In Italia certi film non si fanno più. Le nostre commedie agrodolci da diversi anni non sono incisive come quelle francesi. Spesso sono girate con il pilota automatico, con gli stessi attori, le battute leggermente modificate. E’ soprattutto per questo che il pubblico italiano preferisce virare su altri prodotti. I francesi invece sanno fare storie apparentemente semplici, ma in fase di progettazione le cose sono più complesse di quanto sembrano.
Un esempio calzante è “Alice e il sindaco” (Premio Label Europa Cinemas alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes del 2019). Per il cinema italiano medio questa è fantascienza (in senso negativo, purtroppo). Arrivato nelle sale italiane il 6 febbraio (il 20 maggio uscirà in home video), nessuno lo ha considerato. Poi la pandemia globale si è presa la ribalta.
Questo gioiellino ha il merito di unire politica, filosofia, musica, due ottimi attori per discutere della crisi di idee che attualmente stiamo vivendo. Sulla scia dell’ottimo “Moliere in bicicletta” che guarda caso annoverava nel cast un (sempre) magistrale Fabrice Luchini.
Siamo a Lione. Il sindaco socialista Pierre Therenau (Fabrice Luchini) è stato appena rieletto, ma dopo trent’anni di attività non sa più che pesci prendere. La sua vita è di colpo completamente svuotata, indifferente e priva di ogni impulso. Non sa più cosa raccontare al suo elettorato. Tuttavia ha l’umiltà di dire di “aver smesso di pensare venti anni fa”. Tuttavia è lontano da ogni tipo di modello di politico francese degli ultimi anni (Macron, Hollande, Sarkozy). Sembra più un personaggio privo di memoria sulla scia di “Palombella rossa” di Nanni Moretti.
L’entourage del sindaco gli mette a disposizione una consulente a tempo determinato: la trentenne Alice (Anais Demoustier), che guarda caso è single e senza una vita stabile. In ogni caso dimenticate l’omonima creatura di Lewis Carroll e anche il Bianconiglio.
Già dal suo primo ingresso nel palazzo comunale, si avverte che è un film di sguardi e di dettagli. L’inizio è magistrale. La camera scende dall’alto verso il basso (e già qui il regista ci dà un indizio su che tipo di film sarà). In pratica l’esatto contrario di “Parasite” di Bong Joon Ho.
Il municipio di Lione sembra una cattedrale gotica e Alice un piccolo puntino (inquadratura in campo largo). Si vede un enorme palazzo, immensi lampadari di cristallo, lunghi corridoi che la portano in un anonimo ufficio con una scrivania di legno scuro. Lei indaga guardandosi intorno, credendo di non essere all’altezza. Poi la regia si concentra sull’abbigliamento femminile: da una parte la capogabinetto vestita da donna in carriera con tacchi a spillo e gonna, dall’altra la giovane Alice con scarpe maschili, jeans e camicia infilata nei pantaloni. Non ci indurre in tentazione, verrebbe da dire. Anche perché Anais Demoustier è una bella donna e un’ottima attrice. Qui lo conferma.
Il personaggio di lei è costruito benissimo, evitando di fatto le sabbie mobili della retorica e degli stereotipi: Alice fa parte della classe media, è appassionata di studi, ma è più smarrita dallo stato in cui versa il mondo più che dall’uso delle nuove tecnologie. Il classico “cervello in fuga” appena rientrato da Oxford dove ha fatto un corso di insegnamento e studio. Alice ha tante domande, tante idee e vorrebbe far parte di un cambiamento.
Quando entra nel team del sindaco, la sua spinta è fondamentale ed è aria fresca per una macchina francamente abbastanza ingolfata. “Non l’ha l’impressione di non poter risolvere neanche un problema? Perché i cittadini penso che abbiano questa sensazione” – dice Alice al sindaco Pierre con rispetto, ma anche con una punta di indignazione. Il regista sceneggiatore Nicolas Pariser indaga sulla natura e l’etica della politica, ma non come siamo abituati a vederla oggi. Questo film analizza la politica nel senso più alto del termine: ovvero come amministrazione del bene pubblico e il sistema di valori che, coerentemente, ne dovrebbero far parte.
