Alzi la mano chi diceva che negli anni ’90 la musica faceva schifo. Io non sono fra quelli. Sicuramente la fase di decadenza, soprattutto quella del rock, era iniziata. In ogni caso se analizziamo le uscite vediamo che, solo nel 1991, sono usciti Innuendo dei Queen, Out of Time dei R.E.M., Acthung Baby degli U2, Use your illusions dei Guns n roses, Blood sugar sex magic dei Red Hot Chili Peppers, On every street, ovvero l’ultimo disco dei Dire Straits. E poi vari titoli di punta della musica grunge: Ten dei Pearl Jam e l’inossidabile Nevermind dei Nirvana. In Italia era da poco uscito “El Diablo” dei Litfiba, Ligabue usciva con il secondo disco “Lambrusco e pop corn”, Vasco Rossi era impegnato nel “Fronte del palco tour” e a breve avrebbe pubblicato “Gli spari sopra”. 30 anni dopo, questa qualità ce la sogniamo.
A dir la verità il grunge (una sorta di punk rock made in Seattle) nacque nella seconda metà degli anni 80. Nella città nello stato di Washington c’era un grande humus culturale che produsse ottime musiche punk, heavy metal, rock psichedelico. Il termine nacque nel 1965 e intendeva qualcosa di losco, sporco, sudicio. E in effetti è proprio così. La musica grunge affonda le proprie radici nella società dell’America nord-occidentale, caratterizzata a metà degli 80’s da piaghe come la povertà, la disoccupazione, la droga. Seattle era un luogo dove l’eroina scorreva a fiumi: i giovani la usavano come antidoto alla depressione. La musica diventò compagna di vita per sopravvivere ai problemi quotidiani. In poco tempo Seattle diventò “la più eccitante prodotta da una singola città da almeno 10 anni”. In tutti i sensi.
Tant’è che importanti leader come Kurt Cobain, Scott Weiland (Stone Temple Pilots) e Chris Cornell si sono suicidati, rispettivamente nel 1994, nel 2015 e nel 2017. Le cause sono da trovare proprio nella depressione, nell’uso eccessivo di droghe e nella pressione per la popolarità. Dopo la morte di Cobain, Dave Grohl non perse tempo e seppe ripartire fondando i Foo Fighters, gruppo rock ancora oggi in attività (a inizio 2021 è uscito il loro decimo album di studio, “Medicine at midnight”). I gruppi erano una comunità che frequentava gli stessi locali, avevano i capelli lunghi, i jeans e scarpe Converse spesso vecchie e rovinate, t-shirt sdrucite, maglioni pesanti, spesso monocolore e camicie di flanella a quadri (tipiche dei taglialegna locali).
Questo movimento musicale si sviluppò come antidoto al rock degli anni ottanta: la quasi completa rinuncia a sintetizzatori e tastiere, così come a qualunque tipo di effettistica “alla moda” sulle chitarre, il ritorno a strumentazioni semplici e d’impatto (basso-chitarra-batteria), la riscoperta delle sonorità degli anni sessanta e degli anni settanta, con un completo rifiuto del suono del rock da stadio degli anni ottanta e una sorta di predilezione per i suoni distorti e rumorosi sono gli elementi che per primi risaltano, anche da un ascolto superficiale. Possiamo dividere il grunge in quattro categorie principali:
- il grunge di ispirazione heavy metal: Alice in Chains, L7
- il grunge di ispirazione heavy metal + punk rock: Soundgarden
- il grunge di ispirazione punk rock (alcuni dei gruppi di questo stile si sono ispirati all’esperienza musicale dei Pixies): a questo genere appartengono i Nirvana e i Mudhoney, oltre ai Bush
- il grunge ispirato al rock tradizionale e al rock psichedelico: Pearl Jam, Stone Temple Pilots, Foo Fighters
Personalmente sono un appassionato specialmente dell’ultimo blocco.
Da non scordare che, tra il 1990 e il 1992, c’erano sulla scena anche i Temple of Dog, band formata dai membri dei Soundgarden e dei Pearl Jam (sono sicuro che anche voi, come me, amate la loro hit più famosa “Hunger Strike”).
Trent’anni fa esatti, tra il 27 agosto e il 24 settembre, uscirono due album leggendari del grunge: “Ten” dei Pearl Jam e “Nevermind” dei Nirvana.
Due album fondamentali della storia del rock che intendo ricordare.
