E così alla fine il colpo di stato orchestrato dalla destra boliviana in combutta con ampi settori della polizia e dell’esercito ha avuto successo. A nulla è servito l’approccio conciliante di Evo Morales che ha cercato fino all’ultimo il dialogo con l’opposizione, anche con quella frangia estremista e violenta che nelle strade delle principali città della Bolivia seminava il panico bruciando comitati elettorali, sedi sindacali, giornali, persino le abitazioni private di esponenti di sinistra.
Il piano di destabilizzazione delle opposizioni era probabilmente preparato da mesi: gridare ai brogli elettorali per giustificare le violenze e il regime change. Durante le elezioni del 20 ottobre, alcuni dati delle aree più remote del paese sono arrivati in ritardo e i dati parziali indicavano una vittoria di Morales (46,4%) contro il suo principale contendente, Carlos Mesa (37,07%). Una vittoria chiara ma che non bastava per essere eletti al primo turno, dato che il sistema elettorale boliviano prevede il ballottaggio qualora il candidato più votato resti sotto la soglia del 50% delle preferenze o non riesca a staccare il suo più diretto avversario di almeno 10 punti percentuali. Ma quando sono arrivati anche i risultati dei seggi mancanti, Morales aveva incrementato il suo vantaggio, staccando il suo avversario per più di 10 punti (47,08% contro il 36,51%) ed è così stato ufficialmente eletto Presidente al primo turno dal Tribunale supremo elettorale (Tse).
Messa così, la cosa parrebbe effettivamente sospetta e le opposizioni hanno ovviamente gridato ai brogli, ma occorre considerare anche altri fattori. Il primo è che i seggi che mancavano, venivano dalle aree rurali e indigene che tradizionalmente votano in massa per Morales, cosa che quindi rende del tutto verosimile che il leader di Mas grazie proprio a quei voti abbia incrementato il vantaggio a proprio favore quel tanto che bastava per essere eletto al primo turno. Il secondo e più importante fattore è che nella notte di domenica quegli stessi seggi hanno subito degli attacchi da parte di gruppi violenti che hanno rallentato l’arrivo dei risultati. È dunque verosimile ipotizzare che le opposizioni abbiano volutamente ritardato lo spoglio in seggi tradizionalmente a loro avversi per poter poi accusare Morales di brogli elettorali1. Quest’ultimo appena iniziate le proteste per calmare la situazione ha subito acconsentito al riconteggio dei voti, ma L’OAS (Organizzazione degli Stati Americani), strumento delle destre sudamericane, ancora prima che fosse ultimato, ha parlato di gravi irregolarità senza peraltro fornire le prove ma dando piuttosto un pretesto alla frange fasciste per scatenare ancora di più la loro violenza. Da rimarcare che invece il CEPR di Washington ha al contrario affermato in un dettagliato documento che non esiste alcuna prova di irregolarità2.
Comunque la si voglia interpretare, che quella dei brogli sia stata solo una scusa per spodestare Morales e riprendersi il potere, sembra essere confermata dai comportamenti non esattamente coerenti con chi si professa paladino della democrazia: non solo l’annuncio del riconteggio non ha minimamente fermato i gruppi eversivi e il processo di destabilizzazione ma qualche giorno dopo, il 4 novembre, l’elicottero su cui stava viaggiando Morales ha subìto un sospetto malfunzionamento ed è stato costretto ad un atterraggio di emergenza. Non esattamente un atteggiamento democratico ma un probabile sabotaggio non certo improvvisato. Del resto l’incidente è avvenuto esattamente allo scadere dell’ultimatum del leader di estrema destra Luis Camacho che aveva dato a Morales 48 ore di tempo per rinunciare alla presidenza, dopodiché “sarebbe potuto succedere qualsiasi cosa”. Nel frattempo le bande di estrema destra, poco interessate a rivendicare i loro diritti democratici, si sono date a metodi squadristi di agghiacciante efferatezza. Anche in questo caso, più che proteste spontanee da parte di cittadini arrabbiati, si è trattato di gruppi estremamente organizzati e che già sapevano alla perfezione chi, come, cosa, dove e quando colpire. Insomma nel golpe delle destre non pare esserci proprio niente di estemporaneo, quanto piuttosto la messa in pratica di un piano progettato nei minimi dettagli.
