Il 17 febbraio 1992 l’arresto del socialista Mario Chiesa, colto in flagrante nell’esazione di una tangente, dava il via alla valanga di Tangentopoli che avrebbe travolto il sistema politico sorto in Italia dopo il fascismo. La frana ha avuto grande impatto sulla politica italiana, sul ruolo della magistratura e sull’opinione che la società civile si fa dei partiti politici. A trent’anni da quell’evento, mentre infuriano ancora le polemiche sui rapporti fra magistratura e politica, l’anniversario diventa occasione per riflettere sui cambiamenti intercorsi e sullo stato attuale delle “mani pulite” in politica.
Leonardo Croatto
Negli anni di Tangentopoli successe di tutto, e alcuni di questi eventi (o la somma di alcuni di questi) produssero effetti devastanti per il sistema politico italiano. Tangentopoli stessa, probabilmente, fu possibile solo grazie al contesto.
Nell’allentarsi delle tensioni legate alla guerra fredda, gli equilibri tra partiti storici potevano modificarsi con meno preoccupazione del passato, e il grande sistema di consenso pilotato costruito sulla spesa pubblica incontrollata perdeva di senso, e rischiava di pregiudicare l’ingresso nella moneta unica. Il “costo della politica”, percepito dall’opinione pubblica – perché così raccontato dalla stampa – come mastodontico e ingiustificato a fronte di una grave crisi economica, rese più acuta la sfiducia nei confronti dei partiti.
C’erano quindi le condizioni ideali perché un’inchiesta sul sistema corruttivo che sosteneva i partiti italiani si trasformasse in una messa in discussione di tutto il sistema, producendo la liberazione dello spazio della politica dai vecchi occupanti rendendolo terra di conquista per nuovi imprenditori della rappresentanza.
L’effetto di Tengentopoli, contrariamente alle attese di molti, all’epoca, non è stato affato la purificazione del sistema dei partiti dalla corruzione, per restituirli ai cittadini funzionanti. Si è invece ottenuta la cancellazione di un sistema di rappresentanza partecipato e aperto e la sua sostituzione con un nuovo paradigma: partiti proprietari sganciati dalle idee e scollegati dai cittadini, che agiscono in funzione degli interessi diretti delle proprie dirigenze.
La sfiducia per la politica continua a servire, oggi come allora, per allontanare dai partiti i cittadini, per chiudere i partiti alla partecipazione, e quindi anche al controllo. L’esito di Tangentopoli non è stato quello di restituire ai cittadini i luoghi della democrazia, ma di sottrarglieli definitivamente con un processo di privatizzazione molto più rispondente allo spirito del capitalismo contemporaneo.
Piergiorgio Desantis
Il trentennale di Mani pulite evoca un periodo ancora piuttosto oscuro (forse gli storici ancora non l’hanno indagato fino in fondo) ma anche un momento di riflessione su quello che eravamo e quello che siamo diventati in così breve tempo. È una riflessione sulla politica. Nel ’92 c’erano ancora i partiti in crisi ma pur vivi corpi intermedi che muovevano e organizzavano gli interessi. C’era ancora, nonostante tutto, una politica economica e una politica estera italiana che si distingueva per il ritaglio di spazi di movimento e margini di autonomia. Avevamo una corruzione endemica ma ancora gruppi dirigenti diffusi con i quali si potevano avere relazioni politiche e avere ancora un senso la categoria di “militante”. Se veniamo in breve all’oggi abbiamo la completa fluidità e gassosità dei partiti sempre più variabili e sempre più simili in politica interna ed estera. Nei partiti sono raccolti, spesso purtroppo, gli interessi di capibastone o gruppi di pressione dovuto anche al divieto di finanziamento pubblico degli stessi. Insomma, se si andasse a fare un bilancio, forse non è poi così positivo in termini economici e valoriali. La pagina Tangentopoli, infine, appare strettamente connessa alla scelta dell’Italia e del gruppo dirigente di aderire a Maastricht, con tutte le conseguenze che viviamo ancor oggi. Ma questa è appunto un’altra pagina.
Francesca Giambi
Sono 30 anni di Tangentopoli (o mani pulite), termine usato dal 1992 per indicare lo scandalo di un diffusissimo sistema di corruzione politica; Tangentopoli iniziò il 17 febbraio 1992 con l’arresto (mandato di Di Pietro) di un dirigente d’azienda Mario Chiesa, uno dei maggiori esponenti del Partito Socialista colto con le “mani del sacco” durante la riscossione di una tangente da 7 milioni di lire. Nel 2020, nel momento in cui si celebra l’anniversario dell’inchiesta Mani pulite in alcuni cinema di Milano e Roma viene proiettato il documentario di Pillitteri “La tesi: verità tra le righe”, una sorta di tributo a Craxi.