27 agosto 1991 – Ten dei Pear Jam
Ve ne avevo già parlato a suo tempo qui e non voglio essere ripetitivo. È il disco di esordio dei Pearl Jam. Eddie Vedder e soci presero spunto dalle loro passioni. La principale era il basket: il nome dell’album deve le proprie origini dal numero di maglia (la n.10) del giocatore di basket Mookie Blaylock (che giocava negli Atlanta Hawks), dal quale il gruppo aveva inizialmente preso il nome. Anche se, va detto, Eddie Vedder è tifoso dei Chicago Bulls in quanto nativo della città dell’Illinois (ed è pure amico di Denis Rodman). “Ten” è un disco intenso, viscerale, vero, “violento”, trascinante, in perenne bilico tra sanità e pazzia (ascoltate “Once”, la canzone di apertura e capirete). E c’è tanta politica, impegno sociale.
Prendete “Jeremy” ad esempio: la canzone è basata su due diverse storie vere. La canzone trae ispirazione principale da un articolo di giornale su un ragazzo di 15 anni di nome Jeremy Wade Delle del Texas, che si è sparato davanti al suo insegnante e alla sua classe la mattina dell’8 gennaio 1991. In un’intervista del 2009, Vedder disse che sentiva “il bisogno di prendere quel piccolo articolo e farne qualcosa—per dare quell’azione, per dargli una reazione, per dargli più importanza”. La seconda storia è stata narrata da Eddie Vedder su uno studente delle medie a San Diego: “in realtà conoscevo qualcuno alle scuole medie, in California, che ha fatto la stessa cosa, non si è tolto la vita ma ha finito per sparare in una stanza di oceanografia. Ricordo di essere stato nei corridoi e di averlo sentito e avevo avuto dei litigi con questo ragazzo in passato. E ci ho litigato”.
Le ispirazioni sono soprattutto il rock di Springsteen, dei Pink Floyd (soprattutto per i temi), gli U2, gli Who e i Led Zeppelin.
Vanta almeno 4 hit stratosferiche: Alive, Black, Jeremy e Even Flow. Le prime due vanno citate per forza: la prima è l’inizio di una trilogia di canzoni. “Alive” racconta la storia di un giovane che scopre che l’uomo che pensava fosse suo padre è in realtà il suo patrigno, mentre il dolore di sua madre porta a una relazione incestuosa con il figlio, che assomiglia molto al padre biologico. Questo porta a “Once” in cui l’uomo scende nella follia e finisce per commettere una serie di omicidi, e “Footsteps” in cui l’uomo alla fine guarda indietro da una cella di prigione in attesa della sua esecuzione.
“Black” è ormai un inno per molti, me incluso. Ascoltarla dal vivo non ha prezzo. Vedder ha rivelato che “riguarda le prime relazioni. La canzone parla di lasciarsi andare. È molto raro che una relazione resista all’attrazione gravitazionale della Terra e a dove porterà le persone e come cresceranno. Ho sentito dire che non puoi davvero avere un vero amore a meno che non sia un amore non corrisposto. È dura, perché poi la tua persona più vera è quella che non puoi avere per sempre”.
Senza dimenticare la favolosa chiusura di Release (colonna sonora di “Out of furnace”, film con Christian Bale e Woody Harrelson). Un album che scorre a meraviglia. Un concentrato di purissimo rock collettivo. Chi è stato a un concerto di Eddie Vedder o dei Pearl Jam sa cosa significa.
Con questo disco la band divenne un riferimento per molti, pur conservando la sua indipendenza dalle major musicali. Ed è per questo che nelle radio commerciali, tranne rare eccezioni, le loro canzoni vengono trasmesse poco.
Da questo link è possibile ascoltare Ten per intero.
24 settembre 1991 – Nevermind dei Nirvana
“Hello, hello, hello
With the lights out, it’s less dangerous
Here we are now, entertain us”.
Quante volte lo avrete sentito questo ritornello? Eppure il successo fu graduale e inaspettato.
Kurt Cobain voce, Krist Novoselic basso, Dave Ghrol batteria = Nirvana. Tutti conosceranno il primo e il terzo, meno il secondo.
Cobain è il leader fragile, Ghrol il batterista pazzo che poi ha fondato i Foo Fighters (ancora oggi, fortunatamente, iper attivi), Novoselic il bassista alto oltre 2 metri.
