Covid-19 o meno, le primarie democratiche USA sembrano ormai di fatto finite con il rapido prevalere di Biden su Sanders.[1] Eppure l’ex vicepresidente solo poche settimane prima sembrava inabissarsi, abbandonato perfino dai bianchi moderati che gli preferivano volti nuovi come Buttigieg o Klobuchar. La sua rimonta è stata ritenuta persino superiore a quella di Bill Clinton nel 1992.[2]
In effetti, era stato Sanders a vincere le prime tre primarie (Iowa, New Hampshire, Nevada) e dopo appunto il Clinton del ’92 non era mai accaduto che il vincitore finale delle primarie non avesse vinto anche Iowa o New Hampshire: a parte le scontate riconferme dei Presidenti in carica Clinton (1996) e Obama (2012), Gore nel 2000 e Kerry nel 2004 vinsero in entrambi gli stati, mentre Obama nel 2008 e la Clinton nel 2016 vinsero in Iowa.
La domanda che i sostenitori di Sanders potrebbero porsi oggi sarebbe dunque: cosa è stato sbagliato?
La causa prima del rapido capovolgimento di sorte per Sanders è stata, naturalmente, il coalizzarsi della leadership del partito e degli (ex) sfidanti di centrosinistra attorno alla candidatura di Biden. Questo fenomeno, però, è necessariamente solo una parte della risposta se non se ne indagano, a sua volta, le cause.
Sanders ha amato ripetere che il ritiro di Buttigieg e Klobuchar e il loro sostegno a Biden siano stati esercitati dopo una forte pressione da parte del cosiddetto “establishment”[3] per reazione contro la sua candidatura. Gli ha fatto interessata eco Trump, che ha parlato addirittura di primarie truccate per bloccare Sanders – che il Presidente avrebbe preferito come sfidante, sia per scompaginare il campo dei democratici sia per poterli dipingere come estremisti (per un uomo così sovente paragonato dai suoi sostenitori a Richard Nixon, Sanders è evidentemente l’equivalente di McGovern che guidò i democratici alla disfatta nel 1972).
I problemi, qui, però sono due.
Anzitutto, nella prima fase delle primarie possiamo distinguere tra candidati ascrivibili alla sinistra (Sanders, Warren) e candidati di centrosinistra (Buttigieg, Biden, Klobuchar). Bloomberg non era presente in quanto aveva puntato tutto sulla tornata del Super Martedì. Sommando i voti popolari ottenuti, contiamo in Iowa un 46,8% per l’area sinistra e 51% per il centrosinistra. In New Hampshire osserviamo invece, rispettivamente, 34,8% e 52,3%.
Già qui osserviamo che la maggioranza degli elettori democratici non è di sinistra. Questa non è una sorpresa, ma è bene ricordarlo per capire che la preminenza di Sanders era un’illusione ottica temporanea dovuta alla minor frammentazione del campo di sinistra rispetto a quello di centro e centrosinistra. Il ritiro degli altri sfidanti ha soltanto ristabilito i rapporti di forza originari.[4]
In secondo luogo, mentre Buttigieg e Klobuchar si sono ritirati prima del Super Martedì per appoggiare Biden, la Warren è uscita di scena solo dopo il Super Martedì e non ha appoggiato Sanders. Non solo! Perfino la deputata Tulsi Gabbard, l’ultima rimasta in corsa, il 19 marzo ha annunciato la fine della sua campagna e l’appoggio a Biden. Il suo consenso è risibile, ma l’importanza sta nel fatto che la Gabbard nel 2016 aveva sostenuto proprio Sanders, per giunta dimettendosi dalla vicepresidenza del partito in polemica con uno schieramento pro-Clinton che a suo giudizio violava l’imparzialità della gestione delle primarie. Gli elettori della Gabbard, poi, sono in larga parte pacifisti radicali oppure protezionisti e isolazionisti disillusi da Trump, due casistiche che si ritrovano entrambe più nell’area Sanders che in quella Biden.
