Norvegia
In Norvegia, dopo le elezioni di settembre 2013, si era formato un governo di minoranza guidato da Erna Solberg del Partito Conservatore (Høyre, “Destra”) in alleanza con la destra populista del Partito del Progresso (FrP). La sopravvivenza dell’esecutivo era garantita alla Camera (Storting) dal Partito Liberale (Venstre, “Sinistra”[1]) e dal Partito Popolare Cristiano (KrF), che poi nella successiva legislatura entrarono a pieno titolo nel gabinetto, rispettivamente nel 2018 e 2019.
Questa alleanza di blocco di tutta la destra era una prima storica nella politica norvegese postbellica. Nessuno dei precedenti governi conservatori degli anni ’70 e ’80, infatti, aveva incluso direttamente il FrP e, prima della fondazione di questo nel 1973, tali esecutivi erano stati formati in coalizione con il più moderato Partito di Centro (Sp), che rappresenta i contadini.
Il FrP aveva poi lasciato il governo Solberg nel gennaio 2020, in protesta contro il rimpatrio dalla Siria di una cittadina norvegese arruolatasi nell’ISIS.
Dopo otto anni di governo di destra, le elezioni mostrano che il partito guida di tale esecutivo è chiaramente penalizzato. La Høyre perde oltre 5 punti percentuali nei comuni con densità sotto i 500 abitanti per chilometro quadrato.[2] Un destino simile tocca anche al FrP, che vede erosa la sua storica base di insediamento, ossia le cittadine di provincia, intermedie fra campagne e grandi città, dove più duramente colpiscono le crisi industriali.
Cedono voti nelle campagne, sia pure di poco, anche gli altri due partiti del centrodestra, ossia il KrF e la Venstre; quest’ultima, comunque, aumenta nel suo principale luogo di insediamento: le città.
Il grande beneficiario delle perdite dei gruppi di destra sembra essere il Partito del Centro, che giunge a soppiantare i Laburisti come primo partito nell’aggregato dei comuni con densità inferiore ai 10 abitanti/kmq.
Risulta quindi evidente che i partiti della coalizione di destra abbiano pagato un forte prezzo politico per la riforma del governo locale approvata nel 2019, esecutiva dal 1° gennaio 2020, consistente in un diffuso accorpamento dei comuni (passati dai 426 del 2017 ai 356 attuali) e nel ridisegno dei confini regionali. Più in generale è stata subìta la pressione di richieste di servizi sul territorio: caso celebre quello dell’ospedale di Alta. In questa cittadina della Lapponia il FrP aveva ottenuto nel 2017 la sua migliore percentuale nazionale (32,4%) ma oggi sono crollati al 15,2%, mentre con oltre il 40% ha eletto un deputato la lista locale Pasjentfokus, dedicata appunto all’espansione della struttura sanitaria locale.
Vi sono invece due partiti i cui guadagni sono proporzionali alla densità di popolazione: i Verdi e la Sinistra Socialista (SV). All’opposto, le perdite del Partito Laburista sono più pronunciate man mano che la densità abitativa aumenta, mentre il Partito Rosso (Rødt) aumenta stabilmente in tutte le aree del Paese, rallentando solo nella fascia sopra i 1000 abitanti/kmq, che comunque era già quella di maggior forza.
La sinistra: il caso di Oslo
Per comprendere i rapporti fra i vari partiti della sinistra è utile scendere in maggiore dettaglio osservando i risultati nei quindici quartieri di Oslo. Qui il grave sconfitto è il Partito Laburista, che perde 5,4 punti percentuali rispetto al 2017. Arretramenti molto forti, superiori a questa media cittadina, si verificano in quattro quartieri: Stovner (-8,9), Grorud (-9,1), Søndre Nordstrand (-9,5), Alna (-10,8). Di converso, il principale vincitore di Oslo – la SV, con un aumento di 4 punti percentuali – registra proprio in questi quattro rioni tutte le sue performance superiori alla media cittadina (rispettivamente: +5,4, +5,1, +6, +6). Storia simile per i Rossi: +2 su scala cittadina, nelle quattro aree ricordate rispettivamente +4,1, +5,1, +5,5, +4,2.
Cosa hanno in comune questi quattro quartieri? Un’alta presenza di popolazione immigrata. Alna, Stovner e Grorud fanno parte dell’estremo nord-est della città. Si tratta di quartieri suburbani, in certe zone quasi semi-rurali, con molti edifici di recente costruzione – con l’eccezione parziale della vecchia Grorud, che è l’antico borgo minerario. Anche Søndre Nordstrand è una zona periferica, all’estremo sud, e si tratta di un quartiere con alta percentuale di immigrati, persone con disabilità e persone assistite dallo stato sociale. La popolazione di origine asiatica, africana, latino-americana, o est-europea extra-UE, che costituisce il 23% dei residenti di Oslo, tocca in queste aree percentuali raddoppiate: 43% a Grorud, 47% ad Alna e a Søndre Nordstrand, 52% a Stovner.[3] Di conseguenza anche il reddito è sensibilmente più basso, scendendo sotto i tre quarti della media cittadina.[4]
Politicamente queste zone erano le ultime quattro roccaforti laburiste di Oslo, nelle quali il partito era sinora riuscito a resistere alla grave erosione degli ultimi anni.