A dispetto delle basse aspettative commerciali del gruppo e della casa discografica (obiettivo dichiarato le 250 000 copie vendute), Nevermind divenne un enorme successo alla fine del 1991, soprattutto grazie alla popolarità acquisita dal primo singolo estratto da esso, Smells Like Teen Spirit. Era l’inno dei ragazzi apatici della generazione nata tra il 1965 e il 1980. Ma onestamente sembra scritto su misura per i “millennials”. Nel disco c’è il manifesto acido del calvario generazionale dei primi anni 90: “With the lights out it’s less dangerous/ Here we are now, entertain us/ I feel stupid and contagious/ Here we are now, entertain us”.
“Nevermind” però non è gioia. E’ rabbia, inquietudine, dolore, atroce dolore dopo il disco d’esordio “Bleach”.
Onda Rock descrive il disco come “un’ora di musica in 12 pezzi semplici tecnicamente, trasformati in capolavori del rock dalla voce tremolante, rauca e timorosa di Cobain”.
Il capolavoro è chiaramente “Smells like spirit”. 4 accordi, uno sfogo violento, rabbioso, dominato da chitarre vigorose, la possente batteria di Grohl e le urla di dolore di Cobain.
“Stavo provando a scrivere la perfetta canzone pop. Fondamentalmente stavo provando a plagiare i Pixies. Devo ammetterlo. Quando ho sentito i Pixies per la prima volta mi sono sentito così unito a loro che avrei potuto fare parte di quel gruppo o perlomeno di una cover band. Abbiamo usato il loro senso dinamico, essere prima sommessi e tranquilli e poi fragorosi ed energici” – disse Kurt Cobain su Smells like teen spirit.
Il frontman della band trasse ispirazione per il titolo durante una notte dedicata all’alcol e al vandalismo in compagnia della sua amica, nonché cantante, Kathleen Hanna. Lei tracciò sul muro della casa di Cobain con la vernice spray la scritta “Kurt smells like teen spirit” (“Kurt profuma di Teen Spirit”) con l’intento di ridicolizzarlo. La frase si riferiva a un deodorante per adolescenti molto in voga all’epoca, il “Teen Spirit”, che anche l’ex-ragazza Tobi Vail, membro della stessa band di Hanna, utilizzava. Kurt, che ignorava l’esistenza del deodorante lo lesse con “spirito adolescenziale e rivoluzionario”, facendo maledettamente centro.
Il regista inglese Joe Wright nel 2015 ebbe un’idea incredibile ascoltando questa canzone. Nel film “PAN- Viaggio sull’isola che non c’è” l’entrata in scena del villain capitan Barbanera (Hugh Jackman) è pazzesca. I prigionieri, soprattutto bambini tra cui Peter Pan, cantano a squarciagola “Smells teen spirit”. La scena è estremamente spettacolare e contagiosa (la potete vedere qui https://www.youtube.com/watch?v=xQBGmBOhQEE&t=19s). Il film purtroppo in seguito si perde strada facendo.
Oltre a questa traccia, però, bisogna ricordare canzoni come “Come as you are” e “Lithium”. Pezzi sicuramente non secondari. Quest’ultimo ad esempio si riferiva al litio come stabilizzatore dell’umore. Infatti il testo è spesso interpretato come una descrizione del disturbo bipolare di cui Cobain affermava di essere affetto. Tuttavia il testo è molto enigmatico e non c’è una chiave di lettura univoca.
Alla fine il gruppo ha venduto circa 24 milioni di dischi. Un successo pazzesco, un botto che però si rivelò poi tragico per Kurt Cobain che si tolse la vita nel 1994. La copertina del disco è ancora oggi sulle t-shirt di milioni di persone. C’è addirittura chi se l’è tatuata sulla pelle. Un bambino, il cui nome è Spencer Elden, nuota in piscina e guarda un dollaro appeso all’amo di una canna da pesca. Una foto difficile da pubblicare all’epoca perché si vedeva il pene del bambino in primo piano. La casa discografica Geffen provò più volte a far cambiare idea a Cobain e soci, ma il leader non volle.
Quell’immagine, infatti, riassume esattamente ciò che la società si aspetta da ciascun uomo: ossia passare l’intera vita a inseguire i soldi, dalla nascita fino alla tomba. Si tratta di un tema che i Nirvana hanno affrontato spesso nelle loro canzoni.
Dopo 30 anni siamo ancora lì ad osservare quel dollaro appeso all’amo, mentre “il pescatore” sposta la canna facendoci venire il mal di testa e anche parecchia rabbia.
Da questo link è possibile ascoltare Nevermind per intero
Immagine da rollingstone.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.