In questa settimana il senatore Renzi ha rivendicato l’anniversario di aver innescato la crisi del governo Conte bis. A un anno di distanza, il governo che gli è succeduto è giunto a un inevitabile snodo critico, coincidente con l’elezione del Presidente della Repubblica e denso di interrogativi non solo sul Quirinale, ma anche sul prosieguo di questo esecutivo e di questo Parlamento. È ancor più inevitabile quindi chiedersi: che anno è stato? Quale bilancio si può trarre di questo governo di quasi unanimità parlamentare, più che mai unificato da un leader esterno ai partiti?
Piergiorgio Desantis
Un anno è davvero un periodo di tempo troppo limitato per fare un bilancio sul governo Draghi. Tuttavia, sicuramente si possono notare alcune tendenze. Al netto dell’aumento del PIL di oltre il 6%, frutto soprattutto di un rimbalzo economico dopo il 2020 disastroso, tutti gli indicatori nel 2022 parlano di una crescita prossima al punto o due di percentuale. Progressivamente, si ritornerebbe alla situazione di stagnazione economica pre-covid. Sostanzialmente non c’è nessun miracolo economico in vista, tutt’altro. Questi i numeri del governo Draghi. Per quanto riguarda invece l’allocazione delle risorse è esemplificativa la finanziaria approvata a colpi di voti di fiducia, nonostante una maggioranza così ampia. In particolare la parte fiscale ci parla di un ulteriore spostamento di risorse alle categorie più elevate con risparmi praticamente vicine allo zero per la prima e meno capiente categoria di reddito. Sono gli anglosassoni che, tradizionalmente, hanno una visione molto attenta sugli interventi fiscali ed economici. Forse, anche noi dovremmo imparare maggiormente a riflettere sulla politica economica e fiscale prima di elaborare un qualsiasi giudizio.
Francesca Giambi
Dieci mesi fa il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha chiamato Mario Draghi e gli ha affidato il compito di risolvere due problematiche: l’emergenza sanitaria e quella economica legata soprattutto alla distribuzione dei milioni del Recovery Fund.
Mi ricordo bene quella serata, con il Presidente della Camera, Roberto Fico, incaricato di trovare i “famosi” responsabili, per formare il Conte ter… mi ricordo l’amarezza provata di fronte ad una politica indegna, dove la responsabilità non è più un valore, dove valgono solo le acredini, le invidie e i personalismi, e la tristezza negli occhi di Fico… dopo parecchi giorni.
Numeri, numeri, numeri… terribile… il destino italiano in mano a “trafficanti di numeri”, a “spericolati”…E dovevo essere contenta della figura di Renzi che gongolava nell’aver affossato Conte? Era questo che voleva l’Italia?
In quella serata già di preannunciava l’arrivo del “Salvatore della Patria”, Mario Draghi… Presidente del Consiglio dei Ministri dal 13 Febbraio 2021Indubbiamente Draghi, l’uomo che nel 2012 salvò l’euro, era un nome importante, banchiere, con prestigiosi incarico economici, anche in campo europeo… ma forse non era ciò di cui l’Italia aveva bisogno.
Draghi è stato lontano dal clima italiano, non sapeva esattamente come gestire i partiti e soprattutto doveva assolvere a quei due incarichi per il quali il Presidente Mattarella lo aveva chiamato.
Le dichiarazioni programmatiche di Draghi sono state, schematizzando, soprattutto giovani, coesione sociale, lavoro, scuola, next generation eu, e poi parità di genere, campagna vaccinale, ambiente.
Direi che a questi punti programmatici non sono state date risposte, a mio avviso, soddisfacenti… e la crisi sta aumentando.
L’unica cosa che noto è che sembra ormai una Repubblica Presidenziale, sembra che al Salvatore della Patria sia dato l’incarico di decidere su tutto. La colpa dei partiti è sempre più grave. E tutto questo esploderà nelle votazioni per il Presidente della Repubblica.
Non sarà una donna… ma nei punti programmatici non c’era la parità? Eppure l’affossamento del DDL Zan aveva già fatto capire tutto…Non c’è una visione di futuro per l’industria italiana, vedi le miriadi di crisi, ma c’è un appoggio ed un concreto aiuto agli industriali italiani, anche i più “ignobili” che hanno pensato solo ai propri soldi…Non c’è coesione sociale, anzi sembra che tutto stia per esplodere. Le disuguaglianze aumentano… e tutto ciò è molto pericoloso. I grandi sindacati non sono stati minimamente considerati, addirittura il giorno dello sciopero generale della CGIL i mass media e i giornali, a fianco di Draghi stesso, hanno sottolineato la negatività pericolosa della scelta, quasi che non si possa contestare la linea di Draghi…Le scelte di sviluppo economico del suo braccio destro Giorgetti fanno acqua da tutte le parti… e quelle del ministro delle Finanze, Franco, ancora di più. Sembra la peggior visione della destra populista ed affarista.