La grande voglia di democrazia delle opposizioni è stata confermata dagli eventi successivi. Quando sono iniziati gli ammutinamenti della polizia e l’esercito sembrava già poco propenso a difendere il legittimo presidente della Bolivia e le istituzioni democratiche, Morales ha convocato nuove elezioni sperando di calmare la situazione ed evitare l’acuirsi dello scontro. Ma era evidente che alle opposizioni non interessava affatto ripetere le elezioni, che avrebbero probabilmente perso, bensì disfarsi di Morales stesso, annichilire la sinistra e i movimenti indigeni e riprendersi il controllo del paese a ogni costo. E la tattica è stata decisamente brutale: gli squadristi hanno occupato le sedi dei media di sinistra e hanno fatto ricorso a minacce e intimidazioni a giornalisti3, hanno dato fuoco ad abitazioni private, fra cui la casa della sorella di Morales e del governatore di Oruro, distrutto e saccheggiato la casa di Morales stesso, hanno assaltato l’ambasciata Venezuelana e aggredito e umiliato la sindaca di Vinto, Patricia Arce4.
Il copione è molto simile a quello perpetrato dei golpisti venezuelani. Boicottare il processo elettorale per poi denunciarne i brogli, scatenare le bande armate per poter accusare il “dittatore” (cioè il Presidente di sinistra) di massacrare il proprio popolo pur di mantenere il potere. La differenza con il Venezuela di Maduro non sta nell’entità o nella forza delle manifestazioni (in nessuna delle due si può parlare di una vera protesta di popolo come invece è avvenuto in Cile o in Ecuador recentemente) ma piuttosto nella diversa collocazione politica della polizia e dell’esercito. Le forze armate venezuelane restano fedeli alla Rivoluzione mentre quelle boliviane hanno “consigliato” a Morales di rinunciare alla Presidenza, che è l’equivalente di annunciare un colpo di stato.
Se l’esercito ha avuto il ruolo di mettere fine alla resistenza istituzionale di Morales, gli attori principali di questo golpe sono da ricercare nella sfera più propriamente politica che ha come epicentro Santa Cruz e le regioni del nord-est del paese, quelle etnicamente bianche. Da una parte la destra più istituzionale, quella del candidato premier Carlos Mesa, espressione della Bolivia bianca, della borghesia industriale e dei proprietari terrieri che si sono arricchiti tenendo per decenni la Bolivia in uno stato di arretratezza che non aveva pari in tutta l’America Latina. Dall’altra il reticolo dei cosiddetti Comitati Civici, cellule operative legate alla destra estrema che hanno avuto un ruolo più diretto nel processo di destabilizzazione tramite l’organizzazione di gruppi paramilitari e squadristi. Uno degli esponenti più in vista del movimento è quel Luis “Macho” Camacho a cui avevamo già accennato poco sopra, che in queste ore contende al più moderato Mesa il ruolo di leader delle proteste5 e che non nasconde le sue posizioni apertamente omofobe, sessiste e fondamentaliste cattoliche6.
Subìto l’ultimatum, la scelta di Morales di rassegnare le dimissioni va interpretata come la consapevolezza che il rapporto di forze attuali in campo in Bolivia avrebbe reso ogni tentativo di resistenza vano. Piuttosto che mandare i suoi sostenitori incontro a morte sicura, Morales, insieme al suo storico vice Álvaro García Linera, ha deciso di fare un passo indietro, consegnando di fatto il paese alle destre ma cercando di evitare inutili spargimenti di sangue: “abbiamo lasciato in modo che non continuino a bruciare case, che le nostre famiglie vengano intimidite e minacciate, ecco perché abbiamo lasciato” ha affermato Morales spiegando le ragioni delle dimissioni.
Ma la Bolivia resta tutt’altro che pacificata e il paese risulta polarizzato come non mai su basi etniche. Il periodo di pace e prosperità che Morales aveva garantito alla Bolivia, è fortemente minacciato dagli interessi oligarchici di alcuni fanatici con il supporto dei vertici più reazionari dell’amministrazione statunitense (degli audio divulgati incastrano i famigerati Marco Rubio e Ted Cruz)7. Quando poi Morales è volato in Messico accettando l’asilo politico offertogli da López Obrador, la situazione piuttosto che calmarsi, ha subito una nuova escalation con il popolo indigeno che nonostante la paura e le intimidazioni è sceso in piazza a El Alto e La Paz contro il golpe ma ha incontrato sulla sua strada un esercito che aveva ormai il controllo del paese.
