Oltre ai rapporti di forza interni al paese, bisognerebbe guardare anche a quelli internazionali per capire come la Bolivia sia finita nelle mani di una destra liberista, razzista, bigotta e autoritaria. Evo Morales non si è dovuto solo scontrare con le forze reazionarie interne al paese, espressione dell’elite economica bianca che non ha mai tollerato che buona parte dei ricavi dalla vendita di risorse naturali finisse in generosi programmi sociali a favore dei più deboli, ma si è anche trovato a doversi difendere dalle ingerenze imperialiste degli Stati Uniti, intenzionati a sbarazzarsi in un modo o nell’altro dei protagonisti delle rivoluzioni bolivariane in Sudamerica. Le enormi risorse naturali del paese, soprattutto il litio, hanno sempre fatto gola a Washington e le nazionalizzazioni promosse da Morales sono sempre andate contro gli interessi tanto degli industriali locali quanto delle multinazionali americane.
La caduta di Morales, costretto alle dimissioni e all’esilio con un vero e proprio colpo di stato, va letta proprio nell’intreccio fra questi poteri. Il leitmotiv è sempre lo stesso: Washington tramite fondazioni come l’USAID o il NED finanzia generosamente le organizzazioni dell’opposizione e in particolare i cosiddetti comitati civici[1], legati agli ambienti più bigotti e fascistoidi dell’estrema destra che organizzano manifestazioni violente, assalti squadristi e linciaggi di membri della sinistra. Il sistema mediatico punta il dito contro Morales e la sua repressione, facendo credere che si tratti di un dittatore sanguinario che non rispetta i diritti umani e la democrazia.
Questo teatrino ha raggiunto il suo climax lo scorso ottobre e novembre grazie all’attuazione di un golpe ben orchestrato in concomitanza con le elezioni presidenziali. La vigilia delle elezioni è stata segnata dalle violenze delle bande squadriste e dei banditi dell’estrema destra che hanno perpetuato le loro violenze anche durante le votazioni rendendo difficile reperire i risultati di alcuni collegi periferici. Si sono così prodotti dei ritardi e delle inefficienze che sono servite da pretesto per permettere all’OSA (Organizzazione degli Stati Americani), impegnata già da anni nella destabilizzazione dei paesi socialisti latinoamericani, di decretare come invalido il risultato elettorale che premiava Morales al primo turno, senza aver mai fornito alcuna prova delle presunte irregolarità.
In un clima di crescenti violenze portate avanti dalla destra e descritte dai media mainstream come manifestazioni democratiche, Morales ha acconsentito prima al riconteggio e poi perfino a ripetere le elezioni. Ma alla destra non poteva bastare, perché sapeva che finché Morales e il suo partito, il Mas (Movimento al Socialismo) fossero rimasti in competizione per loro c’erano poche speranze di vincere democraticamente un’elezione. In un clima di violenze contro esponenti della sinistra e delle loro famiglie, a fare la differenza è stato il coinvolgimento della polizia e dell’esercito nelle trame dei golpisti. Secondo l’analista Jeb Sprague fra i principali golpisti figurano ex colonnelli dell’esercito che sono stati studenti della famigerata Scuola delle Americhe, legata all’esercito statunitense e dove si sono formati generazioni di golpisti, mentre molti degli ufficiali di polizia avevano fatto parte del programma APALA che ha lo scopo di creare rapporti fra funzionari statunitensi e ufficiali di polizia dei paesi latinoamericani[2]. Il colpo di grazia a Morales è stato dato però dal generale Kaliman che dopo aver “invitato” Morales ad andarsene, secondo vari media, si sarebbe trasferito negli Stati Uniti dopo aver intascato un milione di dollari[3]. Quale sia stato il livello di corruzione delle forze armate e della polizia, non c’è dubbio del supporto economico e politico offerto da Washington nel perpetuare il colpo di stato[4].
