La narrazione politica contemporanea rende poco affascinante l’operazione editoriale con il titolo C’era una volta la sinistra, dove Antonio Padellaro e Silvia Truzzi dialogano con Achille Occhetto, Fausto Bertinotti, Massimo D’Alema, Pier Luigi Bersani. Quattro uomini, di cui nessuno attualmente impegnato nel Partito Democratico e due ascrivibili nel registro dei padri inattivi. C’è un perverso fascino in questa pubblicazione, nata dalla trascrizione di una trasmissione televisiva. Forse è semplicemente il malsano interesse di chi segue le dinamiche interne delle organizzazioni politiche, nel rileggere testimonianze sul recente passato. Complessivamente colpisce il meccanismo proprio dei commenti post-elettorali, in cui tutte le formazioni presenti rivendicano di aver vinto, in una forma o in un’altra: l’importante è sottolineare gli errori degli altri, evidenziando quello che di buono si è fatto.
Achille Occhetto denuncia di essere stato tradito, frainteso e trattato senza rispetto. La sua svolta doveva essere un’altra cosa. D’Alema e Bersani gli riconoscono la correttezza della scelta di sciogliere il PCI. L’importante era liquidare. Se le intenzioni si sono sgretolate alla prova dei fatti non importa. Ritorna alla memoria qualche eco delle interviste di Gorbačëv.
Fausto Bertinotti ha il vantaggio di doversi difendere da un Padellaro rancoroso (tra i cui obiettivi c’è l’esaltazione del suo periodo come direttore de l’Unità). Il già Presidente della Camera deve ritornare sull’irresponsabilità di non aver sostenuto fino in fondo il primo governo Prodi e di non essere rimasto a fare battaglia in un unico gorgo (questa seconda parte non è esplicita, ma l’impianto è questo). C’è spazio per ammettere di aver sottovalutato la frequentazione dei salotti romani e in un passaggio si coglie il richiamo alla dimensione del Novecento dove Bertinotti può dare sfoggio delle sue capacità comunicative, sicuramente più profonde degli altri intervistati.
Tra le risposte interessanti (perché date da uno dei massimi protagonisti di un’organizzazione ancora esistente ma di cui non fa più parte dal 2008) c’è quella sul senso dell’esperienza di Rifondazione Comunista. A che cosa è servita secondo l’ex Segretario? «A far vivere tante persone di passione politica, a inverare una speranza, un sogno, a non darsi per morti. È servita a provarci. […] Noi abbiamo protratto oltre il tempo storicamente necessario un’esperienza sulla base anche di questa invenzione. Basti pensare a quella, insisto, altermondialista» (p. 70). Doveva nascere un nuovo soggetto ai tempi del “movimento dei movimenti”. Così si liquida l’errore di questa storia.
Tocca a Massimo D’Alema, che concorda di fatto con un’analisi di Occhetto. Bene aver sciolto il PCI perché c’era la crisi del comunismo. Non si è però preso atto della crisi della socialdemocrazia, oggi altrettanto in agonia. Le polemiche sullo stile di questo dirigente? Dovute a come è cambiato il sistema di informazione (anche Berlinguer aveva grandi proprietà, ci viene ricordato). Sulle sconfitte non ci sono colpe specifiche. La sinistra vince solo quando la destra è divisa e allargando ad altre realtà con cui allearsi. Jugoslavia? Era contrario ai bombardamenti e a Belgrado lo accolgono come un pacificatore. Abbiamo governato le conseguenze per soluzioni politiche. Privatizzazioni? Nessuna colpa. Telecom è stata venduta da altri, mentre Autostrade non ha potuto seguire il processo. Poi certo, la sinistra ha sottovalutato il ruolo dello Stato in economia in quegli anni, che però rimangono quelli in cui l’Italia è stata governata meglio. Insomma, autocritiche? Certo, però D’Alema di essere l’unico che svolge serie riflessioni (uno dei pochi, è vero, ma sempre senza mettersi in discussione in prima persona).
Il finale è lasciato a un Pier Luigi Bersani imbarazzante. Racconta di giovani dirigenti in lacrime perché non capaci di fare le cose per cui sono stati eletti. Monti è stato sostenuto perché i comunisti sono persone responsabili. Lui è una persona sincera. Vittima dei tradimenti di altri che invece non sono corretti quanto lui. L’uscita dal PD? Fondamentalmente un’espulsione.
Insomma a leggere questo libro si può intuire come siamo arrivati dove siamo. Padellaro, Occhetto, Bertinotti, D’Alema e Bersani ce lo spiegano, anche se non se ne rendono conto.
La politica che deprime, su queste pagine… Con un dubbio, del tutto personale: vuoi vedere che ha più senso ragionare di processi reali che di governi e assessorati o ministeri?
Immagine liberamente ripresa da glistatigenerali.org
Classe 1988, una laurea in filosofia, un dottorato in corso in storia medievale, con diversi anni di lavoro alle spalle tra assistenza fiscale e impaginazione riviste. Iscritto a Rifondazione dal 2006, consigliere comunale a Firenze dal 2019.