Le recenti elezioni americane che hanno portato alla presidenza Joe Biden, già vice-presidente con Obama, esponente liberal del partito democratico porta con sé alcuni cambiamenti in politica economica. L’elezione di Bernie Sanders alla presidenza della commissione bilancio del Senato e lo stesso presidente Biden che, appena pochi giorni orsono, si è speso direttamente per chiedere la fissazione di un salario minimo orario pari a 15$ sono entrambi aspetti da seguire con attenzione. Il Dieci mani di questa settimana se ne occuperà, indagando le possibili prospettive.
Leonardo Croatto
Negli Stati Uniti una lunga campagna sociale e politica ha portato il presidente eletto Joe Biden ad abbracciare, almeno a parole, le rivendicazioni per l’innalzamento a 15 dollari del salario minimo. Il movimento “Fight for $15” si è strutturato nella società all’inizio degli anni ’10 a seguito di una serie di scioperi dei lavoratori di diverse catene di ristoranti fast food, coinvolgendo negli anni successivi anche i lavoratori della grande distribuzione e della cura e sconfinando anche in paesi diversi dagli USA, e ha trovato un riferimento politico forte nella sinistra del Partito Democratico, che si sta rafforzando nel paese e con cui il partito deve sempre più fare i conti.
Se il movimento per l’aumento del salario minimo negli USA è riuscito a guadagnare con la forza delle sue battaglie la scena nazionale, meno noto è che pure in Europa è in corso un dibattito sullo stesso tema, e che è già stata adottata dalla Commissione Europea una proposta di direttiva sul salario minimo europeo che guarda a diversi obiettivi dell’Agenda 2030: lotta alla povertà, lavoro dignitoso, riduzione delle disuguaglianze, parità di genere.
Ursula von der Leyen ha descritto la proposta con toni piuttosto enfatici, ma il contenuto appare abbastanza blando: le politiche su lavoro e occupazione restano nella disponibilità degli stati membri, quindi il ruolo dell’Europa può essere solo orientativo e non vincolante. L’adozione della proposta è almeno servita a far emergere il posizionamento dei partiti sugli assi (oramai noti) del dibattito: la sinistra del parlamento ritiene che la proposta sia debole e che un salario minimo europeo misurato sul costo della vita sia ineludibile e possa portare a vantaggi economici sistemici (aumento dei consumi interni, leale concorrenza tra aziende sul costo del lavoro); la destra ritiene che un salario minimo europeo causerà un aumento dell’inflazione e della disoccupazione e rivendica l’autonomia delle parti sociali nella contrattazione; i socialisti stanno nel mezzo, rivendicando sia l’importanza di un forte quadro europeo di riferimento sia il ruolo primario della contrattazione collettiva.
Anche in Italia è in discussione da oltre un anno una proposta di legge (a mio modestissimo avviso molto interessante) che affianca al salario minimo determinato per legge un sistema per la certificazione della rappresentanza delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, per dare forza e legittimità alla contrattazione collettiva contrastando il fenomento dei contratti pirata.
Si nota purtroppo però nel dibattito l’assenza di una voce di sinistra non keynesiana. L’argomentazione delle soggettività politiche di sinistra in campo è tutta impostata su una valutazione dello strumento legata alla dinamica dei consumi, mentre è completamente assente dalla riflessione il ruolo del conflitto tra capitale e lavoro e la necessità di strutturare il conflitto di classe nella società.
Piergiorgio Desantis
Agli inizi del Novecento, le sinistre socialiste e comuniste europee, dopo la rivoluzione russa del ’17, avanzavano nelle urne e nelle piazze al grido “faremo come in Russia”. A distanza di oltre cent’anni verrebbe voglia di modificare quel motto (con un po’ di ironia) in “faremo come in USA”. Facezie a parte, è comunque significativo che la sinistra democratica socialista americana, anche attraverso strumenti molto lontani per la sinistra storica europea come le primarie, abbia raccolto un consenso a tal punto importante da inserire quale presidente di una commissione significativa quale è quella del bilancio il suo esponente di punta: Bernie Sanders. È piuttosto desolante il confronto con la politica europea dove un tema come quello del salario minimo non riesce neanche ad affacciarsi nelle aule parlamentari o, quando avviene, scatena barricate a destra come a sinistra (sic!). Magari la sortita di Biden di fissare a 15$ il salario orario minimo è solo un fuoco di paglia; tuttavia, esso è soprattutto la conclusione di un lungo ciclo di lotte e scioperi che sono partiti nel 2012 e di un movimento di classe come “Fight for $15”. Questi sono alcuni dei segnali che ci narrano di un contesto internazionale dove la Storia non è finita (come sono lontani i tempi descritti da Fukuyama), anzi ci sono alcune crepe nel capitalismo dove ci si dovrebbe infilare (anche qui in Europa). Oggi più che ieri viene da esclamare “eppur si muove!”.
