Non è una novità scrivere che il momento storico che stiamo vivendo rischia di vedere cancellata la conquista di diritti civili, di enorme portata sociale, che negli scorsi decenni ci hanno permesso di fare passi avanti a livello di autodeterminazione e di eguaglianza di genere.
Proprio in questi giorni abbiamo assistito alle imbarazzanti (non) prese di posizione sul Congresso Mondiale delle Famiglie che si terrà a Verona: che il governo (o almeno una parte di questo) avesse un’idea di società, di diritti civili e di autodeterminazione femminile che fa letteralmente a cazzotti con l’evoluzione dello spirito del tempo è palese.
Ma di certo non non ci aspetterebbe che manovre in questa direzione, in aperta negazione della legge 194 ad esempio, venissero approvate in una regione come la Toscana.
Sono anni oramai che associazioni di utenti, di lavoratori e professionisti denunciano un processo di privatizzazione che va a pregiudicare profondamente il funzionamento del sistema sanitario toscano, rendendo il diritto alla salute e di accesso alle cure sempre meno universale. Ma ciò il provvedimento approvato dalla Regione poche settimane fa, nel corso del mese di febbraio, lascia sinceramente sbigottiti.
Sono stati infatti stanziati un totale di 195mila euro a favore del Forum toscano delle associazioni per il diritto delle famiglie “per la progettazione e la realizzazione di azioni e iniziative tra la rete consultoriale del servizio pubblico e la rete di servizio e sostegno multidisciplinare” di questo. Ciò significa che una rete di associazioni che difendono e promuovono i valori della famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio (niente di inventato, lo dice lo statuto) avranno accesso alle strutture sanitarie pubbliche, potendo organizzare attività ed entrare in contatto con le pazienti.
È infatti evidente come l’ingresso di questo soggetto vada in netto contrasto con la libertà di scelta, di autodeterminazione, prevista dalla legge 194. Il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza prevede non solo che ogni donna possa essere libera di prendere le proprie decisioni ma anche che abbia, nel farlo, tutto il supporto, medico e psicologico, di cui potrebbe avere bisogno.
Questioni simili si pongono per tutte le altre attività, ad esempio di prevenzione e di informazione, che i consultori pubblici svolgono (o dovrebbero svolgere) oggi. Dalla diffusione del’uso dei metodi anticoncezionali all’informazione sulle malattie sessualmente trasmissibili, passando alla consulenza psicologica relativa al rapporto con il proprio corpo e con il sesso.
Associazioni che hanno come riferimento sociale la famiglia basata sul matrimonio, ritenuta portatrice di elementi di “naturalezza” che invece mancherebbero a tutti gli altri rapporti sessuali o affettivi tra individui, di certo non possono fornire un servizio di consulenza, formazione e indirizzo che rispetti la pluralità, i dubbi e soprattutto le scelte delle donne che, con i loro dubbi e le loro esigenze, si affacciano alla porta di un consultorio.
Infine, permettetemi una nota tecnica (sempre la solita, in verità): com’è che la Regione Toscana ha ritenuto di dover appaltare questo servizio ad un soggetto privato? Davvero questi soldi (tante migliaia di euro) non potevano essere impiegati per implementare la rete dei territori delle Aziende Sanitarie Toscana centro, Nord-Ovest e Sud-Est?
Come dite? Sì, in effetti se adesso si chiamano “aziende” sanitarie un motivo ci deve essere.
Immagine tratta liberamente da www.flickr.com
“E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa”
Cit.