Nel giro di pochi giorni la Francia è ripiombata in un duro confronto con il mondo musulmano: non soltanto con le sue frange terroristiche, che sono costate la vita al professor Paty e a tre fedeli cattolici a Nizza, ma anche con Stati esteri, alcuni dei quali alleati più o meno formalmente. Manifestazioni antifrancesi hanno coinvolto diverse ambasciate. Il tema del contendere sembra essere la concezione di laicità e il confine tra libertà di espressione e intoccabilità del sacro, e quindi la possibile convivenza tra i valori francesi e quelli islamici. L’uso del termine “separatismo” da parte di Macron ha fornito a un Erdoğan in difficoltà il pretesto per recuperare l’armamentario retorico dello scontro di religione, paragonando la situazione in Europa dei musulmani a quella degli ebrei negli anni Trenta.
Leonardo Croatto
Ultimamente mi capita sempre più spesso di far riferimento alle solite fonti, di richiamare gli stessi autori, per descrivere i fatti che accadono. Furio Jesi è un riferimento secondo me assolutamente imprescindibile quando si tratta di capire le forze che spingono gli uomini ad agire nella storia. In questo senso, l’azione politica di Erdogan è perfettamente descritta da uno splendido libro di Jesi: Cultura di destra.
Per Jesi, riassumendo il suo complesso pensiero molto brutalmente, il mito non è niente di storicamente remoto ed immanente, ogni mito è il prodotto del lavoro umano, è il manufatto realizzato dalla modellazione di idee per realizzare un progetto, è uno strumento prodotto per un fine. Quando ha uno scopo politico, il mito plasma artificialmente un’identità nazionale e ne determina le azioni nel presente e verso il futuro.
In questo senso, la deriva islamista di Erdogan è “mito tecnicizzato”, un racconto costruito strumentalmente per dar forza al suo progetto di ricostruzione di una potenza mediorientale competitiva con le altre grandi nazioni di quella zona geografica ma con una peculiare proiezione verso l’occidente, ed in particolare verso l’Europa. Nell’uso di Erdogan l’Islam religioso è semplicemente un mezzo per un fine: risignificare il ruolo politico della Turchia nel contesto geopolitico e saldare il consenso di una parte della popolazione di quel paese nei suoi confronti.
La Francia si offre in questo contesto come nemico perfetto: è avversario della Turchia secolare per via delle riciproche ambizioni territoriali e la sua laicità ne consente la sussunzione nell’autonarrazione di Erdogan campione dell’Islam.
Purtroppo la forza del mito tecnicizzato si misura principalmente con la sua capacità di spingere soggetti fragili a compiere gesti assolutamente irrazionali: uccidere e farsi uccidere per un mito, per quanto la cosa sembri insensata, è una costante della storia.
Dmitrij Palagi
Le definizioni di tolleranza e libertà sono codificate in alcuni paesi europei, ma solo una visione parziale può pensarle universali e oggettive, da far valere in tutto il mondo e a prescindere dal quando.Ci sono limiti oltre i quali ogni società considera qualcosa come indicibile, anche in quelle realtà che rivendicano di essere fondate sulla libertà.Prendere in giro una religione vuol dire, per alcune persone, ridere di quella che percepiscono come una loro identità.Nel caso del presunto scontro di civiltà il contesto del 2020 si collega alle relazioni internazionali e a una nuova stagione iniziata tragicamente nel 2001. Con la Turchia di Edogan che ha giocato sempre di più il ruolo di grande potenza mondiale, ma fragile: membro della Nato e guardiana di una filiera della schiavitù umana che fa della migrazione l’occasione per esercitare forme di potere e di pressione sull’Unione Europea.Quanta tolleranza per la vita umana ha l’Unione Europea, guardando a quello che avviene sull’altro lato del Mediterraneo e al confine Greco? Tanta. Una tolleranza disumana. Senza aver mai fatto i conti con il suo imperialismo e con il continuo depauperamento dei paesi che racconta di aiutare… Per non parlare di quelle migliaia di persone che vivono su terra europea considerandosi (e trattate come) straniere.Chi ha finanziato e tollerato il fondamentalismo sunnita?«La diffusa opinione che le vignette di Charlie Hebdo rappresenterebbero un brodo di coltura per il terrorismo somiglia a quella di chi pensa che la minigonna faciliti lo stupro» ha scritto Luca Bottura su la Repubblica (https://www.repubblica.it/…/nizza_satira_charlie_hebdo…/). Però non basta arrestare e condannare chi stupra, occorre rimuovere alla radice le cause di una cultura che accompagna anche l’occidente da secoli, o almeno è quello che spesso viene detto nei nostri paesi.Le persone assassinate sono martiri e vittime cadute in difesa della nostra libertà, così si decide di ricordarle. Si chiede a noi occidentali di non arretrare, di non metterci in discussione, perché ne andrebbe della nostra identità, dando per implicito che quella degli altri è evidentemente arretrata in termini di civiltà, perché viola uno dei principi principali su cui si fonda la nostra immagine di Europa moderna e contemporanea (non uccidere).Charlie Hebdo non viola nessuna legge e non si può limitare una libertà con delle valutazioni di opportunità. Bene. Ma non fingiamo che la tolleranza e la libertà siano la stella di riferimento che ha guidato l’evoluzione occidentale, come campione mondiale di democrazia.Perché i nostri paesi si sono presi la libertà di far morire le persone nel Mediterraneo e di vederle morire di disperazione. Si prendono la libertà di considerare Erdogan un alleato strategico. Si sono presi la libertà di tutti i crimini di cui si è macchiata la NATO. Si prendono la libertà di continuare ad applaudire la causa curda, mentre continuano a considerare Öcalan un terrorista, usando la stessa etichetta degli attuali attentatori su terra francese.Ridefinire queste ultime libertà potrebbe permettere di spostare il dibattito rispetto a quella della libertà di satira, che sul piano filosofico rischia di ripetersi all’infinito, mentre la politica si limita a coprire economia e relazioni internazionali con i confronti intellettuali sulla stampa…
Jacopo Vannucchi
Gli obiettivi di chi tiene le redini del terrorismo islamista non sono certo la difesa del Profeta. Tuttavia si può supporre che i terroristi che scelgono di uccidere e talvolta di morire ne siano almeno in parte convinti, al netto delle condizioni che favoriscono la radicalizzazione (problemi di salute mentale ed emarginazione sociale). Sicuramente la tutela di Maometto è un obiettivo condiviso dai musulmani che pur non avendo alcuna contiguità con o simpatia per il terrorismo si sono schierati contro Macron.