Dmitrij Palagi
Già negli anni ’80 del secolo scorso Bauman scriveva della funzione conservatrice delle richieste economiche della classe operaia (il libro “Memorie di classe” è stato recentemente riproposto nelle librerie in traduzione italiana).Senza mettere in discussione l’organizzazione della produzione e i rapporti di potere chi lavora si limita a chiedere qualche risorsa in più, in uno scontro in cui il salario acquista un valore di identità delle lotte che esaurisce tutte le potenzialità di chi avrebbe interesse a un cambiamento radicale della società.
In particolare già all’epoca si evidenziava il forte interesse delle organizzazioni sindacali a mantenere un ruolo centrale rispetto al salario, senza slegarlo dalla contrattazione collettiva.
La busta paga ha sostituito il sole dell’avvenire, si potrebbe sintetizzare.
La questione è di sicuro interesse e attraversa specialmente il dibattito all’interno dell’Unione Europea, in cui si incontrano storie e tradizioni diverse. Alcuni studi evidenziano come il salario minimo sia utile solo dove mancano i contratti nazionali, mentre avrebbe una funzione potenzialmente peggiorativa negli altri in cui non è previsto, ma in cui i sindacati svolgono un ruolo riconosciuto e affermato.
Forse però rischia di essere fuorviante rispetto alla campagna per i 15 dollari (https://fightfor15.org/). Stiamo parlando degli Stati Uniti. Il ruolo riconosciuto a Sanders è importante in quel contesto. Determinato dai rapporti di forza nella società, che evidentemente stanno mutando.Merita più attenzione quel che accade fuori dalle istituzioni, non solo dall’altra parte dell’oceano. La presidenza di Obama (e la sua battaglia sulla sanità) non è in realtà ancora archiviata. Lo stesso Trump non è riconducibile alla categoria del politico conservatore moderato a difesa degli interessi del capitale. Quindi gli Stati Uniti offrono numerosi elementi di novità che sono inevitabilmente interessanti.Una busta paga più forte per chi lavora è un obiettivo immediato che non può essere sacrificato sulle spalle delle persone. Al tempo stesso non può costituire un’alternativa allo stato di cose presenti.
L’equilibrio tra il cambiamento di lungo periodo e le lotte quotidiane per la dignità umana non è mai stato semplice. In questo 2021 verebbe da dire che le prime istanze sembrano però essere sparite nel “vecchio continente”, rendendo la sinistra anglosassone e quella statunitense dei riferimenti, esaurendo però la lettura alle figure apicali, ignorando tutto ciò che essere rappresentano.In fondo per le forze politiche è più facile misurarsi sui giochi parlamentari che verificare il loro ruolo effettivo nelle società.
