato in carica Moreno ha immediatamente ripudiato i valori e le idee per le quali era stato votato, rilanciando una controffensiva neoliberale volta a spazzare via le conquiste sociali della Rivoluzione Ciudadana. Su quello che è uno dei “tradimenti” politici più clamorosi della storia sudamericana degli ultimi decenni si potrebbe riflettere a lungo. Sicuramente risulta insoddisfacente limitarsi a ricercare le motivazioni unicamente nella sfera della moralità individuale. Il voltafaccia di Moreno interroga in profondità la reale forza dei movimenti populisti sorti in Sud America e ci obbliga a riflettere sulle modalità di selezione dei dirigenti e sui rapporti di forza esistenti in società, in particolare sulle dinamiche di scontro fra potere politico e potere economico. Sta di fatto che la destra e le élite economiche, pur avendo perso le elezioni, si sono riprese il controllo politico sull’Ecuador avendo a disposizione un burattino perfetto, eletto coi voti degli altri.
La politica estera restituisce un’immagine nitida della svolta imposta da Moreno: nel 2018 l’Ecuador abbandona il progetto sovranazionale progressista dell’ALBA e successivamente anche l’UNASUR, fondata da Chavez e da Lula per aderire alla liberista PROSUR. Il riavvicinamento con Washington viene suggellato con il ritiro dell’asilo politico ad Assange. Questo cambio di schieramento in politica internazionale va in parallelo con le ricette neoliberiste di riduzione della spesa pubblica e di incentivi al settore privato. L’abbassamento delle tasse alle imprese, l’attrazione di investimenti esteri e la flessibilizzazione del mercato del lavoro sono state le coordinate entro cui si è messo Moreno fin da subito. Strumenti che hanno però avuto pochissimi effetti nel dinamizzare l’economia ecuadoregna ma che hanno invece aumentato la povertà e l’insicurezza economica dei lavoratori[5].
Ma Moreno non si è limitato ad applicare ricette economiche diametralmente opposte a quelle espresse dalla Rivolucion Ciudadana. Ha anche iniziato le purghe interne al partito. Lo strumento è il medesimo che è stato utilizzato contro Lula in Brasile: il coinvolgimento in vicende giudiziarie dubbie, con testimoni poco attendibili e con prove inesistenti o fabbricate. La prima vittima di questo modus operandi è stato l’ormai ex vicepresidente Glas condannato a 6 anni per la corruzione nel “caso Odebrecht” ma senza uno straccio di prova, con evidenti violazioni giuridiche e senza il rispetto delle garanzie processuali minime[6]. Le condizioni disumane carcerarie a cui è sottoposto hanno fatto partire campagne di solidarietà anche fra le forze politiche europee di sinistra[7].
Ma l’obiettivo principale di Moreno era disfarsi di Correa stesso, il leader carismatico e l’anima della rivoluzione cittadina, in modo da annichilire tutto il movimento. Correa dalla fine della sua ultima legislatura ha subito ben tre incriminazioni[8], che hanno però sollevato molti dubbi sulla loro attendibilità giuridica[9]. L’ex Presidente che alla fine del suo mandato si era trasferito in Belgio (sua moglie è belga) è di fatto esiliato in quel Paese, poiché se tornasse subirebbe con ogni probabilità la stessa sorte di Glas, se non peggio. Come spesso accade ancora in molti paesi sudamericani, la destra, grazie al controllo delle alte sfere dello Stato e della Magistratura, usa lo strumento del coinvolgimento in vicende giudiziarie che per consistenza reale appaiono più che altro volte ad ostacolare il successo di leader politici che si fanno interpreti di rivendicazioni dal basso.
I problemi per Moreno non sono però tardati ad arrivare. Nel febbraio 2019 viene annunciato un prestito da parte del Fondo Monetario Internazionale e di altri istituti finanziari fra cui la Banca Centrale per un ammontare di oltre 10 miliardi di dollari[10]. Il copione è lo stesso di quello dell’Argentina e degli altri paesi finiti sotto il giogo del FMI: farsi prestare i soldi significa accettare le ricette economiche imposte dagli organismi finanziari[11]. Queste “riforme strutturali” imposte all’Ecuador significano svendita del patrimonio pubblico e privatizzazioni, tagli e licenziamenti nel settore statale con conseguente peggioramento dei servizi di base e liberalizzazione dei prodotti e dei servizi che spesso finiscono per penalizzare i più poveri.
