Il film di Gianni Amelio dedicato a Bettino Craxi (Hammamet) è uscito a ridosso del ventennale dalla morte del politico socialista italiano. Un anniversario capace di riaccendere numerose discussioni, in seguito al crollo della “seconda Repubblica”, senza che ne sia nata una terza. In Italia il dibattito attorno al film si è mescolato con molto alto, comprese le dichiarazioni interne al Partito Democratico in cui si è riaccesa una sorta di derby PSI-PCI (con la contrapposizione tra Craxi e Berlinguer). Un film è solo un film, ha dichiarato l’attore Favino, intervistato da Fabio Fazio. In realtà la sensazione è che il Paese sia attraversato da una discussione che va ben al di là delle sale cinematografiche. Nella nostra rubrica a più mani ne scrivono autori cresciuti sull'”eredità” del “dopo Tangentopoli”.
Leonardo Croatto
Quello che colpisce della vicenda Craxi, a mio avviso, è il sostanziale distacco manifestato da chiunque abbia condiviso la sua storia politica, eccettuati i suoi familiari e i suoi più stretti amici e “compagni” di partito. Uno stigma perfettamente giustificato dalla sua vicenda politica, intendiamoci, ma che scaricandosi tutto sulla sua figura ha esentato altri dal subire la stessa gogna.
Diventato segretario quasi per caso, con un partito diviso in cerca di una figura esterna alle correnti e poco ingombrante, seppe trasformarsi da sconosciuto e giovane funzionario a leader autocratico e spregiudicato: 16 anni segretario, partendo dal nulla e arrivando a diventare l’emblema della corruzione politica; caricando, con la scelta della latitanza, tutte su di se le responsabilità di una classe politica diffusamente impastata con la criminalità.
Anticomunismo viscerale, atlantismo e riformismo in direzione liberale i tratti con cui la sua segreteria caratterizzò il partito dal punto di vista politico, sostenuti da una politica organizzativa tutta basata sull’accumulo di denaro e di potere (e, contrariamente da quanto fu sempre sostenuto da lui e dai suoi sodali, non solo e non tanto per il partito, quanto molto per soddisfazioni personali).
E nonostante tutto è pur vero – un po’ il segreto di pulcinella – che tutti ben sapevano e che molti partecipavano, ma molti di quelli che avrebbero dovuto pagare tanto quando lui sono riusciti ad arrivare puliti fino ad oggi. Di fatto, caduta la sua testa, che lui stesso ha messo volontariamente sul ceppo, degli altri responsabili non si è saputo più nulla.
Allora, più che la storia degli ultimi giorni di un latitante in attesa della morte, sarebbe bello che venisse raccontato di tutta quella classe dirigente che con quel latitante ha fatto affari e ha condiviso crimini.
Piergiorgio Desantis
Il film di Amelio, a distanza di 20 anni dalla morte di Craxi, ha suscitato numerose polemiche intorno alla sua figura, le sue scelte e gli accadimenti in quei tremendi anni ’80. Lasciando da parte il giudizio intorno al film che, per chi scrive, merita la visione e si incentra invece intorno al Craxi dalla decadenza fino alla morte, avvenuta lontano dall’Italia. Tuttavia, oggi è a tratti inquietante il coro politico (quasi) unanime di rivalutazione del presidente del consiglio socialista; a ciò segue un connesso riconoscimento degli errori e ritardi di Enrico Berlinguer nel liberarsi di teorie economiche e lavoristiche per alcuni giudicate superate. A tal proposito, vale la pena indagare e ricordare le politiche di Craxi e del suo governo.
Quest’ultimo, infatti, rimane nella storia come il primo governo che introduce flessibilità nel mondo del lavoro con la legge del 863/1984 inserendo nuove forme contrattuali che, in seguito, determineranno le condizioni di precarietà in cui vivono milioni di lavoratori e lavoratrici italiane. Il 14 febbraio 1984 il governo Craxi vara un decreto (detto di San Valentino) che taglia di ben 3 punti percentuali la scala mobile, convertendo in legge un accordo delle associazioni imprenditoriali con Cisl e Uil e prefiguardo la successiva e definitiva abolizione. Si ricorda anche Cgil e PCI si opposero a queste politiche, arrivando a raccogliere le firme per un referendum sulla scala mobile, iniziativa che andò verso la sconfitta, purtroppo, dell’ultimo e generoso segretario sardo del PCI. In questa disputa si inserisce il dibattito politico attuale, in cui Craxi è visto come punta avanzata di una modernizzazione economica liberista che richiama chiaramente Thatcher e Reagan e, come si è visto oggi, assicura il benessere e la prosperità solo a una piccola minoranza di persone in Italia (e in Occidente). Nonostante ciò, dinanzi all’elevarsi di un coro di voci che ripercorrono ed elogiano quel tipo di scelte politiche che hanno massacrato il tessuto industriale italiano e i lavoratori stessi, è ancora oggi attuale e necessaria una risposta del mondo del lavoro. Essa non deve solo porsi sulla difensiva ma rilanciare e avanzare proposte di conquista e allargamento dei diritti e di redistribuzione di risorse e salari. Patrimoniale e riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, ad esempio, sono solo alcune delle proposte in campo, cui vale la pena impegnarsi.
