Dal 6 agosto anche l’Italia si aggiunge ai paesi che hanno adottato la certificazione verde (green pass) per la gestione degli spostamenti interni. La vaccinazione, la guarigione dal Covid-19 o l’esito negativo di un tampone saranno condizioni imprescindibili per le attività che presentino contatto con soggetti fragili (es. visite alle RSA), assembramento (concerti, eventi sportivi…) o consumazioni al chiuso in locali di ristorazione. Nonostante un’ampia condivisione generale (leggi qui) la misura è stata oggetto di critiche, anche di segno diverso se non opposto: dal costo dei tamponi alle esigenze di alcune categorie (ristoratori) a più generali considerazioni in materia di obblighi sanitari e stato di emergenza.
Leonardo Croatto
Ho la convinzione che la discussione sul Green Pass sia l’epifenomeno di una questione molto più ampia e grave: un’ignoranza scientifica talmente diffusa da arrivare a condizionare le scelte politiche.
E’ incredibile che nel 2021, anche in paesi industrializzati e dotati di sistemi educativi ad ampio accesso, sopravvivano sacche di antiscientismo alle quali è consentito diffondere le proprie insensate idee, in particolare su questioni delicatissime come quelle legate alla tutela della salute pubblica durante una pandemia.
Non è consentibile che, in pieno XXI secolo, singoli e gruppi si pongano in contrasto con una campagna sanitaria volta a arginare il diffondersi di una grave malattia, sulla spinta di una sfiducia per la scienza che viene tollerata facendo leva su un distorto relativismo culturale che compara opinioni informate con altre che appartiengono alla sfera della superstizione.
La messa in opera di uno strumento che distingua chi si è sottoposto alla vaccinazione da chi ha invece deciso di non vaccinarsi, per quanto evidentemente necessario per motivi organizzativi, certifica l’esistenza di una pericolosa anomalia: l’esistenza di individui che, pur essendo parte di una collettività, decidono di ignorarne le regole di convivenza mettendo a rischio non tanto sé stessi (ognuno può fare della sua vita e della sua salute quel che vuole) ma tutti gli altri.
Per chiarezza, non c’è, in questa riflessione, nessun giudizio di natura etica o morale sui singoli, quanto una valutazione sulla debolezza di sistemi scolastici sulla carta teoricamente molto efficaci ma nella pratica largamente inefficienti nella loro capacità di tener unita e far avanzare la società: l’antiscientismo (che poi trova sponda politica in quei partiti di destra che hanno storicamente posizioni antilluministe) non è solo una caratteristica di quei soggetti che hanno interrotto troppo presto il loro percorso di studi, ma anche di quelli che hanno conseguito la laurea.
In queste condizioni, il “green pass” è solo una soluzione temporanea ad un problema organizzativo, il vero problema ce l’abbiamo con l’epistemologia.
Piergiorgio Desantis
Anche il Governo italiano sceglie il passaporto verde per regolare gli ingressi nei posti dove il rischio di contagio tra i non vaccinati è maggiore. Un provvedimento di buonsenso, tutto sommato, anche se manca la regolamentazione nei mezzi di trasporto italiani dei quali si conoscono le condizioni, ma nei quali è facile che possano esserci condizioni favorevoli alle varianti in piena quarta ondata. Tuttavia, si è scatenata in Italia una manichea contrapposizione intorno a questa scelta. Sono giornate intere che si parla delle piazze no vax, no green pass e più in generale tutto il dibattito politico si sta incentrando intorno a questa disputa. Parebbe, in effetti, una sorta gigantesca arma di distrazione di massa, mentre in Italia è in atto un gigantesco smontaggio del ceto produttivo e industriale (GKN, Whirpool per citare solo due casi), non si sa come verranno spesi i soldi provenienti dal Piano di ripresa e resilienza (e a quali condizioni) e il lavoro continua a essere più precario e con salari da fame. Forse, sarebbe meglio concentrarsi sul difficile autunno che ci aspetta e prendere forse un po’ meno sole, anche perché la compagnia non sempre è buona.
Francesca Giambi
È impossibile continuare a vedere piazze piene di gente che grida scompostamente e aggressivamente “libertà!” perché manifestano contro il green pass, utilizzando sconcertanti parallelismi anche con drammatiche situazioni storiche. Mi chiedo, ma questa libertà in cosa esattamene consiste? Nella prosopopea individualistica di una conoscenza su nessuna base. Una dimostrazione di questo sono le parole di un dimostrante che, mostrando una foto sul telefonino, faceva vedere che con il vaccino vengono iniettati aghi. Ma questo con la scienza cosa c’entra?È molto triste vedere il nostro Presidente del Consiglio, come di altre nazioni europee, continuare a sbagliare la comunicazione ed avere timore di scelte anche drastiche o impopolari (politica del consenso?). Uno stato deve soprattutto guardare alla salute di ogni persona proteggendo la collettività, il bene comune e non salvaguardando interessi personali; la felicità, a differenza di quanto scritto nella Costituzione americana, non è l’obiettivo del nostro Stato, che punta soprattutto ai diritti. Ma il green pass è un diritto/dovere verso una comunità? Personalmente ritengo che lo sia.
Diritto perché è giusto sentirsi tranquilli, dovere perché la pandemia non è un qualcosa di individuale ma colpisce tutti. Cosa dovrebbero dire tutti gli operatori dei teatri, dei cinema, tutti gli esternalizzati (precari) dei servizi culturali che non solo non hanno avuto introiti ma nemmeno i famosi ristori?
La ripartenza dovrebbe puntare soprattutto sulla cultura oppure pensiamo che la ripartenza debba essere solo di tipo consumistico e merceologico?L’importanza di vaccinarsi deve essere compresa da tutti ed attraverso il green pass deve essere data a tutti la possibilità di tornare alla propria “normalità”. È chiaro che bisogna tutelare anche chi, anche se rari casi, non può vaccinarsi per motivi strettamente medici; per questi dovrebbero essere attivati dei pass speciali.
Jacopo Vannucchi
Dal punto di vista sanitario la decisione sul green pass è ineccepibile; anzi, le critiche potrebbero essere mosse alla sua implementazione limitata, tardiva, e in alcuni casi non semplice da far rispettare. Tuttavia sembra pur sempre il massimo che si possa fare in economie capitaliste e per di più, come quella italiana, connotate da un tasso relativamente elevato di piccoli esercizi.
A maggior ragione è giusto porre il problema della sostenibilità sociale della misura. Al momento sembrano due i punti mancanti: la definizione stringente del percorso, ad oggi assente, per l’esenzione vaccinale in caso di comprovati fattori di rischio (es. immunodepressione); la fornitura da parte delle strutture pubbliche di tamponi a costo molto basso – non comunque gratuiti, per evitare effetti di free-riding da parte dell’area no-vax.
Le preoccupazioni relative al biopotere e a una orwelliana espansione di competenze dello Stato nella sfera della vita personale sembrano invece infondate. Ben venga la (ri)assunzione di responsabilità da parte dello Stato in materia di salute pubblica. A due condizioni: che la salute pubblica non sia intesa, appunto, solo come dato sanitario ma in generale come tenore di vita e opportunità di progresso; che lo Stato mantenga non solo formalmente ma anche nella Costituzione materiale il proprio fondamento sulla base di un’effettiva sovranità popolare. Queste due condizioni costituiscono il vero piano, talvolta occultato, della battaglia politica per l’oggi e soprattutto per il post-Covid.
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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