Pochi movimenti nella storia della musica hanno cambiato artisticamente così tanto in così poco tempo quanto il grunge. Pochissimi hanno segnato altrettanto in profondità, nel bene e nel male, la quasi totalità dei sound contemporanei da sembrare ancora così rilevanti e vicini al ri-ascoltatore.
Nato nell’estremo nord-ovest degli Stati Uniti – tra Seattle e le distese rurali dello stato di Washington – lontano dai patinati centri della vita culturale statunitense di fine XX secolo, il grunge univa in canzoni dalla struttura semplice e “suonabile” ciò che rimaneva del punk rock con sonorità più malinconiche che echeggiano il sottosuolo indefinibile della tradizione musicale americana, rifiutando il “radio-friendly” ed il baraccone spocchioso del prog. Il grunge spostava il punto focale della rabbia dalle ormai bolse e stereotipate critiche alla società e al “sistema” del moribondo e ormai commercializzatissimo punk “classico” alla condizione dell’individuo, dando voce al male di vivere una vita in cui le persone non possono che ferirsi a vicenda, a emozioni da troppo schiacciate e ridotte al silenzio da una cultura machista e interessata solo alle apparenze. La critica “sociale” (se così la vogliamo chiamare) c’è, ma si esprime nel registro degli affetti.
La reazione delle tanto odiate logiche di celebrità dell’industria discografica fu assai rapida, assumendo la più classica delle forme: il riassorbimento, l’assimilazione a meccanismi commerciali di fondo, l’apoteosi posticcia di artisti e brani decontestualizzati da trasformare in marchio. Non ultima, la produzione di derivati di bassa qualità per spremere fino all’ultimo le innovazioni artistiche, fino al disgusto e alla parodia: basta pensare a quanto pessimo pseudo-rock pseudo-indie tutto basato su accenti emotivi grotteschi e cantantini studiatamente trasandati pieni di rabbia confezionata a vantaggio del pubblico pagante (e “streammmante”) ci viene tutt’oggi propinato. È così che, nonostante lo showbusiness continui imperterrito a trarre profitti dalla sua eredità, la modernità artistica sembra essersi dimenticata del grunge.
Non del tutto, però, non solo nella musica – dove qualcosa del grunge continua a vivere senza deformazioni, seppur in forme nuove – ma, e Nevermind di Tuono Pettinato ne è la prova, anche in un campo inaspettato come quello del fumetto. Eppure non ci si dovrebbe stupire poi così tanto; d’altronde con il grunge il fumetto italiano ha in comune una robusta radice punk, vicina all’autobiografismo, allo spirito DIY e alla rabbia giovanile. Un discorso umano che Tuono Pettinato dimostra di saper mettere su carta con delicatezza e passione. In Nevermind seguiamo Kurt Cobain ed il suo amico immaginario Boddah – novelli Calvin e Hobbes – attraverso una vita difficile, dalla gioventù passata a subire le angherie dei bifolchi nel clima soffocante della profonda provincia americana al successo dei Nirvana, fino alla tragica fine. Lo stile grafico di Tuono Pettinato, che ad un primissimo sguardo potrebbe sembrare naturalmente adatto a storie “leggere” o quantomeno sarcastiche si dimostra capace di una sorprendente cupezza, in tavole che ci parlano di confusione, dolore e atteggimenti e ossessioni autodistruttive, in cui la musica fa da naturale centro e ambientazione. La passione per la musica del giovanissimo Kurt, l’ombra lunga dei problemi familiari e dell’ossessione per armi e sport della cultura americana, le atmosfere quasi oniriche dei video dei Nirvana che i canali televisivi musicali mandano in loop, il progressivo appiattimento mediatico di una personalità complessa sul personaggio bidimensionale della rockstar maledetta, tutto trova un posto significativo nello spazio di un centinaio di pagine che scorrono piacevolmente, anche grazie alla voce di Boddah, che essendo un amico immaginario può liberamente attraversare pareti del fumetto e cronologie narrative.
La vita e la morte del frontman dei Nirvana hanno generato una quantità immane di drammatizzazioni e tributi più o meno riusciti, pellicole cinematografiche e libri, fino alle più improbabili teorie del complotto. Nevermind non è uno di questi tantissimi necrologi culturali del mito grunge, né un’ennesima opera appiattita sulla biografia di Cobain. Quella di Tuono Pettinato è invece un racconto attento e sensibile, un riconoscimento del posto speciale che il Cobain artista e persona ha occupato (e occupa) nella contemporaneità, anche grazie alle citazioni culturali grandi e piccole che il fumettista dissemina nelle vignette (dalle strisce di Calvin and Hobbes alla figura del daredevil e stuntman Evel Knievel, ai i cibi industriali zuccherati). Una bella “biografia musicale” e un bel fumetto, ma anche un tributo davvero “grunge”, e davvero commovente.
Tuono Pettinato, Nevermind, Rizzoli Lizard 2014, 13€
Immagine da www.xl.repubblica.it
Nato a Bozen/Bolzano, vivo fuori Provincia Autonoma da un decennio, ultimamente a Torino. Laureato in Storia all’Università di Pisa, attualmente studio Antropologia Culturale ed Etnologia all’Università degli Studi di Torino. Mi interesso di epistemologia delle scienze sociali, filosofia politica e del diritto, antropologia culturale e storia contemporanea. Nel tempo libero coltivo la mia passione per l’animazione, i fumetti ed il vino.