David O’Russell ha origini molto eterogenee. Padre russo e madre italo-americana di origini lucane. È noto per essere un regista incostante dal carattere molto difficile e per gli eccessi di droghe (e nei suoi film ci sono spesso e volentieri dei riferimenti). Noto per i numerosi casi di maltrattamenti verso attori, attrici e tecnici. Nel 1999 sul set di “Three Kings” ha avuto pesanti litigi con George Clooney arrivando alle mani. Problemi nel 2007 con l’attrice Lily Tomlin sul set di “I heart huckabees”, nel 2013 lo stesso regista ha reso un inferno la vita di Amy Adams sul set di “American hustle”. Chi invece lo ha sempre difeso è Jennifer Lawrence. L’attrice è stata lanciata dal regista con “Il lato positivo”, grazie al quale vinse l’Oscar.
Con il caso Weinstein e l’avvento del “Me Too”, O’Russell è finito spesso nelle cronache per maltrattamenti. Gli Studios sono stati costretti a bloccare diversi progetti o addirittura a cancellarli. Tuttavia occorre ricordare che Hollywood è stata una cattiva matrigna con personaggi come Woody Allen o Kevin Spacey, finendo per distruggere le loro carriere. Le accuse nei loro confronti si sono rivelate dei bluff. Spacey è stato addirittura assolto. Tuttavia David O’Russell è recidivo. Si scontrò ripetutamente con la Warner per il film “Three Kings” e per oltre 10 anni Hollywood lo ha tenuto fuori dal giro. La grande occasione arrivò nel 2010 e David O’Russell rientrò alla grande nel giro che conta con i tre Oscar di “The Fighter” (2010) e “Il lato positivo” (2012). Poi nel 2013 con “American Hustle” confermò il suo momento di grazia. Poi però questo regista si è smarrito. Accidental love e Joy, entrambi del 2015, non avevano la stessa pasta delle opere migliori.
Dopo una serie di rinvii per il caso Weinstein e per il Covid, O’Russell torna nelle sale con l’atteso “Amsterdam”. Il film è stato anticipato da Fox Searchlight (proprietà Disney) di un mese. Colpa delle pessime recensioni. Attualmente gli analisti prevedono che finirà la sua corsa con quasi 100 milioni di dollari di perdita. I protagonisti dovevano essere Jennifer Lawrence, Christian Bale e Michael B. Jordan. La prima ha dovuto rinunciare per via della gravidanza. Il terzo per conflitto di altri impegni. Sono stati sostituiti da Margot Robbie e John David Washington, il figlio di Denzel. Bale, fedelissimo di O’Russell dai tempi di “The Fighter”, invece ha creduto fin da subito nel progetto ed è anche produttore. Oltre a loro, colpisce l’incredibile cast di attori nei ruoli di comprimari. Forse solo Wes Anderson si può permettere tale varietà. Oltre ai già citati tre protagonisti, ci sono Rami Malek, Robert De Niro, Zoe Saldana, Chris Rock, Michael Shannon, Mathias Schoenaerts, Mike Myers. In più alla fotografia c’è Emmanuel Lubezki (Birdman, I figli degli uomini, The Tree of life), collaboratore storico di Inarritu, Cuaron, Malick e vincitore di svariati Oscar.
L’attesa attorno a questo progetto era tanta, ma la storia del cinema insegna che avere troppe star non è sempre sinonimo di qualità. Certo aiuta, ma non sempre è sinonimo di qualità. Nonostante tutti questi ingredienti, il film è un colossale flop: sia a livello di storia sia a livello commerciale (quasi 100 milioni di rimessa per la Disney). Hollywood non ha compreso che dopo il Covid al cinema la gente non ci va mettendo insieme solo un tripudio di star. Questo film si può sintetizzare con una frase di Margot Robbie verso il finale: “che spreco!”
Non funziona il fatto che la trama contorta e i personaggi cozzano con i toni della storia. Sembra un thriller, poi diventa giocoso con comicità sopra le righe. Si (sor)ride solo a tratti. Già dal titolo si capisce che qualcosa non va. L’opera è americana in tutto e per tutto. Nella capitale olandese è ambientata solamente la parte dell’incontro tra i tre protagonisti. Il film si ispira, molto liberamente, a una cospirazione reale di alcuni uomini d’affari che volevano buttar giù Roosvelt per sostituirlo con il generale in pensione Smedley Butler. Qui trovate un approfondimento sulla storia.
Gli USA rischiarono un golpe fatto in casa. Un gruppo di “Corporation”, ossia di Multinazionali, avevano intenzioni serie. Michael Moore ne parlava nel film “The Corporation”. Per le grandi aziende, la dittatura è stato spesso uno strumento per assicurarsi i mercati esteri ed ottenere profitti oltre ogni immaginazione. La politica non esisteva perché le multinazionali mettevano i loro uomini a comandare, assicurandosi che i loro interessi fossero ben tutelati. Il film strizza l’occhio all’antifascismo, sull’antirazzismo e alla lotta contro chi detiene l’interesse di pochi. In parole povere O’Russell critica l’amministrazione Trump e anche l’ormai celebre assalto a Capitol Hill. Tutto condivisibile, ma anche non del tutto corretto.
