In una limpida giornata invernale, anche da piazzale Michelangelo a Firenze si possono scorgere, guardando verso occidente, delle impervie cime coperte di neve. Sono le Alpi Apuane.
Questa catena montuosa si stende tra gli Appennini e il mare, delimitata da Garfagnana e Lunigiana. È ricordata da Rutilio Namaziano, Dante e Boccaccio, fino ad arrivar a Emanuele Repetti. Anche gli autori letterari ne ricordano il bianco nitore dei marmi, oltre all’asprezza delle cime. I blocchi estratti erano molto ricercati anche nei secoli passati e innumerevoli sono gli episodi e gli aneddoti di vario tipo al riguardo, come per l’Ercole e Caco di Baccio Bandinelli.
Repetti così le descrive nel celebre dizionario geografico che pubblicò dal 1833: “Simili creste, dove solo allignano piante alpine e annidano aquile, sono fiancheggiate da profondi burroni pietrosi di color grigio, i quali si succedono gli uni appresso agli altri in direzione quasi uniforme, in guisa che visti dall’alto offrono all’immagine la figura di un mare tempestoso istantaneamente pietrificato.” Più avanti, afferma che contemplando “l’Alpe Apuana sotto l’aspetto geologico non vi ha forse montagna nel continente toscano che al pari di essa richiami l’attenzione dei naturalisti, per il singolare fenomeno di vedere in mezzo al bacino del Serchio e della Magra sviluppato un immenso elevatissimo scoglio consistente in gran parte in calcareo saccaroide, donde da inesauribili miniere il più candido e più pregevole marmo da venti secoli a tutta Europa si fornisce.”
Se con le prime considerazioni del geografo carrarese si può ancora convenire, così non è per la definizione di “inesauribili” delle cave.
Gli strumenti e le tecniche per l’estrazione sono mutati profondamente nel corso dei secoli e antiche vestigia come le vie di lizza sono ancora presenti, sebbene abbandonate, sui versanti delle varie cime. L’introduzione del trasporto su rotaia prima e su gomma poi hanno reso più agevole il trasporto del materiale estratto. Bisogna però riconoscere che, negli ultimi trenta anni, è stato estratto quanto, se non di più, nei duemila precedenti.
Presentare oggi l’attività delle cave come atto inevitabile e connaturato alle montagne è un grave errore. Nel 1985, fu istituito il parco regionale delle Apuane, che dovrebbe vegliare sulla tutela e conservazione di questo ambiente, ricco di molte specie endemiche, ma purtroppo pochi rilievi muove all’attività delle cave. Molti attivisti stanno infatti raccogliendo le firme per l’istituzione di un parco nazionale delle Alpi Apuane che, auspicabilmente, dovrebbe portare a un cambio di approccio verso la natura.
Spesso il maggior prodotto dell’estrazione sono oggi gli scarti, che talvolta arrivano al 90% del materiale derivato dagli scavi, legalmente. La resa dei blocchi dall’estrazione è infatti sempre minore e la loro lavorazione avviene anche in luoghi lontani. La provincia di Massa–Carrara è attualmente la provincia toscana col maggior tasso di disoccupazione in rapporto alla popolazione. Scarsa è la ridistribuzione sul territorio del ricavato della vendita del marmo e i suoi derivati. La grande quantità di scarti trova impiego in diverse lavorazioni industriali, tra cui, per esempio, quella dei dentifrici.
Le cave attive oggi, sulle Apuane, sono approssimativamente 165 e quelle inattive 510, secondo un censimento dell’Università di Siena. Ogni anno, al momento, si estraggono cinque milioni di tonnellate di materiale (un milione come blocchi, quattro milioni di detriti), equivalenti a due milioni di metri cubi, quanto 163 torri di Pisa.
Diverse associazioni, tra cui CAI e Legambiente, chiedono che il lavoro dei cavatori rispetti le varie disposizioni di legge, nazionali e regionali, cosa che al momento presente non sempre si verifica. La legge 431 del 1985, chiamata legge Galasso, dal nome del deputato che la propose, pone un vincolo paesaggistico sulle montagne appenniniche sopra i 1200 metri di altitudine sul livello del mare. Solitamente le deroghe a queste disposizioni normative sono motivate con la tutela dell’occupazione di chi lavora nelle cave.
