Le striscie e i cartoons pubblicati sui quotidiani sono la forma più popolare – in tutti i sensi – dell’arte fumettistica. Chi non conosce Calvin e Hobbes, i Peanuts, B.C. e il mago Wiz? O, rimanendo in ambito anglofono ma attraversando l’Atlantico, chi non saprebbe riconoscere Andy Capp (fumetto in Italia inspiegabilmente noto anche come “Carlo e Alice”), col suo inseparabile cappello di lana, magari con una pinta di birra in mano e in tenuta da stadio? Personaggi dalla storia gigantesca, spesso specchio della cultura di epoche intere, a cui anche chi solitamente snobba il fumetto non può non essere almeno un pochino affezionato. Eppure parte di un genere a volte poco considerato dalla critica, tristemente in via d’estinzione come i quotidiani cartacei che per tanto tempo lo hanno ospitato, o peggio ancora svuotato di senso e iterato stancamente. Non si può, quindi, non provare un sentimento agrodolce sfogliando le avventure di una vecchissima conoscenza, ritrovate o lodevolmente digitalizzate: il già citato Andy Capp. Ma da questa nostalgia e questa tristezza forse possono nascere una volta in più considerazioni più ampie.
L’ideatore e per tanto tempo unico autore di Andy Capp, Reg Smythe (nato Reginald Smyth) nasce nel 1917 in una città industriale del Nord dell’Inghilterra, Hartlepool, in una famiglia di modeste condizioni. Per sfuggire alla povertà estrema della sua gioventù Reginald nel 1936 si arruola nell’esercito britannico, che lo spedisce in Egitto. Durante questo primo periodo nell’esercito il padre di Reg, Richard, un ex lavoratore di cantiere navale cronicamente disoccupato, abbandona la moglie Florence e la famiglia, per non farsi mai più rivedere. Reginald decide di restare nell’esercito, e durante la Seconda guerra mondiale serve in Nord Africa, dove inizia a produrre vignette umoristiche. Finita la guerra trova un lavoro malpagato in un ufficio postale, ma è proprio il disegno ad occupare sempre più i suoi interessi e la sua vita professionale: i poster e le vignette che disegna nel tempo libero gli fruttano cifre modeste ma per lui inusitate (due delle sue prime vignette, pubblicate tramite un agente, gli fruttarono l’equivalente di una settimana di salario dell’ufficio postale).
Reginald sceglie di firmarsi solo Smythe e si sottopone ad una dura disciplina di lavoro, concedendosi un massimo di mezz’ora per vignetta, cronometrata con una sveglia, che gli permette di produrre una quantità notevole di cartoons. Inizia inoltre a disegnare le sedute dei consigli locali per alcuni giornali di provincia, e a contribuire da freelance alla sezione umoristica del Daily Mirror, tabloid dalla storia complessa e controversa, dal secondo dopoguerra in poi schierato generalmente su posizioni pro-Labour party. E proprio il direttore artistico della testata chiederà a Smythe prima di diventare un contributor fisso, e poi, nel 1957, di creare un personaggio umoristico per l’edizione di Manchester: è la nascita di Andy Capp.
Il personaggio di Smythe è guardacaso un cittadino di Hartlepool, modellato sullo stereotipo dell’inglese settentrionale working class, cronicamente disoccupato, al verde e dipendente dal welfare, amante della birra e del pallone, sposato con una donna – Flo, che già dal nome fa intuire il carattere in parte autobiografico di tutto Andy Capp – che sopporta a malapena il suo stile di vita sfaccendato e piantagrane.
L’ispirazione viene a Smythe da un bizzarro uomo incontrato ad una partita di calcio nella città natale del fumettista. Mentre le prime gocce di pioggia iniziavano a cadere sui tifosi l’uomo si sarebbe – nel racconto che ne fa Smythe – tolto in fretta e furia il cappello per infilarlo nella tasca interna del cappotto. Al giovane Reginald, che gli domandava come mai si fosse tolto il cappello proprio quando gli sarebbe tornato più utile, l’uomo avrebbe risposto bruscamente che non aveva nessuna intenzione di passare tutta la serata a casa, dopo la partita, con in testa un cappello fradicio.
A differenza del suo modello reale, l’Andy del fumetto non si toglie mai e poi mai il suo proverbiale “cap”, una strana abitudine che come il gioco di parole del nome e l’aspetto del personaggio – a cui non si vedono mai gli occhi – suggeriscono è metafora della sua visione limitata e autosabotatoria della vita.
Negli anni Andy cambia leggermente aspetto, dalla prima versione più longilinea e allampanata alla sua incarnazione contemporanea. Oltre a questo fondamentale aspetto, molte cose cambiano nel personaggio, per renderlo più adatto al mutare delle sensibilità (compito alquanto arduo, come si può immaginare) o per soddisfare le particolari nevrosi dell’autore; come ad esempio quando la prima onnipresente sigaretta scompare dalle labbra di Andy, cambiamento che scatena nei fans la solita polemica sulla presunta tirannia del virtue signalling e che invece è tutto da addebitare al fatto che, avendo con difficoltà smesso di fumare, Smythe non riusciva più a disegnare serenamente un personaggio fumatore.