Per la SV, invece, si tratta dello sfondamento in quartieri che si aggiungono ai tre insediamenti storici della sinistra social-comunista nell’Østkanten, la zona operaia di Oslo orientale; ovvero, da sud a nord: Gamle Oslo, l’antico centro storico operaio (il nome significa letteralmente “Oslo Vecchia”) in cui ancora sopravvivono alcune ottocentesche abitazioni in legno e che cento anni fa era eloquentemente soprannominata “Pietrogrado”; Grünerløkka, anch’esso insediamento di working class sebbene ora parzialmente gentrificato; Sagene (letteralmente: “Le seghe”), sede del primo polo industriale cittadino. In questi tre rioni, che sono (con Grorud) quelli con la più alta percentuale di assistiti dal welfare[5], nel 2013 anche la SV era stata danneggiata, al termine di un lungo periodo di logoramento durante la doppia legislatura di governo in coalizione con Laburisti e Centro (2005-2013). All’epoca i consensi sfuggirono probabilmente in direzione dei Verdi, poi sembrano essere stati recuperati a spese dei Laburisti.
Un discorso simile vale, in misura minore, per i Rossi, pur se questi già nel 2017 avevano sfondato a St. Hanshaugen, quartiere del centro storico a carattere residenziale di classe media, sede di un grande parco, delle principali organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio norvegese, e appena a sud del principale campus dell’Università di Oslo.
La principale variabile che lega St. Hanshaugen a Gamle Oslo, Grünerløkka e Sagene è l’età. La distribuzione della popolazione per età all’interno del Comune di Oslo è relativamente omogenea, con, però, alcune eccezioni di spicco. La popolazione tra i 25 e i 39 anni (30% complessivo) è particolarmente sovrarappresentata a Gamle Oslo (42%), St. Hanshaugen (44%), Sagene e Grünerløkka (46%).
Quanto ai Verdi, il risultato beffardo dello scrutinio finale (fermi al 3,91% nazionale mancano la soglia di sbarramento del 4% che avrebbe loro fruttato seggi aggiuntivi) sembra confermare ancora la loro marginalità in un Paese largamente basato sul settore petrolifero. Ad Oslo essi aumentano sì nelle zone proletarie, ma soprattutto in quelle studentesche e borghesi (St. Hanshaugen; Nordre Aker, sede di studentati e organizzazioni universitarie; soprattutto Bjerke, quartiere in rapida crescita negli ultimi anni).
Per quanto riguarda la destra, si evidenzia a Oslo un fenomeno già noto nelle aree metropolitane dell’Occidente: il declino delle formazioni populiste e l’aumento dei liberali. Gli attori in Norvegia sono rispettivamente il FrP e la Venstre, che dal 2009 ad oggi confermano nella capitale l’andamento dianzi descritto. Resta stabile la Høyre, mentre trend di declino e di crescita sono esperiti rispettivamente dal KrF, evidentemente minato da fenomeni di immigrazione e secolarizzazione, e dal Centro, che aumenta fortemente nelle zone proletarie e multietniche, probabilmente per il medesimo fenomeno che lo premia nelle campagne: una rivolta della popolazione conservatrice autoctona contro il governo Solberg. Se nelle aree rurali la vittima di questa rivolta era la Høyre, a Oslo, dove quest’ultima ha un elettorato decisamente agiato, ne fa le spese il FrP.
Una vittoria di Pirro?
Riassumendo, gli spostamenti di voto evidenziati tra 2017 e 2021 in Norvegia riguardano, in ordine decrescente:
– presso la popolazione autoctona socialmente marginalizzata, un travaso di consensi dalla destra (conservatrice o populista) al Centro agrario-populista;
– un rafforzamento delle sinistre radicali a danno dei laburisti, specie nelle zone di forte immigrazione;
– un tendenziale rafforzamento dei Verdi quale partito del ceto medio studentesco urbano.