Solitamente in Occidente ci raccontiamo, a proposito di Charlie Hebdo, che “non è in discussione se ci piaccia o meno, ma il suo diritto ad esprimersi liberamente”. È una considerazione pilatesca che può appagare il magro appetito etico di molti liberali, liberisti e libertari (non necessariamente le tre cose insieme), ma che nasconde sotto il tappeto una polvere più profonda: Charlie Hebdo rappresenta i valori delle società occidentali oppure no? La formula voltairiana “non condivido ciò che dici, ma darei la vita perché tu possa farlo” vale, infatti, all’interno di un quadro valoriale comune. Ad esempio sarebbe assai bizzarro usare la frase di Voltaire per il diritto all’espressione di forze di estrema destra, il cui intento è proprio distruggere il quadro di libertà comuni.Tanto più grande è lo spettro delle posizioni che permettiamo, tanto più sottile è il recinto che ci tiene uniti: come un eccesso nel recinto conduce all’oppressione, così un eccessivo difetto conduce all’indebolimento dei legami sociali e alla disgregazione della società.
Credo che l’Europa non possa permettersi di presentarsi al mondo, e anzitutto a se stessa, come l’alfiera della fine di qualsiasi valore. Alcune delle vignette di Charlie Hebdo ricadono nel calderone della pornografia, che è certamente permessa ma con limiti molto precisi; altre sono graficamente innocue, ma moralmente ultra-nichiliste: si ricorda “l’ira delle schiave sessuali di Boko Haram”, raffigurate queste come donne in gravidanza, mascoline e poco avvenenti, che coperte dal chador gridavano inviperite di non toccare i loro assegni familiari.La sterilizzazione della sofferenza umana tramite lo scherno non solo non fa ridere, ma non è neppure un principio di cui la società possa beneficiare. Se il terreno di scontro fossero solo le caricature del Profeta, allora sì, bisogna convenire che non si può cedere al ricatto terroristico. Il problema però è più ampio e riguarda l’identità europea, i valori dell’Europa, ciò che vediamo quando ci guardiamo nello specchio.
Alessandro Zabban
Francia e Turchia sono entrambi membri della NATO ma hanno posizioni e interessi geopolitici contrapposti, in Libia ma anche nel Mediterraneo Orientale e più recentemente nel Caucaso. Le parole durissime e del tutto spropositate di Erdogan sul trattamento della minoranza di fede musulmana in Francia si leggono in questo contesto di rivalità. Il Premier turco è stato capace di aizzare le piazze di mezzo mondo musulmano contro la Francia e l’invito al boicottaggio dei prodotti francesi sono un forte rischio per gli affari che Parigi ha in Medio Oriente e nel Nord Africa. Gli ultimi messaggi concilianti di Macron verso i musulmani di Francia, con dei tweet scritti anche in arabo, mostrano bene il timore di Parigi di proseguire su una strada rischiosa, quella della contrapposizione culturale netta, che una parte della Francia vorrebbe intraprendere. Per uno come Macron che ci aveva abituato a una certa abilità in politica internazionale, l’aver in un primo momento dato la sensazione di difendere quella satira becera e stupidamente offensiva nei confronti di Maometto e dei dogmi dell’Islam, è stato un brutto scivolone diplomatico. L’Europa sta affrontando una crisi che è anche identitaria ma può ritrovare se stessa solo in una vera integrazione e nella promozione di una società interculturale ed equa. Certi messaggi mandati in nome della libertà e della laicità, mostrano solo ottusità dottrinaria e rischiano di portare a una escalation senza fine, in un periodo in cui si aprono profonde fratture sociali e ampi spazi di conflittualità.
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.