La repressione delle proteste popolari in seguito al colpo di stato è stata feroce, soprattutto nella regione indigena di Cochabamba e nella città andina di Palo Alto. Si contano 32 morti, centinaia di feriti e sono stati registrati diversi casi di violazione dei diritti umani ai danni dei manifestanti[5]. Morales ha denunciato pratiche da parte della polizia e dell’esercito che ricordano quelle della dittatura militare ma il governo golpista ha di fatto l’appoggio della comunità internazionale e ha potuto usare indiscriminatamente la violenza per reprimere le rivolte. L’atteggiamento squadrista del governo si è del resto potuto constatare anche nella gestione delle relazioni diplomatiche e in particolare nell’assedio stretto dai militari e polizia all’ambasciata messicana dove si erano rifugiati ex ministri del Mas accusati assurdamente di sedizione e terrorismo[6] (Il Messico inoltre aveva concesso allo stesso Morales l’asilo politico e lo aveva aiutato a fuggire). Non contento di essersi preso dal Messico una accusa presso la Corte penale internazionale «per violazione degli obblighi diplomatici», il governo de facto boliviano pochi giorni dopo ha compromesso anche i rapporti diplomatici con Madrid. In seguito infatti alla visita di alcuni diplomatici spagnoli all’ ambasciata messicana, le autorità boliviane hanno denunciato il tentativo di portare fuori clandestinamente dall’ambasciata i ministri del Mas che si erano là rifugiati. Il fatto è stato smentito sia dalla Spagna che dal Messico ma i golpisti hanno deciso comunque di espellere l’ambasciatrice messicana e due diplomatici di Madrid[7].
In un clima di intimidazioni e repressione, nel silenzio assordante dei media occidentali, (a parti invertite si parlerebbe di dittatura sanguinaria, ma del resto basta vedere l’asimmetria con cui vengono trattate le proteste in Venezuela e Cile per capire come viene orientata l’opinione pubblica), la destra si prepara il terreno per vincere le elezioni generali, indette dal Tribunale Supremo Elettorale (TSE) per il prossimo 3 maggio. In una nota il Tribunale ha anche affermato di non aver accolto la richiesta di alcune personalità del governo de facto di escludere dalla contesa Il Mas che potrà dunque presentarsi alle elezioni ma in una situazione estremamente difficile. Il partito è a pezzi, i media di sinistra vengono sistematicamente censurati e con Morales in esilio in Argentina, manca una leadership forte.
Tutto insomma gioca a sfavore dei socialisti in Bolivia come sembra far vedere anche un sondaggio preelettorale[8] che pone il Mas a solo il 20,7%, la presidente di fatto Añez al 15,6% (la quale ha però affermato di non candidarsi), il leader della destra affarista Carlos Mesa, al 13,8% e all’ 8,1% l’evangelico anti-LGBT di origine coreana Chi Hyun Chung. Un altro sondaggio[9] pone Andrónico Rodríguez, uno degli esponenti del Mas più papabili a essere scelto come candidato alla Presidenza, al 23%; Mesa al 21% e i leader legati ai comitati civici dell’estrema destra al 13% (Camacho) e al 10% (Pumari). Infine, Chi Hyun Chung viene dato al 9%. I sondaggi mostrano ancora una grande indecisione dell’elettorato e occorre capire quanto possa recuperare il Mas una volta che verrà ufficializzato il suo candidato. Quel che è certo è che nemmeno i leader della destra godono di grande popolarità, ma se si metteranno insieme fin dal primo turno, mettendo da parte le ambizioni personali, per il Mas sarà difficile vincere le elezioni, anche senza i brogli elettorali che il governo de facto potrebbe provare a fare.
Immagine da www.flickr.com
[1] https://jacobinmag.com/2019/11/coup-bolivia-history-evo-morales-jeanine-anez
[2] https://mronline.org/2019/11/14/top-bolivian-coup-plotters-trained-by-us-militarys-school-of-the-americas-served-as-attaches-in-fbi-police-programs/
[3] http://estrategia.la/2019/11/17/bolivia-licencia-para-matar-indigenas-y-masistas-y-salir-impune/
[4] https://www.peoplesworld.org/article/the-coup-in-bolivia-has-u-s-fingerprints-all-over-it/
[5] https://www.telesurtv.net/news/parlasur-delegacion-visita-bolivia-balance-20191223-0004.html
[6] https://ilmanifesto.it/messico-furioso-per-lassedio-della-sua-ambasciata-in-bolivia/
[7] https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2019/12/31/bolivia-espelle-ambasciatore-del-messico-diplomatici-spagnoli/
[8] https://telesurtv.net/news/bolivia-mas-lidera-encuestas-intencion-votos-elecciones-20200103-0014.html
[9] https://www.paginasiete.bo/nacional/2019/12/22/andronico-mesa-lideran-intencion-de-voto-camacho-pumari-caen-241214.html
Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.