«I greci giudicavano la scoperta del fuoco con sentimenti assai contrastanti. Da un lato il fuoco era per essi, come per noi, una grande conquista dell’umanità. Dall’altro il rapimento del fuoco dal cielo costituiva per gli dèi dell’Olimpo una sfida che essi non potevano non punire come affronto alle loro maestà», scriveva Norbert Wiener nella sua Introduzione alla cibernetica, significativamente sottotitolata L’uso umano degli esseri umani. La coscienza tragica dell’umanità, ci dice, sta nel comprendere che i maggiori risultati della scienza e della tecnica genereranno inevitabilmente – prima o poi – la propria nemesi.
Mentre l’umanità industriale si dibatte disperatamente nella ricerca di una soluzione alla catastrofe globale che proprio la combustione ha generato, torna in mente il tormento del povero Prometeo.
Un destino meno eroico è però già toccato a tanti sconosciuti che nella storia si sono trovati loro malgrado per una ragione o per l’altra nelle reti della tecnica – quella più colossale – come mezzo di produzione. Alle tante storie cancellate per sempre. Di nuovo il fuoco, che crea e costruisce e che segna e inghiotte vite.
Questo lo sfondo di Brucia, fumetto e «prima opera di finzione» (come recita la minibio in quarta di copertina) di Silvia Rocchi, uscito a fine 2017 per Rizzoli Lizard. L’ambientazione è quella di una factory town italiana, toscana per la precisione, negli anni ’80. Una comunità che vive di ritmi e ruoli ordinari attorno alla siderurgia. La provincia profonda, insomma, in cui cresce l’amicizia paradossale tra due protagoniste diversissime in tutto, dall’opposta classe sociale all’età; un legame – come tutto nella cittadina – inesorabilmente toccato dal fuoco.
Un mix narrativo sicuramente non semplice da mantenere in equilibrio, ma che costituisce uno dei punti di maggior forza di Brucia. Come nelle graphic novel più riuscite della – non vastissima – storia di questa forma dell’arte fumettistica in Italia, in Brucia le vicende legate allo svolgimento principale si intrecciano con la resa minuziosa dell’ambientazione e con una serie di dettagli che ne arricchiscono la forza narrativa. Il segno grafico è deciso e a tratti quasi sperimentale, nella bicromia di neri e bianchi rotti dal rosso-arancio. Il ritmo interno delle tavole rende ottimamente tanto la noia provinciale quanto la tragica distruzione di quella temporalità, quanto la dura dialettica della memoria e dell’oblio, nell’alternarsi di attenzione al dettaglio e voluto minimalismo. Il canone è quello realistico, ma di un realismo che ha bisogno di una dose abbondante di elementi altri per svelarsi, che con i suoi recinti “di genere” lascia ad una storia senza luoghi comuni la possibilità di parlare con il lettore un linguaggio quotidiano.
Brucia è sicuramente un fumetto da rileggere o da recuperare, che continua a dare una sensazione di gradita novità anche a distanza dall’esordio. Da consigliare.
Immagine della copertina da www.fumettologica.it
Nato a Bozen/Bolzano, vivo fuori Provincia Autonoma da un decennio, ultimamente a Torino. Laureato in Storia all’Università di Pisa, attualmente studio Antropologia Culturale ed Etnologia all’Università degli Studi di Torino. Mi interesso di epistemologia delle scienze sociali, filosofia politica e del diritto, antropologia culturale e storia contemporanea. Nel tempo libero coltivo la mia passione per l’animazione, i fumetti ed il vino.