Il bilancio 2022 del governo socialista del Portogallo non è stato approvato, con una rottura interna al governo che ha concluso la “geringonça”, l’alleanza tra sinistra e centro-sinistra degli ultimi anni, con elezioni anticipate che si terranno il 30 gennaio del prossimo anno. La cosa non ha avuto grande rilievo sulla stampa e sulle reti digitali italiane, mentre la vittoria in Cile di Gabriel Boric ha attraversato l’Italia come se fosse un successo interno alla Penisola, almeno negli ambienti più militanti. Forte è il ruolo dell’emotività che muove la storia di Salvador Allende, ma fa parte di questa vittoria latino-americana la capacità di unire diverse anime delle sinistre.
Queste due diverse vicende ci offrono l’occasione per l’ultima “puntata” a più mani di questo 2021.
Leonardo Croatto
Una diffusa vulgata vuole che la vittoria nella contesa elettorale si ottenga solo conquistando il centro. Illustri politologi sostengono questa tesi, così come tutti gli strateghi elettorali di professione.
Cosa sia esattamente “il centro”, nella tassonomia delle dottrine politiche, non è molto chiaro, ma di sicuro è un luogo (immaginario?) che tutti desiderano occupare.
Questa corsa al centro in nome della moderazione (altro concetto politico piuttosto poco definito) ad oggi sembra abbia prodotto ben pochi brillanti risultati dal punto di vista dell’avanzamento delle idee progressiste, si è rivelata invece una trappola mortale per quei soggetti che si sono presentati alle elezioni con programmi radicali immediatamente stemperati durante l’azione di governo.
Il risultato di questa corsa al centro in sede di definizione dei programmi è stato quello di spostare verso destra i partiti di sinistra, (con, tra l’altro, neanche eccelsi risultati numerici, solitamente), mentre la deriva al centro nell’azione post-elettorale ha causato una fuga degli elettori dai partiti della sinistra storica verso improbabili proposte populiste.
Sembra invece che, contro ogni valutazione strategica, in quelle circostanze in cui un soggetto politico di sinistra si presenta alle elezioni con un programma di sinistra, curiosamente riesce ad ottenere quel successo che sfugge ai partiti di sinistra che si presentano con programmi di destra, o che, peggio ancora, millantano programmi di sinistra e poi governano tenendo la barra solidamente a destra.
Difficile immaginare una lezione più ovvia di questa: rappresentare delle istanze chiare e ben collocate e agire di conseguenza produce risultati elettorali positivi tangibili. Il passaggio successivo dovrebbe essere quello di confermare la proposta con l’azione, evitando di deludere i propri elettori una volta ottenuto il loro voto, ma purtroppo su questo fondamentale siamo ancora molto deboli.
Piergiorgio Desantis
La vittoria di Boric in Cile è stata ossigeno puro nei polmoni delle sinistre europee. Il rischio era il ritorno a un passato pinochettista che abbinava neoliberismo al peggio di una destra reazionaria. La testa chinata e l’omaggio del nuovo presidente del Cile difronte al busto di Salvador Allende, francamente, ha emozionato tutti gli antifascisti che vivono nel mondo intero. “Il Cile è stato la culla del neoliberismo, sarà anche il luogo della sua fine” è una delle dichiarazioni di Boric fanno ben sperare, anche se il contesto internazionale non è per niente semplice. Eppure, al di là di facili trionfalismi, l’America Latina si sta confermando come la culla di movimenti sociali che riescono a fare egemonia fino ad arrivare al governo. Il prossimo passo sarà il Brasile, dove tutti si aspetta il ritorno di Lula con un grande coinvolgimento internazionale. E si sa che non sarà un’impresa per niente facile.
Dmitrij Palagi
Della geringonça delle sinistre in Portogallo si è sempre parlato molto poco: per questo stupisce il modo in cui alcune testate hanno parlato della crisi di governo e delle elezioni anticipate previste fra poco settimane. Senza dare spazio a una sinistra considerata assente in Italia, quando si è parlato dei risultati in Cile, in merito alla provenienza di Gabriel Boric.