Dmitrij Palagi
Avendo visto Hammamet partirei dal limitarmi a ritenerlo un brutto film. O meglio un prodotto cinematografico non convincente, anche se siamo nel campo delle valutazioni personali. Poco interessante e molto superficiale nel provare a descrivere un potente in declino. Senza riflessioni su cosa sia il potere e il governare un Paese, specialmente negli anni di Craxi. Non si trattava di una vittima e neanche lo si può però continuare a liquidare come unico responsabile di un intero sistema che male funzionava.
Il crollo della Prima Repubblica è la causa dei disastri visti durante la cosiddetta “Seconda”? Anche qui il giudizio si fa ingenuo. Questo ventennale si è celebrato in un contesto nazionale ed europeo arretrato, andato indietro in questi decenni. Il film non aiuta in niente questo percorso, ma nemmeno doveva farlo. Il teatrino nato sull’eredità di Craxi è però ancora peggio di un brutto prodotto di intrattenimento. Il mito di Berlinguer contrapposto al ‘mito nero’ di Craxi… Un derby in sostanza, in cui il Partito Democratico ha riscoperto qualche sprazzo di dibattito sulla propria identità. Senza sostanza. La storia è sempre frutto di possibili riflessioni. In questa fase elenca una serie di occasioni mancate. Se però qualcuno volesse ricordarsi del film di Veltroni su Berlinguer, ecco che potremmo prendere atto di una difficoltà diffusa.
Jacopo Vannucchi
Per Craxi, come per Mussolini – e in futuro toccherà anche a Berlusconi – possiamo trovare tre tipi di elogiatori.
In primo luogo, i fedelissimi non pentiti, i fanatici ferventi. Su questi c’è poco da dire.
In secondo luogo, il codazzo di quelli che potremmo definire “parassiti delusi” e ritratti magistralmente in una frase fatta pronunciare ad Alberto Sordi ne «Il vedovo» (1959): dopo Dante e Napoleone fra i grandi uomini della storia ci sarebbe stato «il terzo, che, malgrado i collaboratori, resta sempre un genio. [Chi è?] Una volta lo si diceva, adesso purtroppo non si può più dire!…». Nel caso di Craxi si tratta dei tanti che, più o meno prossimi alle distribuzioni di prebende al garofano, hanno goduto dei dividendi del sacco di danaro pubblico, fosse anche come rendimenti speculativi al 18% sui BOT – provvidenzialmente salvati dall’inflazione, poi, grazie alla mannaia fatta calare per decreto-legge sui salari (taglio della scala mobile, 1984). A questi dispiace molto che quel mondo di vacche grasse sia scomparso e, se magari nella rabbia dello sciacallo a cui è tolta la carcassa di bocca si sono confusi nella folla al momento del linciaggio, oggi rimpiangono quanto si stesse meglio quando si stava peggio.
In terzo luogo ci sono, e questi sono forse i più interessanti, i progressisti convertiti, folgorati sulla via di Hammamet. “Ha fatto anche cose buone”, “ha avuto delle intuizioni”, “bisogna separare il piano giudiziario da quello politico”, e altre variazioni che non vale la pena citare.
Ora, Craxi convertì il Psi a una forza strutturalmente di destra, mantenendo sempre un rapporto privilegiato con la destra Dc, con i liberali, a tratti persino con i missini, e tutto questo non mancando mai di giocare su due tavoli (dal documento pre-elettorale con il Pci del 1983 al sostegno all’ingresso del Pds nell’Internazionale nel 1991). Detta in altri termini, la sua tattica era far odorare la carota alla sinistra per poi darla in pasto alla destra. Lo scivolamento a destra del Psi naturalmente era nato già negli anni Sessanta, in particolare con la scissione dello Psiup del 1964 e col rientro di molti ex-Psdi nel 1969, ma Craxi ne fece deliberatamente un pilastro della sua azione. Già nel 1978, all’inizio del suo segretariato, dimostrò di non avere la vergogna delle scelte scellerate: spezzò l’arco costituzionale usando il sequestro di Moro come martello per colpire Dc e Pci, e schierò il partito per il Sì all’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti. Di nuovo la doppiezza della faina: con una mano fomentava il qualunquismo e l’antipolitica scagliandosi contro il finanziamento legale, con l’altra rastrellava le messi di quello illegale.
Tanti altri esempi si potrebbero fare di tre caratteristiche: la spudorata arroganza (parlo ovviamente di quella politica, non del carattere personale), il foraggiamento del malcostume negli italiani a fini di consenso elettorale, e in ultimo la caratteristica tipica di tutti i prepotenti ossia la vigliaccheria. Andreotti ricevette capi d’imputazione più gravi di quelli di Craxi e, probabilmente, aveva segreti più bui di quelli di Craxi, ma affrontò diligentemente i suoi processi (ricavandone, fra l’altro, un forte stato depressivo). Craxi è fuggito mandando improperi a chiunque, restando, per carità, fedele alla sguaiatezza della sua avventura politica.
Era migliore di Salvini? Pare che oggi basti questo per guadagnarsi l’assoluzione. Sì, forse è stato migliore di Salvini; forse. Ma per suoi meriti? Per sue migliori qualità umane o politiche? Non credo. Se non poté arrivare al salvinismo fu perché all’epoca era ancora in piedi il sistema costruito a Jalta nel febbraio 1945 a prezzo di sofferenze indicibili, e quel sistema teneva imbrigliato il dibattito politico italiano. Che Craxi fece di tutto per sbrigliare.
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