Per far ripartire la macchina comunale però non servono solo le idee, ma serve buon senso e la collaborazione di molti. Altrimenti in tempi come questi è dura arginare forze diversissime come i sovranisti neofascisti di Marie Le Pen o il liberismo elitario di Macron. Ma non mancheranno naturalmente dossi, scossoni e strade in salita. Perché invidie, risentimenti, colpi bassi, coltellate alle spalle, le inevitabili malelingue, la forza del non detto non mancheranno.
L’unico problema di questo film sembra quello di voler dare in pasto il cosiddetto modello relazionale “uomo maturo in crisi – donna giovane rigenerante”. Uno fra i tanti motivi per cui ho adorato “La migliore offerta” di Tornatore è perché il regista siciliano si divertiva ad analizzare per poi distruggere questa convenzione (anche a livello cinematografico, se prendiamo i recenti casi del MeToo). Ultimamente nel cinema francese è piuttosto trita e ritrita (basta ricordare “Il gioco delle coppie” di Assayas del 2018 o “Quasi Nemici” del 2017 con Daniel Auteuil e Camélia Jordana).
Per fortuna tutto ciò è solo una parentesi.
Ci sono due mondi, come detto, apparentemente lontani, che difficilmente entrerebbero in contatto. Lei ha tante idee, ma non le ha mai applicate nella vita reale perché nessuno glielo ha permesso. Lui ha zero idee, ma sa come muoversi, come farsi ascoltare, ha esperienza. Un progressista ostinato, che crede “nella crescita infinita e nella virtù delle lotte sociali. La politica è come la musica o la pittura: tutta la vita, sempre o niente”.
La politica deve essere “pensiero in movimento” costruttivo, crescendo attraverso scambi di idee, proposte, confronti e mediazioni. Basta con marketing, urla ostili, lamentele distruttive, becere e isteriche create come se fossimo in un laboratorio scientifico chiamato social network. La politica non è l’asilo, il sindaco non è una maestra. Efficace in tal senso il lungo pianosequenza in cui Pierre e Alice scrivono il discorso. Dentro c’è politica, filosofia, musica e dialogo. E poi c’è la lezione di cinema di Eric Rohmer, esponente di punta insieme a Truffaut e Godard della “Novelle Vague”.
Giovani contro vecchi, padri contro figli, generazioni che non dialogano e non si capiscono: i primi incapaci di vedere il futuro, che si impegnano senza vedere risultati, i secondi invece sono seduti nei loro posti di potere fregandosene del perché sono lì. La forza di “Alice e il sindaco” è che il regista usa questi “stereotipi” (tra virgolette perché è il mondo reale) per proporre un’idea alternativa, una possibile soluzione.
In un’Europa ormai in declino e con una politica ormai divisa tra liberismo e sovranismo, Alice e il sindaco pone domande non da poco (tra cui quella con cui si chiude la pellicola), grazie a una sceneggiatura graffiante e incisiva e due attori ben amalgamati. Se Fabrice Luchini già lo conosciamo per le prove di Moliere in bicicletta, Nella casa e Il mistero Henry Pick, Anais Demoustier, autentica scoperta di Haneke (Il tempo dei lupi) e poi consolidatasi con Robert Guédiguian (La casa sul mare, Gloria Mundi) e Ozon (Una nuova amica), non è da meno perché è capace di tenere a bada l’istrionismo del collega.
Il buon cinema si può fare anche così: con due ottimi attori e una sceneggiatura mirata, al servizio della storia.
ALICE E IL SINDACO ****
(Francia 2019)
Genere: Commedia / Drammatico
Regia e Sceneggiatura: Nicolas Pariser
Fotografia: Sebastien Buchman
Cast: Fabrice Luchini, Anais Demoustier, Nora Hamzawi
Durata: 1h e 43 minuti
Trailer Italiano qui
Distribuzione: Bim e Movies Inspired
La frase: Non l’ha l’impressione di non poter risolvere neanche un problema? Perché i cittadini penso che abbiano questa sensazione
Regia ***1/2 Interpretazioni **** Fotografia ***1/2 Sceneggiatura ****
Immagine da www.sentieridelcinema.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.