Osservando, limitatamente al Comune di Oslo, la correlazione del consenso ai partiti con alcune variabili sociali, notiamo che la correlazione fra il voto ai Laburisti e la popolazione di origine asiatica, africana, latino-americana o est-europea extra-UE è ancora fortissima (0,896; 0,952 nel 2017), ma ad essa pari o superiore è divenuta quella tra popolazione destinataria di sussidi sociali e voto a SV (0,886; 0,739 nel 2017) o Rossi (0,932; 0,781 nel 2017). Questi ultimi due partiti di sinistra sembrano inoltre particolarmente insediati fra i trentenni; i Verdi mostrano una forza anche nella fascia 23-29 anni, ma a differenza di SV e Rossi sono con maggiore nettezza un partito di norvegesi autoctoni e, ancora di più, di immigrati dall’Occidente (Europa occidentale, USA, Canada, Australia, Nuova Zelanda). Si tratta di caratteristiche che avvicinano molto i Verdi al Partito Liberale. Per quest’ultimo, tuttavia, è un forte predittore anche il reddito, che invece non incide sul consenso ai Verdi.
Incide però molto, negativamente, sul consenso a Laburisti, SV e Rossi.
Proprio questo aspetto può fornire un’ultima chiave di lettura dell’evoluzione politica norvegese. Negli ultimi dodici anni a Oslo il legame fra reddito medio e consenso ai due partiti che si contendono la guida del governo nazionale ha segnato un’evoluzione diversa: per la Høyre l’altissima correlazione positiva è rimasta sostanzialmente invariata, mentre per i Laburisti la (un tempo) altrettanto forte correlazione negativa è andata progressivamente riducendosi, tanto da subire oggi una doppia concorrenza: quella di forze di sinistra (SV e Rossi, questi ultimi comunque insediati anche presso componenti di borghesia intellettuale) e quella del Centro, il quale, come si è visto, diviene una forza insidiosa anche nelle campagne.
In un contesto in cui il consenso nazionale laburista si riduce, e viene minacciato sui due lati proprio dai possibili partner di coalizione, con un’erosione marcata specialmente nelle fasce a reddito inferiore, è evidente che la prospettiva di una resurrezione socialdemocratica in grande stile rischia di assumere i contorni del miraggio. Sebbene, in un Paese dalla rigida struttura di classe quale la Norvegia, i Laburisti possano contare ancora su saldi insediamenti tra gli operai di fabbrica sindacalizzati, il rischio della riduzione tanto del bacino elettorale quanto del suo ancoraggio sociale è quello di giungere a rappresentare una galleggiante fascia di mezzo, disinteressata a qualsiasi opzione di riforma sociale.
Una disillusione amara per i commentatori esteri che, invece di fermarsi agli entusiasmi della sera elettorale, approfondissero l’analisi politica. Entusiasmi raffreddatisi anche per il leader laburista Støre, che, ben contento di poter fare a meno di Verdi e Rossi, propugnatori dell’indipendenza dalle fonti energetiche fossili, intendeva varare un esecutivo tripartito con SV e Centro. Il ritiro della prima dai negoziati di coalizione, motivato appunto con un dissenso sulla politica strettamente petrolifera dei due interlocutori, ha lasciato Støre di fronte alla brulla prospettiva di un governo di minoranza con un alleato populista e anti-UE.[6]
Conclusioni
Il quadro che emerge dalla Norvegia, combinandosi anche con il rafforzamento in Islanda delle posizioni di isolazionismo e conservatorismo sociale, lascia ben pochi margini di rallegramento tanto per le sinistre nazionali quanto per le posizioni europee nello scacchiere artico. Unica eccezione positiva, forse, il rinnovato consenso a formazioni socialiste nelle aree urbane e metropolitane (lo SFÍ e il Rødt).
Ma anche a tale riguardo vi sono due problemi non solo irrisolti, ma neppure ancora esaminati:
1. Come garantire un collegamento internazionale nell’azione e negli obiettivi di questi partiti? Come sottrarli, cioè, a uno scenario nazionale il cui potere di regolazione del mercato è ormai del tutto insufficiente?
2. Come evitare che essi non riescano a sollevarsi al di sopra della condizione di quei partiti operai occidentali che alla Conferenza di Mosca del 1957 Togliatti definì con cinico realismo «piccole organizzazioni di propaganda»?
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Pur avendo mantenuto lo storico nome ottocentesco, la Venstre è a tutti gli effetti parte del centrodestra. ↑
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Tutti i dati relativi alle elezioni nazionali norvegesi sono stati attinti da https://valgresultat.no/ mentre i dati sulla popolazione da https://www.ssb.no/en/statbank/table/06913/ ↑
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https://statistikkbanken.oslo.kommune.no/webview/, Befolkningen etter administrativ bydel, landbakgrunn og alder ↑
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https://statistikkbanken.oslo.kommune.no/webview/, Gjennomsnittsinntekt etter delbydel, alder og kjønn (D) ↑
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https://statistikkbanken.oslo.kommune.no/webview/, Sosialhjelpsmottakere etter bydel og arbeidssituasjon (B) ↑
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https://www.bloomberg.com/news/articles/2021-09-29/norway-coalition-talks-in-disarray-as-socialist-left-walks-out ↑
Immagine di Gust Justice (dettaglio) da Wikimedia Commons
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.