Forze comuniste e dichiaratamente schierate “contro” l’attuale sistema hanno ancora senso di esistere, a trent’anni dalla fine dell’Unione Sovietica? Perché fare l’opposizione dalla “parte giusta” del Muro di Berlino ti permette di dire che prima o poi la “parte sbagliata” di una “guerra fredda” preverrà. Fare l’opposizione in tempi di “fine della storia” è differente, specialmente se il tema del potere si sovrappone a quello del governo, mentre con regolarità si pubblicano libri o articoli sulla “crisi della democrazia rappresentativa”.
Ogni volta che in qualche parte del mondo si riesce a unirsi e praticare convergenza si tira un sospiro di sollievo. Ogni volta che in qualche parte del mondo forze reazionarie (più che conservatrici) prendono il potere si prova avvilimento.
Però il nodo delle due sinistre sembra non essere risolto. Forse perché la povere alzatasi con le macerie del 1991 non si è ancora del tutto posata, a sinistra. Se si immagina il capitalismo l’unico approdo possibile per la storia dell’umanità, almeno in questa fase, è evidente che molta strada attende chi si dichiara alternativo. Molta strada attende anche chi si limita a proclamare che un altro mondo è possibile, senza porsi il problema di come farlo, ma soprattutto senza verificare che facendolo si è in grado di ottenere un consenso reale, mobilitando e organizzando chi ambisce a stare meglio.
Molti anni fa una persona usava intervenire in alcune riunioni così, per porre fine ad alcuni dibattiti: “è meglio essere pochi e sparpagliati, o molti e uniti? Molti e uniti. Ora possiamo andare avanti?”.
Jacopo Vannucchi
A maggio, commentando l’elezione della Convenzione costituzionale, sul Dieci Mani misi in rilievo quattro pesanti incognite sul futuro del Cile: la divisione del campo democratico rispetto all’unità della destra; le alleanze alla Convenzione; il rifiuto popolare di tutto il sistema politico, con un impatto maggiormente disgregativo sulla sinistra; l’elezione del Presidente della Repubblica con la possibilità di uno scenario peruviano (sinistra radicale contro estrema destra).Il ballottaggio Boric-Kast ha avverato la quarta ipotesi; la vittoria di Boric, se ha sancito ancora il prevalere di un orientamento progressista e coinvolto anche la destra in un movimento di disgregazione (il candidato “ufficiale” Sichel è stato superato dal populista Parisi e più che doppiato da Kast), ha comunque confermato che il sistema politico non è ancora assestato. In particolare, per il Partito Comunista del Cile si apre la prospettiva dei suoi omologhi spagnolo e francese: l’abbraccio mortale con forze di carattere populista che ne drenano non solo i consensi, ma soprattutto un ineguagliabile patrimonio storico e politico.
In Portogallo gli interrogativi non sono minori. Si sarebbe tentati di considerare la rottura della geringonça come la possibile apertura di un ulteriore ciclo politico e l’impossibilità di chiudere a sinistra il percorso iniziato con la Rivoluzione dei garofani; o magari di derubricare il tutto a movimenti non significativi di un Paese di dieci milioni di abitanti alla periferia dell’Europa. In realtà potrebbe essere la spia di una generale direzione pan-europea in cui si sta attuando il superamento della crisi Covid, e non solo per i rapporti internazionali intessuti dentro e fuori il PSE dal premier Costa.
Il macchinario europeo è ad oggi governato da una coalizione di centro (popolari-socialisti-liberali) che si appoggia, quando ne ha la necessità, tendenzialmente a destra (conservatori o, forse meglio, ultraconservatori). La rottura di un accordo social-comunista potrebbe quindi unirsi ad altri risultati simili (il declino della Linke in Germania, ma se vogliamo pure il fallimento di alcune forze di sinistra radicale nel riciclarsi come stampella del populismo in Italia o in Repubblica Ceca) nell’escludere dalla partecipazione alla ricostruzione europea le forze a sinistra del PSE.