Nel 2020, sono state organizzate alcune manifestazioni contro l’attuale attività delle cave apuane. Una il 4 gennaio, organizzata dalla sezione CAI di Massa, data la minaccia all’integrità del bivacco Aronte, che dal 1902 sorge nei pressi del passo della Focolaccia a 1645 metri sul livello del mare. Al passo della Focolaccia, tra monte Tambura e monte Cavallo, sono infatti presenti cave attive che chiedevano di allargarsi a danno del bivacco (si veda il confronto tra il paesaggio attuale e quello alla costruzione del bivacco, come mostrato dalle foto qui).
Durante la scorsa estate, nella giornata del 5 luglio, un’enorme striscione contro le cave è stato srotolato da molte persone, unite anche col progetto ambientale “L’altezza della libertà”, sul verde paleo della Foce di Giovo, tra Vinca e Orto di Donna, raggiunta con vari punti di partenza, per mettere in risalto le devastazioni della val Serenaia e non pochi sono stati gli appassionati interventi di chi ha preso la parola. Qualche giorno dopo, il grande striscione è stato disteso anche dalle spallette del Ponte vecchio a Firenze.
Un’altra manifestazione, in forma diversa da quella consueta per via dell’emergenza sanitaria, si è tenuta il 24 ottobre a Carrara, organizzata da Athamanta, percorso costituito proprio per opporsi alle attuali attività estrattive e chiederne una riconversione. In quest’ultima occasione, i sindacati confederali, tra cui la CGIL, non hanno esitato a schierarsi insieme alle organizzazioni datoriali a favore delle escavazioni e contro i manifestanti.
Purtroppo, la regione Toscana e le altre amministrazioni coinvolte non ravvisano al momento la necessità di sostenere decisamente forme diverse di occupazione e ricerca del lavoro dall’attività delle cave per le Apuane, che data la loro vicinanza a note località marittime, come quelle versiliesi, potrebbero fruire di un maggior numero di visitatori.
Il complesso sotterraneo dell’antro del Corchia, uno tra i maggiori d’Italia, è oggi a rischio per una vicina cava e non pochi sono stati i contrasti tra speleologi e cavatori. Le Alpi Apuane ospitano infatti diverse grotte e abissi e le cave mettono inoltre profondamente a rischio l’acqua che al loro interno scorre e giunge a dissetare i centri abitati.
È da notare anche il lessico riguardante le cave che, coi termini coltivazione e agri marmiferi può trarre in inganno. Le creste dei crinali e degli altri versanti non sono come alberi e arbusti di un bosco. Una volta rimossi, essi non possono più tornare e i pur possibili tentativi di ripristino con materiale di risulta a non molto servono. Emblematico può esser il caso del monte Altissimo con le cave circostanti, a questo proposito, profondamente segnato dalle cave.
Sovente, più delle amministrazioni locali, è la magistratura a disporre inchieste e chiusure di siti estrattivi. Sono recenti le numerose indagini nei confronti di alcuni esponenti di un’amministrazione locale della Garfagnana.
Sarebbe auspicabile, quanto meno, un sereno dibattito sul futuro di queste bellissime montagne, ma purtroppo ciò non appare all’orizzonte. Tante abitudini odierne si mostrano chiaramente non più compatibili con l’esistenza di diverse specie, tra cui proprio quella umana, sulla Terra. Limiti e difetti di consumismo e neoliberismo sono noti da tempo. Al di là della retorica, è necessario infatti considerare attentamente in che condizioni lasciare il pianeta, nel quale anche le Alpi Apuane, a chi verrà dopo di noi. Immaginare cosa potrebbero divenire i crinali e le valli dei severi monti di Aronte, tra qualche lustro, agli attuali ritmi di escavazione, lascia purtroppo poco spazio alla poesia e al sogno.
Immagine: cava delle Cervaiole, foto gentilmente messa a disposizione da Gianluca Briccolani
Nato nel 1986 a Firenze, mi sono laureato in Lettere nel 2017 e sto proseguendo con Filologia moderna. Nel 2018, ho curato una nuova edizione della raccolta di novelle di Renato Fucini, Le veglie di Neri, recuperando le illustrazioni originali. Sono appassionato di attività all’aria aperta, come escursionismo e ciclismo.