Uno dei generi del cinema americano della “sinistra liberal” è quello che racconta il cittadino contro il sistema. “Cattive acque” si inserisce di diritto nel filone insieme a classici come Tutti gli uomini del presidente, Erin Brokovich, Il caso Spotlight, The Post, Insider – Dietro la verità, Promised Land o L’uomo della pioggia di Francis Ford Coppola.
A dir la verità ci sarebbe una parte consistente della filmografia di Clint Eastwood, che però non appartiene alla sinistra liberal. Prendete Sully, Richard Jewell, Changeling: i protagonisti sono tutti eroi per caso che fanno il proprio lavoro con grande etica, ma sono costretti a lottare contro un sistema a loro avverso. “Cattive acque” non sembra un film di Todd Haynes che nel 2016 ci deliziò con lo splendido “Carol” (con due attrici magistrali come Cate Blanchett e Rooney Mara). Infatti l’attore e produttore Mark Ruffalo, appartenente alla sinistra liberal e attivo ambientalista, ha creduto in questo progetto proponendo la sceneggiatura al regista. Bisogna dire che il film sa di già visto, è interessantissimo, ma è imperfetto e meno autoriale del solito (specie se il regista è uno come Haynes).
La vicenda è ben tratteggiata, si capiscono i pericoli, gli obbiettivi, il quadro complessivo funziona. Non è un capolavoro, soprattutto quando il tutto si sposta nella vita privata o negli “spiegoni” sulla chimica. Le donne, ad esempio, in questa pellicola sono ai margini e non contano (quasi) nulla. Se si vedono le altre pellicole di Todd Haynes, c’era una fortissima critica per la cultura domestica dell’America anni 50 (Lontano dal paradiso e Carol su tutti). Qui i personaggi di contorno non sono particolarmente interessanti. Non a caso il film non è stato nemmeno considerato agli ultimi Oscar.
Tuttavia il film offre diversi motivi per essere visto. La pellicola si ispira ad una vicenda realmente accaduta e portata alla ribalta internazionale da un articolo del The New York Times di Nathaniel Rich, pubblicato il 6 Gennaio 2016. “Cattive acque” racconta i diciannove anni della lotta dell’avvocato Bilott contro la DuPont, industria chimica potentissima. Irénée du Pont era un chimico ed imprenditore francese che emigrò negli Stati Uniti d’America nel 1799 e fondò nel 1802 la società come fabbrica di polvere da sparo. Grazie alla guerra d’indipendenza e alla successiva guerra civile americana prosperò rapidamente. A inizio XX secolo diversificò la propria produzione, con la chimica e negli anni trenta anche nell’auto.
Le pellicole cinematografiche DuPont furono largamente impiegate nell’Italia del bianco e nero per via della loro resa visiva e della pastosità del bianco/nero. Molti film del neorealismo italiano e quasi tutti i film di Totò sono girati su pellicole DuPont, furono utilizzate anche da Federico Fellini. DuPont uscì dal mercato con l’arrivo del colore.
Il film inizia come un horror, ma è un purissimo legal thriller. Il reale protagonista è il tempo che divora e cambia tutti. Ci sono dei ragazzi che fanno il bagno a mezzanotte in un lago piuttosto torbido. Basta smuovere le acque per rendersi conto che sotto la superficie si annida il veleno: il PFOA (acido perfluorooctanico). Ma non solo. Questa metafora è molto potente ed è la noncuranza, che unita all’ignoranza, genera mostri. La fotografia ci fa vedere subito che c’è qualcosa che non va, che qualcosa è freddo, malato. Ha dei colori desaturati e acidi alla “Smetto quando voglio” con forte prevalenza del blu, del giallo e del verde (che si ottiene, non casualmente, combinando i due precedenti). Questa scelta è funzionale al racconto come lo era in “Contagion” di Steven Soderbergh.