Gli evasori fiscali? Non è un problema, basta premiare i ricchi…Saranno settimane molto difficili… anche per Draghi-salvatore… sia per la sfida dell’elezione del Capo dello Stato sia per tutto ciò che concretamente deve fare. Prima di tutto l’incertezza della pandemia con tutte le drammatiche conseguenze sia sul sistema sanitaria sia su quello scolastico. E il 2022 vede delle scadenze, molto importanti. Si devono avviare almeno una cinquantina di riforma: appalti, burocrazia, fisco, concorrenza, com… Si devono prevedere dai 10 ai 30 miliari di euro per ridurre il caro bollette… e non certo investendo sul nucleare… Con la seconda tranche da 40 miliardi per rispondere agli impegni con Bruxelles si devono raggiungere 1 o 2 target…Impresa, dal mio punto di vista, quasi impossibile soprattutto se il parlamento molto spostato “a destra” ha na visione di paese molto lontana dalla visione di un mondo rispettoso della natura, dei poveri, ma alla ricerca del mercato, della precarietà e degli inutili bonus…
Jacopo Vannucchi
In dodici mesi il governo Draghi ha gestito il pieno dispiegamento della campagna vaccinale e la definizione del PNRR. Al di là di queste azioni obbligate, la proposta politica ha necessariamente risentito di tre fattori: la formazione del governo nella metà finale della legislatura, la composizione parlamentare generata nel 2018 da un clima politico trumpiano assai distante dagli orizzonti del Presidente del Consiglio, la natura di unità nazionale della base di sostegno («non debba identificarsi con alcuna formula politica» secondo Mattarella, «è semplicemente il Governo del Paese» secondo Draghi). Questi impedimenti hanno limitato il respiro di un’azione politica che pure, negli ambiti più indipendenti dalle contese propagandistiche, ha ottenuto risultati come il Trattato del Quirinale con la Repubblica Francese e in generale un riequilibrio del peso diplomatico dentro l’Unione Europea.Ne consegue che anche il maggior lascito legislativo di questo anno di governo – la riforma delle aliquote IRPEF – ha risposto sì a un obiettivo politicamente determinato, ossia il rafforzamento della capacità di consumo della middle class (serve usare l’americanismo per esprimere una classe che va ancora sotto il nome di media pur essendo da tempo impoverita e precarizzata), ma senza centrare due obiettivi del Presidente del Consiglio: il contributo di solidarietà dai redditi più alti e la distensione nelle relazioni industriali.È evidente che a Draghi gioverebbe trovarsi in una situazione opposta a quella di febbraio 2021: ossia, assumere la guida di un governo a inizio legislatura, con una base parlamentare politicamente non eterogenea e comunque legata a quanto, a torto o a ragione, viene definito “sovranismo europeo”. Buona parte dei ragionamenti in merito all’elezione del Capo dello Stato ruota attorno alla fattibilità – o meno – di questo scenario. Certo tutti questi scenari evocano come perturbante convitato di pietra la crisi dei partiti, nonché della Costituzione nazionale, ma forse esse potrebbero essere risolte proprio da una nuova sovranità continentale.
Alessandro Zabban
Con l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi si è acceso un entusiasmo mediatico mai visto. Si è parlato di un fuoriclasse, di un fenomeno, della più alta risorsa che il paese potesse esprimere. Questa narrazione salvifica e agiografica è in realtà una pericolosissima arma a doppio taglio: se Draghi è il massimo a cui si possa aspirare, l’unico in grado di rimettere l’Italia in carreggiata, cosa succede se fallisce? Cosa si dovrebbe dire a quel punto a un’opinione pubblica, a una popolazione a cui è stato chiesto di riporre la massima fiducia in Draghi e nel suo “governo dei migliori”?
A un anno dall’insediamento di Draghi come Presidente del Consiglio i cori entusiastici cominciano a perdere vivacità. Lo spettro di uno scenario economico tutt’altro che rassicurante per l’Italia comincia a materializzarsi. Dopo la sbornia delle previsioni sulla crescita del PIL, che è comunque un rimbalzo, superiore a quella di molti altri paesi europei, si inizia a guardare con preoccupazione all’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’inflazione, mentre imperversa una variante omicron a cui il governo non ha saputo dare alcuna risposta, nonostante in Italia ci fosse stato tempo per provare a limitare gli effetti più devastanti dell’ondata.
Ci si chiede allora cosa abbia fatto nel concreto il governo Draghi, a prescindere dalle congiunture. Del resto, all’ex governatore della BCE, si è chiesto di realizzare quelle riforme difficili ma necessarie per il bene a lungo termine del Paese, quelle riforme che i partiti da soli non hanno mai avuto la volontà politica di fare. Il punto è che queste riforme sono in parte state anche fatte ma non hanno niente di strutturale, come ad esempio quella delle pensioni o della giustizia. Ma è la riforma del fisco a essere la più emblematica dell’immobilismo del governo Draghi: si tratta infatti di un semplice e timido taglio delle tasse, per lo più a chi non ne ha bisogno e senza alcuna logica di lungo periodo e senza la minima traccia di un meccanismo redistributivo che persino l’Europa e il Fonde Monetario Internazionale ci suggeriscono. Se a questo aggiungiamo un totale immobilismo su scuola, sanità e sostenibilità, i tre settori considerati a parole prioritari, appare evidente come tutti gli elogi fatti a Draghi non possano apparire giustificati.
Immagine di Filippo Attili da governo.it
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.