E dire che il FMI aveva già miseramente fallito sul finire degli anni Novanta in Ecuador portando il paese sull’orlo dell’abisso finanziario e costringendolo alla totale “dollarizzazione”. Ma quando si tratta di fare gli interessi delle élite economiche che ti sostengono non ci si ferma davanti a niente e si è pronti a ripetere i medesimi errori e ad adottare le medesime ricette.
Così, le riforme di austerity di Moreno per accontentare il FMI non si sono fatte attendere e il primo ottobre scorso arriva l’annuncio in televisione di quello che i detrattori definiscono il “paquetazo”, che ha come punto focale l’eliminazione degli ingenti sussidi statali al carburante, misura che ha già fatto schizzare in alto il prezzo della benzina. Si prevedono di conseguenza anche aumenti nei trasporti pubblici e su tutti i beni che viaggiano su gomma. Ma non è tutto: il pacchetto di riforme prevede altre misure antipopolari come la riduzione del 20% degli stipendi nei contratti occasionali e la riduzione delle ferie dei dipendenti statali (da 30 a soli 15 giorni). Insomma, aumentano i prezzi dei beni di prima necessità e diminuiscono salari e garanzie lavorative per i più deboli: è evidente che per la maggior parte della popolazione le misure sono un colpo durissimo ai loro già modesti standard di vita[12].
Non è un caso che le mobilitazioni di piazza siano iniziate immediatamente dopo l’annuncio. Nel corso dello sciopero generale di giovedì 4 e venerdì 5 ottobre si sono avute manifestazioni in molte parti del Paese, comprese Quito e Guayaquil dove si sono registrati scontri violenti fra manifestanti e polizia e dove tassisti, autisti di autobus e camionisti hanno bloccato le strade. La partecipazione alle proteste è stata trasversale a molti settori sociali del Paese, dai lavoratori subordinati, agli impiegati statali fino agli studenti e alle comunità indigene.
La repressione governativa non si è fatta attendere: Moreno ha abbandonato Quito e ha proclamato lo stato di emergenza che permette di schierare l’esercito contro i dimostranti e proibisce la libertà di riunione e associazione ma le proteste continuano e si contano già circa 350 detenuti[13]. Moreno non ha nessuna intenzione di fare marcia indietro e non si è detto disposto a negoziare, gettando ulteriore benzina sul fuoco in un clima già molto teso.
Difficile pronosticare quali saranno gli sviluppi di questo situazione critica. Da una parte i sindacati dei trasporti hanno messo fine allo sciopero, sperando che si possa aprire una finestra di dialogo, nonostante le dichiarazioni dello stesso Moreno. Dall’altra i movimenti sociali cittadini e le comunità indigene sono decisi a continuare le proteste. Nella notte fra lunedì 7 e martedì 8 ottobre migliaia di indigeni riuniti sotto la bandiera della CONAIE (Confederazione delle Nazioni Indigene dell’Ecuador) hanno raggiunto Quito. Poche ore prima Moreno aveva annunciato di aver spostato la sede di governo a Guayaquil[14] mentre si sono sempre più intensificate le denuncie da parte di media indipendenti della feroce repressione della polizia[15]e persino l’ONU in un comunicato ha chiesto che venga rispettato il diritto dei manifestanti a protestare.
Sembra per ora difficile pronosticare uno scenario di rottura radicale, sebbene manifestazioni di piazza siano riuscite a cacciare nel recente passato due ex presidenti come Jamil Mahuad e Lucio Gutiérrez per aver introdotto nel paese misure altrettanto liberiste. Nei prossimo giorni capiremo se le proteste di piazza continueranno ad avere forza.
Quel che è certo è che la popolarità di Moreno è in calo verticale. Moltissimi lo considerano un vendepatria corrotto date le sue implicazioni nello scandalo dell’istituto finanziario offshore INA Investment e per aver aperto le porte al FMI e alle multinazionali occidentali[16]. Secondo i media sudamericani la popolarità di Moreno è crollata di oltre la metà rispetto al 60% su cui poteva contare a maggio 2017, ma l’opposizione appare estremamente debole e frazionata.
La piattaforma politica sui cui era stata costruita la Revolución Ciudadana, Alianza País, è implosa nello scontro intestino fra i simpatizzanti di Moreno e quelli dell’ex Presidente. Il risultato è che il movimento dal basso che Correa aveva faticosamente costruito negli anni, in questo momento non ha una piattaforma, un’unità e una organizzazione[17]. Così, mandare via Moreno, che sarebbe comunque già un traguardo importante, rischia però di non risolvere i problemi degli ecuadoregni dato che la destra economica che si muove alle sue spalle è estremamente organizzata.