Reg Smythe firma Andy Capp per il Daily Mirror fino alla sua scomparsa, avvenuta il 13 giugno del 1998, e lascia più di un anno di fumetti inediti che vengono pubblicati postumi. Durante la sua vita, nonostante l’insistenza dei suoi datori di lavoro, Smythe non se l’è mai sentita di prendere un vero e proprio apprendista, ma dopo la sua morte la fiaccola di Andy Capp è comunque passata ai fumettisti Roger Mahoney e Roger Kettle[1].
Andy Capp, già dal gioco di parole che gli dà il nome – nonostante sia, come già detto, riferito all’attitudine da “perdente” e agli evidenti limiti della mentalità di Andy – è un personaggio assai poco politicamente corretto, lo stesso Smyhte lo definirà affettuosamente un «orrido ometto» («ma è stato ottimo con me», in riferimento al successo inaspettato del personaggio). Oltre a cadere regolarmente nel canale in preda ai fumi dell’alcol, a picchiarsi con i tifosi di altre squadre o con i compagni di calcetto, a scontrarsi con la polizia, con i pignoratori che regolarmente gli sottraggono i mobili o con il locale vicar (ecclesiastico anglicano), Andy è costantemente sull’orlo della bancarotta e incapace di trovare un lavoro o restarvi impiegato, tanto che in una vignetta eccezionale del ’69 i lavoratori del locale ufficio del welfare nazionale lo invitano alla festa degli impiegati come assistito più “affezionato”[2]. Non solo un classico inetto letterario quindi, o un tutto sommato nobile “vinto” di verghiana memoria, ma una sorta di antieroe proletario di fronte al quale non si sa mai se ridere o piangere.
Come già accennato, negli anni alcuni dei più disturbanti elementi narrativi o di caratterizzazione dei personaggi del cartoon vengono eliminati dall’autore: per via della preoccupazione di rappresentare troppo leggermente un fatto grave come la violenza domestica spariscono le risse tra Andy e Flo, il carattere misogino di Andy viene ammorbidito e spariscono le dure rappresaglie di Flo[3], che in più di un’occasione malmena o fa malmenare un Andy variamente sbronzo; restano costanti invece le scazzottate tra tifosi, la passione di Andy per l’alcol e di Flo per il gioco d’azzardo, oltre ovviamente alla disoccupazione e allo sfondo di povertà dei due.
Per essere giusti va comunque riconosciuto che, nonostante molte vignette pubblicate più di mezzo secolo fa risultino a noi contemporanei decisamente fuori luogo, la maggior parte dei fumetti di Andy Capp, più che una glorificazione o uno sfruttamento della violenza o di altri temi “seri” a fini umoristici, sono palesemente una satira caustica proprio sulla diffusione della violenza stessa, altrimenti coperta da un velo di silenzio e ipocrisia: un esempio tra tutti, una vignetta del 1964 in cui un poliziotto si precipita per fermare un uomo che ha appena colpito con un pugno una donna, mentre un Andy di passaggio, ovviamente tra i piedi, gli suggerisce sardonicamente che se interviene rovinerà la luna di miele della coppia[4].
Last but not least, in Andy Capp i protagonisti sono stereotipicamente proletari, tanto nei loro pregi quanto nei loro difetti; quasi fantozziani, per tentare un parallelismo ardito. Ma, nonostante tutto, non diventano assolutamente mai macchiette classiste: non poteva essere altrimenti, considerando la biografia di Smythe.
Un bel contrasto con la quantità di prodotti culturali – dalle scritture giornalistiche alle serie TV[5] – che fanno dello snobismo, del disprezzo verso i meno abbienti, della retorica del decoro e del fomentare la paura di classe verso i “poveri pericolosi” una cifra stilistica, e che hanno colonizzato l’immaginario occidentale guardacaso proprio mentre qualcuno preconizzava la vittoria definitiva del capitalismo free market di stampo angloamericano su tutte le alternative possibili e – appunto – immaginabili.
Si è detto che Andy Capp è una sorta di antieroe. L’antieroe è un tipo di personaggio che vanta un posto importante nella storia del fumetto, da Gotham City in giù, e un successo spettacolarmente rinnovato tra fine del secolo scorso e l’inizio dell’attuale da autori come Alan Moore e Frank Miller, e successivamente da una serie infinita di cinecomics di successo. Difficile da definire in assoluto, è di per sé facilmente riconoscibile, soprattutto a contrasto con il personaggio dell’eroe: a differenza di quest’ultimo, pur non perseguendo attivamente il male come l’antagonista, l’antieroe manca di abnegazione, coraggio, afflato etico o di intelligenza emotiva, oppure, se pur possiede alcuni o tutti questi tratti positivi, sono pervertiti a fini egoistici, portati avanti con metodi discutibili o esagerati fino all’inaccettabile.