Jacopo Vannucchi
In nessun caso Biden avrebbe avuto facile al Senato: se i repubblicani avessero mantenuto la maggioranza, avrebbe dovuto concordare con loro tutta l’agenda legislativa; in caso contrario, invece, non avrebbe avuto alcun alibi nei confronti delle richieste dell’ala sinistra.È proprio quest’ultimo il caso, dopo che i ballottaggi in Georgia hanno sancito la spaccatura del Senato 50-50, sbilanciata dal voto della Vicepresidente Harris. Con 51 voti su 101 i democratici sono quindi in teoria autosufficienti, ma la compresenza di due orientamenti diversi e abbastanza battaglieri – come evidenziato già alle primarie, nei dibattiti televisivi del 2019 – richiederà tutta l’abilità mediatrice di Biden per garantire una navigazione. Inoltre non è escluso che il Presidente possa cercare di puntellarsi acquisendo una o due senatrici moderate dal gruppo repubblicano, una mossa che, sia pur di poco, annacquerebbe il peso contrattuale della sinistra.L’accoglimento della proposta di Sanders di aumentare il salario minimo a 15 dollari l’ora, a lungo giudicati dalla vecchia guardia del partito una cifra troppo elevata, di per sé non garantisce che quella misura diventi legge. I margini ridotti sia al Senato sia alla Camera metteranno molta pressione sui capigruppo per difendere la posizione elettorale dei parlamentari eletti in zone di centro o centrodestra, che non vorranno essere accusati di socialismo. Anche la Presidenza della Commissione Bilancio del Senato, che pure è per Sanders un importante successo politico e personale, è inferiore al posto di Segretario del Lavoro per il quale pare che il senatore per il Vermont intendesse trattare, prima del ridimensionamento delle aspettative giunto con le elezioni di novembre.Al Segretariato del Lavoro andrà invece Marty Walsh, da sette anni sindaco di Boston e rappresentante tipico della classe operaia tradizionale – peraltro con radici irlandesi abbastanza vicine nel tempo: suo padre emigrò in America negli anni Cinquanta.Il peso delle componenti socialiste o socialdemocratiche è senza dubbio molto, molto cresciuto da quando Sanders annunciò la candidatura a Presidente sei anni fa. Quelle componenti hanno adesso un posto al tavolo delle trattative, ma i rapporti con la dirigenza tradizionale del partito restano ancora tutti da verificare sul terreno dei negoziati legislativi.
Alessandro Zabban
Il declino imperiale degli Stati Uniti ha avuto come primo risultato la divisione politica. Fintantoché gli americani potevano rappresentarsi come i primi in tutto, una generale coesione e condivisione valoriale era sostanzialmente garantita. Ciò non significa che non ci siano stati conflitti sociali anche aspri, soprattutto per i diritti degli afroamericani, ma si può dire che negli ultimi decenni, soprattutto dal punto di vista politico, c’è stata una condivisione di massima dei due principali partiti sulla direzione da intraprendere. E la popolazione condivideva nella sostanza questa direzione a prescindere da chi la guidasse.Ma oggi la crisi statunitense si fa sempre più tangibile e si traduce prima ancora che in declino economico, in una crescente disillusione nei confronti dell’American Dream. Questa situazione ha acuito lo scontro politico poiché in epoca di incertezza aumenta anche il sospetto che il motivo della crisi sia da imputare a scelte politiche sbagliate degli “altri”. Le ultime elezioni presidenziali sono state non a caso le più partecipate della storia americana ma a guidare le persone alle urne non è stato entusiasmo ma paura e risentimento. Il modello americano è allo sfascio e nella perdita di legittimità del sistema tradizionale sono sorti movimenti politici che sembravano fino a pochi anni fa destinati a rimanere delle piccole nicchie politicamente insignificanti. Invece, l’ascesa della componente socialista fra i Democratici e della destra suprematista fra i Repubblicani ha profondamente mutato il quadro politico nel Paese nel quale più di ogni altro si pensava che la Storia fosse finita.Biden si trova così a operare in una situazione difficilissima. Da moderato, esponente di un modello in fallimento e sempre più delegittimato, si trova a dover rilanciare gli Stati Uniti come prima potenza mondiale. E nel farlo deve fare i conti innanzitutto con una destra che perlopiù segue ancora i deliri trumpiani e che è costellata da un arcipelago di organizzazioni paramilitari armate fino ai denti che con ogni probabilità attirano le simpatie di non pochi membri delle forze dell’ordine e dell’esercito.C’è poi la componente socialista, che indica una via di civiltà per gli Stati Uniti. Niente di rivoluzionario, ma che prova a far sentire la sua voce su temi tornati di moda: le disuguaglianze sociali e la questione razziale. L’irruenza delle manifestazioni di Black Lives Matter ma anche lo statuto di star politiche ottenuto da Sanders e Ocasio-Cortez, obbligano Biden a dover concedere qualcosa anche a sinistra, consapevole che non sia sufficiente nominare una Vicepresidente di colore per tenere a bada le richieste di un’importante fetta della popolazione, soprattutto giovane, che lotta con passione per una società un po’ più giusta.
Immagine da commons.wikimedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.