Chi è Bhaskar Sunkara? Uno statunitense nato nel 1989 che ha fondato la rivista
Jacobin, «un raggio di luce in tempi bui» secondo Noam Chomsky. Il prodotto editoriale è in effetti diventato un punto di riferimento internazionale importante per le varie sinistre, tanto da avere una sua versione italiana (
Jacobin Italia). Il mondo anglosassone si è progressivamente affermato orizzonte a cui guardare con le storie di Corbyn e Sanders, ma la proposta
giacobina vive indipendentemente dalle esperienze elettorali democratiche e laburiste. Per questo il
Manifesto socialista per il XXI secolo, scritto nel 2019 da un intellettuale di riferimento sulla soglia dei 30 anni, può facilmente suscitare alte aspettative. Forse è meglio non averne, per evitare rischi di delusione. O così vale per il sottoscritto.
La parte migliore è quella introduttiva, in cui si immagina un giorno nella vita di un cittadino socialista, negli Stati Uniti dell’immediato futuro, in cui governa un movimento di estrema sinistra guidato da Bruce Springsteen. Da sola vale l’acquisto (o quantomeno la lettura) del libro, perché evidenza chiaramente un limite denunciato in forma diversa da Giovanni Mazzetti anche nel recente
Dieci lezioni di economia politica e implicitamente riconosciuto da Paolo Ferrero nel suo libro sul
1969. Le vittorie della classe lavoratrice nel corso del ‘900 sono avvenute grazie alla conciliazione tra fase di crescita economica e lotta di classe, quindi tanto le organizzazioni comuniste quanto quelle socialdemocratiche non si sono pensate adeguatamente al di fuori di un modello di società fondata sul lavoro salariato. Oggi però il capitalismo declinato secondo alcune teorie keynesiane ha esaurito la sua spinta propulsiva e in generale ha sempre impedito di immaginarsi fuori dai modelli produttivi conosciuti negli ultimi decenni. Occorre guardare ai nuovi problemi del presente e alle necessità dell’umanità per poterla immaginare non più schiava della miseria e dei bisogni materiali. Non ci si può accontentare di denunciare l’ingiusta attuale redistribuzione delle ricchezze. Qui trova spazio la proposta per il socialismo nel XXI secolo. Sunkara ha grande capacità nell’argomentare la necessità di fondo per il presente. Convince meno come sceglie di argomentarlo e declinarlo.
Una lunga sezione è dedicata alle storia. Marx compare, evocando qualche immagine del film di recente successo sul giovane di Treviri (
Il giovane di Marx). Dopo di lui lo sviluppo dei movimenti nelle varie parti del mondo. I primi scioperi, le prime sigle, il dibattito della Seconda Internazionale, l’arrivo della Prima Guerra Mondiale. Poi si passa all’Unione Sovietica, a chi ha sperimentato il superamento dello stato di cose presenti e a chi invece è caduto provandoci (su tutti Rosa Luxemburg). Per quanto Sunkara dichiari di non avere grandi simpatie per Trockij, è difficile accettare la forte dipendenza dall’interpretazione di questi processi secondo quest’ultimo. La divulgazione e la necessità di smarcarsi dall’anticomunismo ormai stabilmente egemone nel blocco occidentale non può giustificare semplificazioni tanto erronee. Si possono denunciare i drammatici errori del socialismo reale senza cadere in alcuni schemi al limite del macchiettistico. Lo stesso problema accompagna gli sguardi sulla Cina, l’America Latina e il pure lodevole intento di guardare anche alle storie meno note. Bisogna riconoscere come al centro delle analisi critiche finiscano anche le esperienze della sinistra di governo di Palme in Svezia e di altri contesti europei. Si salva poco, anzi si salva solo la ragione per cui si sono tentati gli assalti al cielo.
La parte di ricostruzione è troppo lunga e poco incisiva per giustificarne i difetti. Se funzionerà per avvicinare al socialismo numerose nuove energie poco male, ma sia concesso avere dei dubbi… Anche se l’efficacia di uno strumento la si misura nella prassi più che sul piano teorico.
Rimane fondamentale quanto si afferma sulla materialità necessaria per sviluppare una consapevole una necessità di socialismo, partendo dalle condizioni materiali delle persone e con la capacità di lavorare sul piano della comunicazione, come costruzione di coscienza diffusa e condivisa.
La seconda parte recupera quella introduttiva, ma messe insieme non raggiungono la stessa lunghezza della prima, ne richiedono lo stesso impegno da parte del lettore. La proposta di Sunkara è sufficientemente elastica da poter essere ampiamente discussa ed ha il grande merito di proporsi in modo chiaro, articolando una lettura complessiva del passato e del presente, per proporre azioni concrete. Messa da parte la storia di Corbyn, oggi sicuramente meno convincente per l’opinione pubblica di pochi mesi fa, resta poco adatta fuori dal mondo anglosassone la tattica cosiddetta entrista. Certo la costruzione di partiti inesistenti nella realtà non è un’alternativa consigliabile. Però la tattica varia molto a seconda del contesto. E il suo successo dipende dai rapporti di forza che si sanno creare nella società. Il resto è troppo incerto per essere riferimento di prospettiva.
Nella lotta contro la disuguaglianza e lo sfruttamento Sunkara è comunque dalla parte giusta della barricata. E non è una voce da ignorare. Però forse ha voluto ambire troppo, in termini intellettuali, o semplicemente chi scrive queste parole aveva aspettative errate.
Immagine da jacobinmag.com