Se proprio non vogliamo metterla nei termini brutali di Hillary Clinton («A nessuno piace Bernie, nessuno vuole lavorare con lui, non è riuscito a ottenere niente»[5]), bisogna però riconoscere che l’idiosincrasia di Sanders verso il Partito Democratico gli ha impedito finora di costruire rapporti non solo con il vituperato “establishment” (qualunque cosa sia), ma anche con quei settori (Warren) che avrebbero potuto essere suoi alleati. In breve, Sanders non riesce a padroneggiare la capacità di alleanze su terreni che non corrispondano al 100% al suo – come mostrato anche dalle sprezzanti parole di de Blasio che di fatto ordinava alla Warren di schierarsi con Sanders[6] e dal mini-scontro tra il senatore e la Ocasio-Cortez sulle riforme della sanità.[7]
Del resto, nel 1989 Sanders disse che il Partito Democratico «non può essere cambiato» e ancora nel 2011 suggerì che cambiasse nome in Partito Repubblicano Light. Affermazioni che sono del tutto in linea con la sua posizione di indipendente, ma che in realtà nascondono un ulteriore motivo di contrasto. L’avversione verso i democratici potrebbe derivargli dal fatto che, sebbene costretto, sia pure da indipendente, a candidarsi alle loro primarie poiché essi occupano oggi l’ala sinistra dello spettro politico, Sanders è erede di un tipo di cultura avversa a quella tipicamente di partito (e di sindacato) che informa storicamente i democratici, ossia la cultura dei repubblicani progressisti.[8]
L’establishment, come si è visto, appare ben sostenuto dagli elettori. Questo può essere dovuto a una pluralità di cause: controllo dei voti da parte dei capi politici locali, realismo politico ai limiti del cinismo (soprattutto dalle comunità più oppresse e dove i democratici governano meno, cioè gli afroamericani nel Sud), ma un motivo più di altro ha dominato le scelte dei democratici e, in ultima analisi, condannato Sanders.
Sanders ha perso la battaglia sulla electability, l’eleggibilità, la capacità di farsi eleggere. Lui stesso lo ha riconosciuto.[9]
Dopo le vittorie di Obama nel 2008 e nel 2012 c’era stato fra i democratici un eccesso di fiducia, la convinzione cioè che il razzismo (e i suoi colleghi: sessismo, omofobia, xenofobia…) fosse ormai vinto in una quota maggioritaria della popolazione americana.
In realtà, questa visione nascondeva un dato storicamente anomalo e di non poco rilievo: nel 2012 Obama fu il primo (e ad oggi unico) Presidente ad essere rieletto perdendo, rispetto alla prima elezione, sia voti popolari sia voti elettorali. Nodi che sono venuti al pettine nel 2016: l’antipatia che Hillary Clinton ha riscontrato in alcuni settori chiave dell’elettorato democratico è stata di carattere eccezionale. Dopo di allora è stata convinzione diffusa tra i democratici che non si potesse affidare il ruolo di portabandiera dell’opposizione Trump a una donna, o a una persona di colore o non eterosessuale.[10] Proprio su questo tema Sanders non ha mancato di scavare un solco con la sua vicina più prossima, la senatrice Warren, che un po’ malignamente ricordò alla stampa come il suo collega del Vermont le avesse espresso privatamente la convinzione che una donna non potesse vincere le presidenziali del 2020. Ne scaturì una lite in diretta televisiva, forse anche provocata dalla Warren per motivi di visibilità.[11]
Ma non è solo una questione di uomo bianco etero e moderato. Gli exit poll hanno mostrato una apparente contraddizione tra gli elettori democratici: la maggioranza di loro dichiara di volere un Presidente che continui le politiche di Barack Obama, senza spostarsi né più a destra né più a sinistra. Al contempo, però, la maggioranza dei democratici dichiara di essere favorevole alla sanità pubblica e all’università gratuita, ossia a politiche ben più a sinistra di quelle di Obama.[12] La soluzione di questa contraddizione è chiara: l’orientamento del(la maggioranza del)l’elettorato democratico è quello di un progresso incrementale, e, soprattutto, che non rinneghi le conquiste del partito. Se, come Sanders, si sono passati anni a definire Obama “un centrista”, “non un progressista”, “come ha detto lui, negli anni Ottanta sarebbe stato considerato un repubblicano moderato”, non ci si può aspettare che gli elettori di un partito in cui la sua popolarità è al 97% ti seguano.[13] Tantomeno gli afroamericani, che rimproverano a Sanders di leggere la questione razziale sotto lenti esclusivamente economiche senza tenere in conto anche la storia culturale del razzismo.