L’ultima ferita mortale alla democrazia boliviana è stata inferta dalla senatrice di destra Jeanine Áñez che in un parlamento militarizzato si è autoproclamata presidente della Bolivia ad interim anche senza raggiungere il quorum legislativo per la logica assenza dei parlamentari del Mas (Movimento Al Socialismo, il partito di Morales) che controlla (controllava?) i due terzi delle camere8. Si è insomma consumato quello che l’ex presidente Morales ha giustamente definito “il golpe più subdolo e nefasto della storia”.
Nonostante dall’Ecuador, dal Cile e dall’Argentina arrivino messaggi conformanti di risveglio della sinistra sudamericana che provano una ripresa delle mobilitazioni delle masse contro il neoliberismo, occorre constatare come i processi storici non sono mai univoci e che la lotta di classe è un percorso accidentato che permette avanzamenti ma che obbliga spesso anche a ritirate. L’imperialismo non è affatto un retaggio del passato come dimostrano anche i tentativi vergognosi di destabilizzare il Venezuela. La Bolivia non era socialista in senso stretto, era un paese in cui, semplicemente, il modello capitalista era stato orientato in funzione del benessere del popolo prima che delle grandi oligarchie (con ottimi risultati di crescita del PIL peraltro). Anche per questo fa ancora più rabbia che organizzazioni, giornali, personaggi politici che si definiscono di sinistra tacciano sulle barbarie fasciste che si stanno consumando in Bolivia contro il suo legittimo presidente, il migliore che la Bolivia abbia mai avuto. La “sinistra” europea, con troppe poche eccezioni, non potendo trovare altri difetti, ripete il mantra che Morales è antidemocratico poiché ha imposto un cambiamento delle regole costituzionali per potersi candidare per più di due volte consecutive. Evidentemente a un Morales al quarto mandato preferiscono i golpisti fascisti che bruciano le case, minacciano, umiliano, torturano e nominano presidenti senza la minima legittimità costituzionale. Nessuno è perfetto, neppure Morales, ma voler a tutti i costi mettere in evidenza i difetti in un presidente che ha raggiunto traguardi sociali ed economici indiscutibili, senza invece voler notare i metodi squadristi e i comportamenti antidemocratici di chi lo contesta, significa essere complici di questi ultimi. E significa applicare lo stesso ragionamento reazionario di chi giustificava Pinochet perché con Allende l’economia cilena andava male.
Si apre per la Bolivia un periodo difficile. Probabilmente i golpisti saranno obbligati a rispettare le istituzioni democratiche, almeno formalmente. Se non ci sarà una dittatura militare, si andrà dunque probabilmente a elezioni ma in un clima di intimidazioni, minacce e repressione del dissenso che renderanno difficile strappare alle destre il controllo del paese. Occorrerà una lenta e tenace riorganizzazione dal basso. Ma nonostante tutto, come ricorda anche Morales, la lucha sigue.
Immagine da commons.wikimedia.org
1 https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-assedio_e_violenza_per_cambiare_il_governo_in_bolivia_tutto_quello_che_devi_sapere_sul_golpe_in_corso/82_31576/
2 http://cepr.net/press-center/press-releases/no-evidence-that-bolivian-election-results-were-affected-by-irregularities-or-fraud-statistical-analysis-shows
3 https://www.telesurtv.net/news/bolivia-grupos-violentos-atacan-medios-comunicacion-20191109-0026.html
4 https://www.ilpost.it/2019/11/08/assalto-sindaca-bolivia-proteste/
5 https://mundo.sputniknews.com/america-latina/201910301089163547-bolivia-se-prepara-para-convertirse-en-un-campo-de-batalla-un-vietnam/
6 https://www.dinamopress.it/news/el-macho-camacho-leader-della-destra-golpista-bolivia/
7 https://bbackdoors.wordpress.com/2019/10/19/the-us-embassy-in-la-paz-continues-carrying-out-covert-actions-in-bolivia-to-support-the-coup-detat-against-the-bolivian-president-evo-morales/ e https://erbol.com.bo/nacional/surgen-16-audios-que-vinculan-c%C3%ADvicos-exmilitares-y-eeuu-en-planes-de-agitaci%C3%B3n
8 https://www.repubblica.it/esteri/2019/11/13/news/bolivia_anez_presidente-240962037/
Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.