Il già citato Batman è un esempio classico, come pure il Punitore Marvel. O ancora il Rorschach di Alan Moore, una decostruzione geniale del tropos antieroistico stesso, Batman “come sarebbe veramente” – un vigilante psicopatico schiavo di una moralità grottescamente manichea – e appunto un test di Rorschach per il lettore: a chi vi vede un personaggio postivo è suggerito tra le righe di riflettere su se stesso e di farsi un paio di domande. Cambiando medium e tono, ma avvicinandoci geograficamente, il Blackadder televisivo di Rowan Atkinson merita almeno una menzione.
Andy Capp ovviamente rimane un personaggio con meno sfaccettature, per rimanere nel recinto del genere cartoon umoristico da quotidiano, ma il suo antieroismo non è meno sottile. Andy, con tutti i suoi difetti, con la sua violenza e con il suo provincialismo, ma anche con la sua testardaggine e passione, punta proprio grazie al suo essere una figura “estrema” al proprio contrario, all’ideale del working class hero che Andy Capp non è e che è assente nel cartoon, ma che è reso presente proprio da questa assenza, al di là della quarta parete.
Ridendo di Andy, un personaggio così peggiore sotto tutti i punti di vista da sé, o identificandovi delle somiglianze in questa o quella caratteristica o passione condivisa, il lettore è invitato non solo a sentirsi migliore, ma a essere migliore, ad avvicinarsi ancora di più all’ideale working class che già – in parte – gli appartiene, a partire da una comune umanità subalterna profondamente difettosa ma altrettanto profondamente imbevuta di – appunto – umanità.
Oltre ad un fumetto spassoso per il lettore, che vi trova un lad vittima di se stesso quanto della società ma con – in fondo in fondo – un cuore d’oro, attorniato da personaggi variamente infelici e inetti, e una satira graffiante, Andy Capp nasconde secondo me un messaggio paradossalmente molto più progressista di tanta letteratura ben più “impegnata”. L’antieroe col cappello è attore di una anti-utopia letteraria, nel senso che il suo mondo non è straniante, ma assolutamente familiare, fino alla collocazione in una everytown del nord dell’Inghilterra e fino nell’ultimo difetto messo in luce dall’enfasi umoristica. Andy Capp, proprio mostrando il rock bottom nella sua compiaciuta neghittosità, mostra in fondo un mondo familiare e la necessità storica del suo superamento verso qualcosa di diverso e migliore.
Certo, al giorno d’oggi per leggere correttamente un fumetto del genere bisogna superare una certa distanza culturale, di cui il nostro shock di fronte a certe situazioni o il nostro senso di rifiuto di fronte a certi sgarbi alla correttezza politica danno efficacemente una misura. Ma proprio misurando questa distanza possiamo forse comprendere un messaggio che, nell’epoca dell’identitarismo rampante e della reazione alla ricerca della presunta età dell’oro passata è assolutamente prezioso, vale a dire la necessità umana del superamento, del divenire, di una storia, di un mondo nuovo; di fronte alla stasi, alla morte, alla paralisi, al lutto per la fine di un mondo: ciò che l’antropologo italiano Ernesto De Martino, nei suoi ultimi lavori, chiamava ethos del trascendimento.
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Per la biografia e la storia della creazione di Andy Capp Cfr. l’ottima sezione dedicata nel sito del preziosissimo British Cartoon Archive dell’Università del Kent, https://www.cartoons.ac.uk/cartoonist-biographies/c-d/RegSmythe_AndyCapp.html ↑
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https://archive.cartoons.ac.uk/Record.aspx?src=CalmView.Catalog&id=AC3692 ↑
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Es. https://archive.cartoons.ac.uk/Record.aspx?src=CalmView.Catalog&id=AC3723&pos=115 ↑
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https://archive.cartoons.ac.uk/Record.aspx?src=CalmView.Catalog&id=AC1887 ↑
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Tra il 2014 e il 2015 una rete della TV pubblica britannica, Channel 4, ha mandato in onda la docuserie Benefits Street, incentrata sulla vita di alcuni disoccupati cronici di una zona povera di Birmingham, rappresentati come incapaci di vivere senza dipendere dallo stato e costantemente sull’orlo della criminalità comune. Accusata di grottesco classismo da sinistra, l’allora ministro conservatore Iain Duncan Smith l’ha invece citata come esempio della necessità di una riforma restrittiva del welfare britannico. ↑
Immagine Reg Smythe/Daily Mirror/Creators syndicate
Nato a Bozen/Bolzano, vivo fuori Provincia Autonoma da un decennio, ultimamente a Torino. Laureato in Storia all’Università di Pisa, attualmente studio Antropologia Culturale ed Etnologia all’Università degli Studi di Torino. Mi interesso di epistemologia delle scienze sociali, filosofia politica e del diritto, antropologia culturale e storia contemporanea. Nel tempo libero coltivo la mia passione per l’animazione, i fumetti ed il vino.