Alessandro Zabban
Tsipras e Syriza hanno dimostrato che in Europa in questa fase storica può esistere solo una sinistra moderata e tiepidamente riformista, a prescindere dai valori ai quali si richiama. Il quadro potrebbe cambiare solo con una fase di egemonia della sinistra cosiddetta radicale su tutto il continente, in grado di cambiare dalle fondamenta la costruzione neoliberale dell’edificio europeo. Si tratta ovviamente di una situazione puramente ipotetica che in questo momento è del tutto inimmaginabile.
Così, in Spagna e soprattutto in Portogallo, sfruttando una fase politica in cui il patto di stabilità è stato sostanzialmente sospeso, i governi delle sinistre hanno fatto quello che era possibile fare, in termini di diritti e giustizia sociale, senza dare eccessivo fastidio ai piani alti. Misure timide ma positive, che dovrebbero trovare spazio anche nel dibattito politico italiano.
Discorso diverso per l’America Latina, dove i movimenti di sinistra hanno spesso un po’ più di margine per mettere in pratica forme più strutturali di giustizia sociale o di assistenza ai più indigenti, nonostante la minaccia perenne dell’imperialismo a stelle e strisce.
Nemmeno in quel caso si può parlare, nella maggior parte dei casi, di una sinistra rivoluzionaria (l’ultima vera rivoluzione, quella bolivariana in Venezuela, ha ormai più di venti anni e sappiamo quanto sia difficile portarla avanti quando si è nel mirino dell’imperialismo), ma è evidente che Morales in Bolivia, Correa in Ecuador e lo stesso Lula in Brasile hanno fatto molto più di quanto si possa pensare di mettere in pratica in qualsiasi paese occidentale.
Siamo ora entrati in una nuova fase in cui è tornato a spirare un vento di sinistra nell’America Latina. Il risalto mediatico della vittoria di Boric in Cile contro Kast è dovuto al parallelismo con Allende e Pinochet e alla potenza simbolica che la storia cilena evoca tutt’ora in tutto il mondo. Non stupisce allora che non si sia dato lo stesso risalto alla vittoria di Castillo in Perù, leader campesino forse troppo poco “moderno” per affascinare la sinistra occidentale. Quel che è certo, comunque, è che il Cile non è un caso isolato.
L’aspetto da sottolineare è però l’atteggiamento profondamente ipocrita e doppiogiochista della sinistra moderata europea sulle vicende politiche latinoamericane. In questa fase esalta la vittoria di Boric e gioisce della popolarità di Lula contro Bolsonaro. Ma quando Lula è stato fatto fuori con un colpo di stato giudiziario nessuno ha fiatato. È andata peggio a Morales, vittima di un colpo di stato orchestrato dall’estrema destra e costretto all’esilio. La giunta golpista che ha preso il potere in Bolivia, guidata da Jeanine Áñez, si è data a una feroce campagna di persecuzioni e intimidazioni nei confronti di militanti, sindacalisti e giornalisti, nel silenzio assordante di tutto il mondo occidentale e della sinistra che anzi continuava a criticare Morales per presunti brogli elettorali mai avvenuti. Solo il trionfo del Movimento Al Socialismo (MAS) di Morales e Arce nelle urne ha messo fine al clima di terrore squadrista. Quest’anno, Jeanine Áñez è stata finalista del premio Sacharov per la libertà di pensiero del Parlamento Europeo, vinto poi da Navalny. Dai socialisti europei non si è levata nessuna critica o obiezione a questa candidatura.
Appare piuttosto chiaro dunque che Boric in questo momento è utile contro il rigurgito populista e neofascista che si aggira anche in Europa. Per questo il centrosinistra gioisce per la sua vittoria. Ma se dovesse iniziare a fare cose davvero di sinistra, a queste latitudini si cambierebbe immediatamente idea e si inizierebbe a criticarlo apertamente come è stato fatto con Morales, Maduro, Lula, Kirchner, fino a giustificare un colpo di stato militare contro di loro, finanche di estrema destra, come avvenuto appunto in Bolivia.
Insomma, se i nuovi movimenti latinoamericani saranno in grado di promuovere coraggiose misure di sinistra, per i “progressisti” e “riformisti” europei non si tratterà di un esempio da seguire, ma solo dell’ennesimo imbarazzo da cui distanziarsi.
Immagine (dettaglio) da https://jacquelinestaforelli.cl/
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