Questo per dire che mani pulite, in accezione ristretta, riferimento al fascicolo aperto dalla procura di Milano nel 1991, e in una visione allargata riferibile alle indagini condotte da altre procure italiane, è stata una bomba sulla collusione tra politica e imprenditoria ed i suoi effetti sono proseguiti fino ad ora. Non si riesce ad entrare veramente dentro il problema e a darne una unica interpretazione non di parte.
È emblematico il termine “mani pulite” che richiama al famoso film di Francesco Rosi del 1963, dove in una scena i deputati di maggioranza del consiglio comunale di Napoli, in risposta ad un consigliere di opposizione circa la speculazione edilizia, affermano “le nostre mani sono pulite”. Ancora non si riesce a vedere gli effetti di questo drammatico momento della storia italiana. Le tappe: 1990 crollo definitivo del muro, 1991 la “svolta della Bolognina” e lo scioglimento del PCI, 1992 “mani pulite”. Non si è compreso o non si è voluto comprendere che la bomba è esplosa distruggendo la prima repubblica, distruggendo i partiti, ma non ha portato quella rivoluzione morale, quel movimento di lotta alla corruzione che avrebbe potuto produrre un profondo rinnovamento e soprattutto un ricambio dei gruppi dirigenti.
Il clima di sdegno, di indignazione, dato dal massiccio impatto mediatico, dall’opinione pubblica, ipnotizzata davanti al televisore a vedere Brosio, Vespa commentare le deposizioni, le dichiarazioni dei politici indagati e alla sbarra, ha prodotto la fine della prima repubblica e l’inizio della seconda con i partiti storici DC e PSI che si sciolsero e vennero sostituiti in parlamento da partiti di nuova formazione. Ma il “cancro” c’era e c’è tuttora, questo è ciò che dovremmo considerare. Craxi non è stato un perseguitato, non è stato un partigiano, è stato un corrotto e dobbiamo capire soprattutto che questo apparente trionfo della “rivoluzione dei giudici” è stato di breve durata (pensiamo all’attacco alla magistratura di questi giorni, alla riforma della giustizia, al rinvio a giudizio di Davigo, uno del pool di mani pulite).Fu di breve durata perché ci fu la reazione di un pezzo minoritario ma rampante della borghesia guidato da Silvio Berlusconi e da poteri economici (vicino alla famiglia Agnelli) che dette vita alla seconda repubblica.
L’opinione pubblica sempre stata dalla parte della magistratura, dalla guardia di finanza che colpiva l’alata politica, i grandi personaggi che erano ormai odiati da tutti, si era schierata. Ma nel momento nel quale, come afferma Borrelli, nel 2002 quando si andò oltremare apparve chiaro che il problema della corruzione non riguardava solo la politica ma larghe fasce della società, “investiva gli alti livelli in quanto partiva dal basso” e proprio in questo momento il cittadino medio ebbe la sensazione che questi giudici “moralisti” volessero passare lo straccio su tutta la facciata del Paese. Borrelli dice una cosa importantissima “parlo del cittadino medio che vive spesso di piccoli espedienti, amicizie, raccomandazioni, ma nette per poter campare e rimediare all’inefficienza della Pubblica Amministrazione. A quel punto, ho l’impressione che la gente abbia cominciato a dire: “adesso basta avete fatto il vostro lavoro, ci avete liberato dalla piovra della vecchia classe politica che ci succhiava il sangue, ma ora lasciateci campare in pace”.
È proprio questo il punto secondo lo schema della “rivoluzione passiva” delineate da Gramsci, alla classe politica e imprenditoriale eliminate da mani pulite, si sostituisce un gruppo di potere espresso da uomini e da ambienti noti da intreccio affari-politica che daranno ai cittadini risposte ai loro “elementari e diffusi stati d’animo di riferimento”, sempre per la definizione gramsciana, attraverso i vari talk show in tv, per sua natura già massificata e passivizzante. Allora mani pulite è servito per una rivolta morale vera e non “di pancia”? Cosa abbiamo ereditato? L’Italia ha ancora una classe politica screditata perché non c’è più scuola politica di partito, politici che sono rivolti solo alla loro esistenza senza progettualità e senza storia e una classe imprenditoriale che fa, indisturbata, i propri affari senza rispondere alla crisi terribile sua del pianeta, che sanitaria, solo con precarizzazione, taglio dei posti di lavoro e dei salari. Non è cambiato niente!