Tra l’altro, la descrizione di Obama come “repubblicano moderato degli anni ’80” fu data da lui stesso nel 2012, in un evidente tentativo di catturare il consenso proprio di quel tipo di elettore: repubblicano, moderato, e a cui le parole “anni ’80” richiamano i tempi d’oro di Ronald Reagan. A questi elettori Obama già si rivolse nel 2008, ma nel 2012, con il continuato spostamento a destra del partito, si manifestarono sempre di più con lo slogan «The GOP left me», “è il Partito repubblicano che ha lasciato me, non io lui”. Nel 2004 Michael Moore, un’icona della sinistra militante, decise di sostenere alle primarie il generale Wesley Clark. Nella sua lettera di endorsement scrisse: «Non mi importa se Clark o chiunque altro ha votato per Reagan oltre vent’anni fa [oggi quaranta…]. La vasta maggioranza degli americani ha votato Reagan, e io voglio che ciascuno di loro sia il benvenuto nel nostro campo. Il messaggio a questi elettori, e molti di loro vengono dalla classe operaia, non dovrebbe essere “Hai votato per Reagan? Bene, vai al diavolo!”».[14]
In conclusione, quali strade ha aperte l’area Sanders per il 2024 o 2028?
Bernie resterà senza dubbio un ispiratore potente di quel movimento, ma per una candidatura che possa vincere l’identikit dovrebbe comprendere, almeno:
Capacità di trattare con altre figure all’interno del partito;
Identificazione con la storia dei democratici;
Consapevolezza che non esiste, tra i democratici, la domanda di una sinistra radicale e che, quindi, o si è in grado di produrre questa domanda oppure si deve calibrare la propria offerta;
Consapevolezza del peso che misoginia, omofobia, xenofobia e razzismo esercitano ancora su parte non irrilevante del popolo americano (ivi compreso il popolo democratico).
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https://www.nytimes.com/2020/03/18/us/politics/bernie-sanders-campaign.html ↑
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https://edition.cnn.com/2020/03/14/politics/2020-election-democratic-primary/index.html ↑
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https://thehill.com/homenews/sunday-talk-shows/486503-sanders-klobuchar-and-buttigieg-ended-campaigns-under-great-deal ↑
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https://fivethirtyeight.com/features/will-there-be-a-moderate-lane-in-the-2020-democratic-primary/ ↑
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https://www.nytimes.com/2020/01/21/us/politics/hillary-clinton-bernie-sanders.html ↑
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https://www.politico.com/states/new-york/albany/story/2020/03/10/bernies-latest-bro-de-blasio-goes-on-the-offensive-urges-warren-to-endorse-sanders-1266359 ↑
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https://www.politico.com/news/2020/02/18/bernie-sanders-ocasio-cortez-medicare-for-all-115913 ↑
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Ho espresso questa lettura in https://www.ilbecco.it/bernie-sanders-in-testa/ ↑
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https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/mar/17/democratic-race-joe-biden-2020-bernie-sanders ↑
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https://fivethirtyeight.com/features/how-joe-biden-could-win-the-2020-democratic-nomination/ ↑
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https://www.nytimes.com/2020/01/15/us/politics/sanders-warren-democratic-debate.html ↑
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https://fivethirtyeight.com/features/does-sanders-need-a-new-strategy/ ↑
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https://edition.cnn.com/2019/08/03/politics/democrats-on-obama-legacy/index.html ↑
Immagine di Phil Roeder (dettaglio) da flickr.com
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.