Trovo che questa “ricetta” della sinistra liberal americana sia piuttosto tronfia e gonfiata. Perché la storia insegna che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi gli Stati Uniti hanno fatto guerre in tutto il mondo per “esportare la democrazia” ed imporre i propri interessi. I democratici hanno dato il via a numerosi conflitti. Dagli anni Cinquanta gli Stati Uniti sono stati protagonisti di 56 conflitti in tutto il globo terrestre (i principali in Corea, Laos, Libano, Cuba, Congo, Repubblica Domenicana, Vietnam, Guerra del Golfo, Somalia, Jugoslavia, Haiti, Kosovo, Afghanistan, Iraq, Libia e Ucraina) e hanno rovesciato diversi governi eletti democraticamente (Mossadeq in Iran nel 1953, Allende in Cile negli anni Settanta sono esempi autorevoli) con aspre dittature. Dal 1776 gli Stati Uniti sono stati in guerra il 93% del tempo, vale a dire 222 dei 239 anni della loro esistenza.
Ecco che quindi parlare di democrazia diventa difficile in un momento dove gli Stati Uniti hanno messo oltre 4 miliardi di dollari di spese militari solo sul fronte ucraino. Ben Affleck aveva avuto il coraggio di osare nel film “Argo”, raccontando da dove nasce l’odio iraniano verso gli americani. David O’Russell rimane solo sulla superficie.
La scrittura è però troppo facilona, giocherellona per essere credibile, finendo per essere populista non tanto nelle intenzioni, quanto nei fatti. Non è una commedia che fa ridere, non è un noir attendibile, non è un film storico. E’ un guazzabuglio di generi mescolati male. Usciti dal cinema ci si chiede: qual è lo scopo di questo film? È difficile trovare una risposta.
“Amsterdam” è la storia di 3 amici: il veterano ebreo Bert Berendsen (Christian Bale), che ora lavora come medico dietro le quinte per altri veterani di guerra, l’amico avvocato Harold Woodman (John David Washington) e Valerie Voze (Margot Robbie), infermiera spensierata dal passato complicato. I tre si incontrano in Olanda nel 1918 per reinventarsi una vita anticonvenzionale. Il titolo è Amsterdam perché ricorda i momenti felici, una vita diversa. Tornati in America nel 1930, accade un fatto spiacevole. Un uomo, che i primi due hanno conosciuto durante la Prima Guerra Mondiale nel 1918, è morto. La figlia vuole far chiarezza sulla vicenda. Quest’uomo era il loro caposquadra ed era diventato senatore. I tre amici finiscono in un intrigo hitchcockiano, vengono accusati di omicidio e rimangono insieme per arginare i problemi e farsi forza a vicenda. Poi il film inizia a saltare temporalmente avanti e indietro per ricostruire come sono diventati amici e perché.
Qui iniziano i dolori. Tutto diventa ingarbugliato, arzigogolato, frenetico. Heath Ledger quando faceva Joker diceva che il caos è equo. Qui invece non lo è: non appassiona, non coinvolge del tutto e di conseguenza non appaga i sensi dello spettatore. Figuriamoci del cinefilo. I toni della storia e i generi (dramma, commedia, thriller) non si legano sempre coerentemente con la fotografia elegante di Lubezki, dominata da un giallo tendente all’arancio.
Ci sono troppi personaggi, troppi spiegoni come se il regista non avesse fiducia in sé e nei suoi collaboratori. A questo film mancano l’anima, i sentimenti. O’Russell non riesce a gestire l’enorme potenziale dei suoi attori. Il migliore del cast restano indiscutibilmente Christian Bale (che disegna un altro personaggio con lo stile di Irving di “American Hustle”) e un Robert De Niro misurato. Gli altri sembrano galletti che si beccano di continuo in un pollaio dallo spazio limitato. Un discorso a parte merita Margot Robbie che si ritrova un ruolo cucito per Jennifer Lawrence e finisce per “imitarla” piuttosto bene. “Amsterdam” doveva essere un successo clamoroso e invece è un flop fragoroso. In questo tripudio di personaggi, colori, fatti, il film si perde e la storia mostra di non avere la necessaria compattezza. Insomma non tutto è oro ciò che luccica.
Regia **1/2 Fotografia ***1/2 Interpretazioni *** Sceneggiatura ** Film **1/2
Fonti principali: Cinematographe, Coming soon,, Bad Taste, Cinematografo, My Movies
AMSTERDAM
(USA 2022)
Genere: Drammatico, Giallo, Commedia
Regia e Sceneggiatura: David O’ Russell
Cast: Margot Robbie, Rami Malek, Christian Bale, Robert De Niro, Michael Shannon, John David Washington, Zoe Saldana, Chris Rock, Mike Myers, Matthias Schonaerts
Fotografia: Emmanuel Lubezki
Durata: 2h e 14 minuti
Prodotto e distribuito da 20th Century Studios, Walt Disney
Trailer italiano qui
Uscita italiana: 27 Ottobre
La frase cult: Che spreco!
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.