Stavolta Haynes ci interroga su cosa sia questo potente contagio. Cosa sarà mai? Il capitalismo, naturalmente. Unito all’ideale domestico della famiglia americana (già passato sotto la lente del regista in “Carol”), costituisce il vero virus pestilenziale della società. In poche parole il verde in questo film è come l’unione di queste due componenti (il giallo e il blu). Perché la DuPont si erge perfino a paladina di responsabilità sociale, fa pubblicità rassicuranti sostenendo economicamente progetti locali (come la squadra di football del territorio) per tener buona la popolazione. C’è un importante parallelo che lega Mark Ruffalo a DuPont: il bellissimo film “Foxcatcher” del 2014. All’epoca l’attore interpretava il fratello del protagonista, il campione olimpico Dave Schulz. Quest’ultimo fu ucciso proprio per mano del rampollo della famiglia DuPont, John, interpretato magistralmente da Steve Carell. Stavolta Ruffalo interpreta l’avvocato di Cincinnati Rob Bilott. Un Ruffalo ritratto perennemente imbronciato, arrabbiato, piegato dal peso delle responsabilità. Si vede che “sente” questo film. Anche perché il vero Bilott ha rappresentato oltre 70.000 persone dell’Ohio e del West Virginia.
L’uomo alla fine degli anni Novanta viveva con la cattolicissima moglie Sarah (Anne Hathaway) e il figlio appena nato. La sua vita tranquilla venne sconvolta dalla visita di un contadino, conoscente della nonna di Rob, che era convinto che c’era qualcosa di sospetto nelle falde acquifere. Le sue mucche si comportavano in modo strano. In quelle acque l’industria chimica DuPont riversava da anni il PFOA in grandi quantità. L’azienda era consapevole delle conseguenze delle proprie azioni.
Tale comportamento aveva prodotto lo sterminio di animali e la nascita di diverse forme tumorali (o malformazioni) negli abitanti della zona. Per oltre 20 anni (ma parti della causa sono tuttora in corso), Bilott ha lottato contro la DuPont per fare giustizia. Il suo esempio è servito per creare nuove associazioni ambientaliste.
Questo film di Haynes ci mostra due Americhe: una è quella borghese che vive nei grattacieli, dove risiedono le ditte che fatturano milioni e milioni di dollari, l’altra è quella invisibile, quella rurale, che subisce le azioni approssimative dei ricchi. Per la seconda categoria intendo anche le persone che dormono nelle roulotte e che si attaccano alla bottiglia come rimedio al disagio sociale ed esistenziale.
Dopo aver visto questo film, non vedrete una pentola antiaderente come prima. Teflon è un marchio Dupont usato per rivestire le padelle in modo che il cibo non vi si attacchi. È un polimero sintetico chiamato politetrafluoroetilene, o PTFE, e può essere altamente tossico per l’uomo. Inerte allo stato solido, i pezzi di teflon che si staccano dalle pentole antiaderenti a causa delle abrasioni sono molto nocivi ma i fumi prodotti durante il surriscaldamento possono essere anche più tossici (fonte: verobiologico.it). In parole povere gli interessi economici delle potenti multinazionali vengono prima della salute della collettività. La cosa più inquietante che il film spiega è che il 99% degli esseri umani ha questi veleni nel sangue. La contaminazione è in atto e sta diventando sempre di più globale: è nell’acqua, nei cibi che consumiamo ogni giorno. E non è il coronavirus.
Regia **** Fotografia **** Interpretazioni ***1/2 Sceneggiatura ***1/2 Montaggio ***1/2 Sonoro ***
Fonti principali: Comingsoon.it, Cinematographe.it, Mymovies.it, Quinlan.it
CATTIVE ACQUE ***1/2
Titolo originale: Dark Waters (USA 2019)
Genere: Drammatico, Legal Thriller
Regia: Todd Haynes
Cast: Mark Ruffalo, Anne Hathaway, Tim Robbins, Victor Garber, Bill Pullman, Bill Camp
Fotografia: Edward Lachman
Sceneggiatura: Mario Correa, Matthew Michael Carnahan
Durata: 2h e 6 minuti
Uscita: 20 Febbraio 2020
Distribuzione italiana: Eagle Pictures
Trailer italiano qui
Interviste, spot e clip del film qui
La frase: È più facile immaginare la fine del mondo che quella del capitalismo
Immagine da www.pointblank.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.