Per liberare l’Ecuador dall’ennesima attrazione fatale nei confronti del neoliberismo sul lungo periodo occorrerà probabilmente rimettersi pazientemente a riallacciare le fila dei movimenti sociali e indigeni per farli confluire in una nuova piattaforma che possa ambire a una nuova stagione di egemonia politica e culturale, con o senza Correa.
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Per approfondimenti sulla natura della Revolución Ciudadana si veda C. Formenti, Magia bianca magia nera, Jaca Book (2014). ↑
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I miserabili fallimenti delle ricette neoliberiste alla fine degli anni novanta avevano portato l’Ecuador a indebitarsi enormemente, tanto che gli interessi sul debito erano quasi insostenibili, pesando come un macigno sul bilancio statale. Vedi https://www.theguardian.com/world/2007/aug/20/ecuador-debt-relief ↑
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Nel 2008 entra in vigore una Costituzione riflesso delle idee dei movimenti sociali ed indigeni che hanno portato Correa al potere. Ispirata al principio del „buenvivir“, la Carta afferma il carattere multietnico e multiculturale dell’Ecuador e l’impegno dello Stato nel garantire per tutti condizioni di vita dignitose. La titolarità dei diritti non è attribuita unicamente a individui ma anche a comunità, popoli e alla natura stessa. Per approfondimenti: http://www.limesonline.com/una-nuova-costituzione-per-lecuador/776?refresh_ce ↑
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Nonostante le turbolenze legate alla crisi finanziaria globale del 2007-2008 e a una fase di rallentamento dovuta al prezzo del greggio nel 2014, i risultati macroeconomici e soprattutto sociali del periodo Correa sono innegabili. Per approfondimenti: http://cepr.net/images/stories/reports/ecuador-2017-02.pdf ↑
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https://elpais.com/internacional/2019/05/25/actualidad/1558819810_291772.html ↑
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https://www.telesurenglish.net/opinion/Crushing-Jorge-Glas-Along-With-Ecuadors-Rule-of-Law-20181227-0015.html ↑
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https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_sua_vita__a_rischio_imminente_deputati_europei_visitano_in_carcere_lex_vicepresidente_dellecuador_glas/5694_29794/ ↑
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https://www.babilonmagazine.it/la-controrivoluzione-cittadina-di-lenin-moreno/ ↑
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https://www.telesurenglish.net/news/International-Lawyers-Prosecutors-Express-Concern-Over-Ecuadors-Case-Against-Correa-20180921-0012.html ↑
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https://www.reuters.com/article/us-ecuador-imf/ecuador-inks-4-2-billion-financing-deal-with-imf-moreno-idUSKCN1QA05Z ↑
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Per una breve storia dei principali fallimenti del FMI in Sud America si veda https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_ripetitiva_storia_delle_ricette_del_fmi_che_non_funzionano_in_america_latina/82_31015/ ↑
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https://www.telesurtv.net/news/gobierno-ecuador-medidas-economicas-lenin-moreno-20191002-0002.html. Molti hanno messo in evidenza in parallelismo fra le proteste di oggi in Ecuador e il”caracazo” veenzuelano del 1989 quando il Presidente Carlos Andrés Pérez impose misure simili scatenando una rivolta popolare a cui seguì una repressione terribile. ↑
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https://www.telesurtv.net/bloggers/Ecuador.-La-hora-de-la-insurreccion-popular-20191004-0002.html ↑
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https://www.telesurenglish.net/news/Thousands-of-Indigenous-Protestors-Reach-Quito-As-Ecuador-Faces-Uncertainty-20191007-0017.html?fbclid=IwAR19b6pRea99vtFVsRsCT50dQn86cdk9sb5E3JdYXWsf3cFs77tpzsUbX9Q ↑
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https://www.telesurtv.net/news/ecuador-fuerte-represion-policia-protesta-paquetazo-moreno-20191007-0037.html?fbclid=IwAR1cmOmCatlmrfml-U4CiE9f1SQb2vjHjwcp_fLvM124f3uiq-qm2KED1XI ↑
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https://ilmanifesto.it/scandalo-ina-papers-la-vendetta-di-moreno/ ↑
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https://interferencia.cl/articulos/el-movimiento-social-que-boto-tres-presidentes-ya-no-existe ↑
Immagine Andes/César Muñoz (dettaglio) da Wikimedia Commons
Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.