Jacopo Vannucchi
È davvero difficile evitare l’impressione che Tangentopoli si sia risolta, per citare una metafora di conio dalemiano, nel gettare via il bambino di una democrazia vivificata dai partiti conservando invece un metodo di governo fondato sul clientelismo e sull’opacità.Sullo stato di vergognosa debolezza dei partiti italiani, e del loro asservimento al finanziamento privato, non mi diffondo qui avendolo già fatto in altre occasioni sul Becco. Vi sono semmai alcuni punti su cui giudico interessante una riflessione.Primo: Tangentopoli, inteso non solo come inchiesta giudiziaria ma anche come fenomeno culturale, ha contribuito a moralizzare la politica, o quantomeno ad accrescere l’esigenza civica della sua moralizzazione, o non ha piuttosto concimato il seme velenoso dell’antipolitica, del qualunquismo, e anche dell’ignoranza dei meccanismi costituzionali che è sovente correlata alla sfiducia nella politica? La domanda è quasi retorica, ma è interessante vederne la declinazione a destra e a sinistra. A sinistra si è individuato nella “società civile”, declinata soprattutto come stampa e magistratura, una funzione di supplenza per la sempre maggior debolezza nell’insediamento elettorale e popolare. A destra invece sono emersi fenomeni contraddittori, ma proprio per questo sincretici e di ampia presa, di antipolitica e di travolgimento delle istituzioni. Sono le due correnti di un unico vortice, il quale però si avvita decisamente in una direzione unica: quella di destra.Secondo: uno dei co-detonatori di Tangentopoli viene generalmente additato nella fine dell’equilibrio bipolare, morto insieme al Muro di Berlino. Se è vero, lo è solo per metà: il sistema crolla alle amministrative di primavera 1993 e il PSI, a differenza del PdL dopo l’analoga ecatombe delle amministrative del 2012, non sarebbe mai più riuscito a rimettersi in piedi. Non si può non notare la coincidenza fra il crollo del sistema politico italiano e l’avvicendamento alla Casa Bianca tra il vecchio Bush, talmente conservatore in materia internazionale da aver invano cercato di convincere Jaruzelski a ricandidarsi in Polonia, e il giovane Clinton molto più disinvolto. La catena che legava il sistema politico alla DC e questa agli Stati Uniti era una catena di debolezze: gli USA erano costretti a tollerare la DC perché qualsiasi altra soluzione avrebbe gettato nel caos quel versante del blocco occidentale; la DC, però, non avrebbe avuto da sola il necessario consenso del Mezzogiorno (che, come si vide nel decennio 1943-53, andava alla destra estrema) ma neppure, per il vincolo anticomunista, poteva curare il Mezzogiorno tramite autentiche riforme sociali. Fu scelta così la via obbligata della spesa pubblica clientelare, che, come cinicamente disse Mastella, “al Sud ha salvato la democrazia”.A trent’anni dalla fine di un salvataggio della democrazia che forse merita davvero la connotazione “all’italiana”, è utile tenere a mente il peso dei vincoli internazionali sul mantenimento di un’arretratezza civile della popolazione. Non per recriminare, che sarebbe inutile, ma per evitare di compiere lo stesso errore qualora, in forme nuove, dovesse ripresentarsi l’occasione per un nuovo state-building.
Alessandro Zabban
Con Tangentopoli è venuto a galla un sistema di corruzione strutturale che probabilmente durava da decenni. Ovviamente i processi giudiziari non hanno potuto ripulire la politica ma solo mettere fuori gioco qualche pedina. Così, il meccanismo di fondo si è riprodotto fino ai giorni nostri, in cui permane un forte conflitto fra politica e magistratura. In questo quadro, in cui è cambiato tutto senza che cambiasse niente, ancora oggi i cittadini guardano alle istituzioni con diffidenza e alla politica con avversione.
Cosa più importante, Tangentopoli non ha portato a galla il problema essenziale, ovvero la trasformazione della politica tutta (e del governo in particolare) nel comitato d’affari dei grandi gruppi economici. La corruzione perseguibile penalmente si è rilevata assai meno rilevante della corruzione di fatto della natura della politica, non più in grado di fare qualcosa per una comunità ma mera ancella dei poteri economici.
Immagine da pxfuel.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.