Secondo l’indagine Eurispes 2020 riportata negli ultimi giorni da alcune delle più importanti testate nazionali e non solo (Avvenire, La Stampa, Il Corriere della sera, Il fatto quotidiano ecc…) il 15,6 % di italiani nega l’Olocausto o non crede alla Shoah. È un dato allarmante in netta crescita rispetto ad anni precedenti.
Il fenomeno del negazionismo non può essere semplicemente spiegato dall’ignoranza sempre più dilagante ma andrebbe affrontato anche in relazione a una xenofobia e un razzismo le cui trame sono sempre più penetranti e profonde nel tessuto sociale, politico e culturale. Eppure, fino a poco tempo fa sembravano esistere degli anticorpi efficaci per arginare il fenomeno negazionista riducendolo a una cerchia estremamente minoritaria rispetto al resto del paese. Ci sono l’intenso lavoro nelle scuole con laboratori e momenti di riflessione, l’impegno di istituzioni locali e di moltissime associazioni sensibili al tema, l’appello di eguaglianza promosso dalla Chiesa Cattolica, che avrebbero dovuto sostenere e alimentare la cultura della memoria e la didattica della Shoah. In realtà un po’ per l’acceleratore dell’estrema liberalizzazione della possibilità di esprimersi con internet e i social network – usiamo il verbo “liberalizzare” appunto per porre l’accento sul concetto di forte e incontrollata estensione della libertà di parola, senza prenderci la briga di darne una lettura negativa, per lo meno non in tutti i suoi aspetti – , un po’, forse, per il fenomeno di spoliticizzazione e di mancanza di dibattito politico per i temi che rappresentano i fondamenti in termini di principi e prospettive della nostra Costituzione e in parte della Comunità Europea, pare che il fenomeno del negazionismo sia sempre più pervasivo e incontrollato, e le istituzioni sembrano incapaci di porre rimedi sicuri contro questo male.
Sono stati fatti dei tentativi ma sembrano fin troppo cauti e dalla dubbia efficacia. Dal punto di vista giuridico, per esempio, non esiste una vera e proprio legge che preveda come nuova figura autonoma di reato la fattispecie complessa di apologia, negazione, minimizzazione dei crimini di genocidio, di guerra o contro l’umanità come definiti dallo statuto della Corte penale internazionale (come doveva esser prevista dall’originario disegno di legge). Nel testo approvato dal Senato nel 2015 è stata introdotta una sola circostanza aggravante, innestata sull’attuale fattispecie che nel testo del 20061 incrimina e punisce chi “propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale” o “istiga a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”:
“3-bis: […] La pena è aumentata se la propaganda, la pubblica istigazione e il pubblico incitamento si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah ovvero dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232”2.
C’è poi da dire che solo in parte il fenomeno del negazionismo si può sconfiggere con l’azione legislativa. È certamente un segnale importante e fondamentale da parte della politica, ma in termini di efficacia c’è da discutere su quanto la pena del reato svolga un’azione deterrente su un fenomeno così complesso e pieno di sfaccettature. Sarebbe come dire che, da solo, l’incremento di pena del reato di femminicidio, cancelli con un colpo di spugna la mentalità patriarcale e maschilista del nostro Paese. Ci vuole un’intensa e costante opera di sensibilizzazione promossa trasversalmente da scuola, istituzioni, associazionismo, politica, mondo del lavoro e che inizi dai più giovani. Tuttavia il fatto che al negazionismo appartenga una fetta così importante della nostra società può far dubitare sull’immunità a questo fenomeno di tanti ambienti e situazioni.
Adesso facciamo qualche passo indietro per fare un breve focus sugli aspetti sociali, politici e ideologici di questo fenomeno. Il negazionismo è innanzitutto un fenomeno politico che sfrutta quella forma della modernità in cui il pluralismo di fatto sembra quasi legittimare o porre sullo stesso piano qualsiasi tipo di posizione che paiono avere lo stesso diritto di cittadinanza e legittimità, pur mantenendo con questo stesso pluralismo democratico un rapporto ambiguo e ostile. Tant’è che l’accusa che il negazionista pone alla democrazia e alla storiografia è quella di aver inventato il “mito” di Auschwitz: “il negazionismo propriamente detto è sempre stato convinto che dal 1945 l’Europa – ma, più in generale, l’Occidente che si riconosce nei sistemi pluralisti – si regga su una grande menzogna, la Shoah: essa è stata un ‘mito’, il ‘mito dell’Olocausto’, creato e diffuso dalle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, in particolare da quelle democratiche, l’Inghilterra e gli USA, naturalmente con la complicità diabolica dell’ebraismo mondiale”3. Insomma, per il negazionismo democrazia e pluralismo non sono che, o per lo meno si appoggiano, su una grande menzogna. La denuncia del nesso democrazia-Shoah ha principalmente una ragione che è la seguente: la memoria storica della Shoah ha effettivamente agito come uno degli elementi costitutivi e fondativi dei sistemi democratici occidentali e delle pratiche pubbliche fungendo da freno e deterrente contro quei movimenti di estrema destra, xenofobi, razzisti e antisistemici. La memoria della Shoah ha funzionato come “luogo di identità delle democrazie europee dopo il 1945”4.Oggi purtroppo sembra che neanche la memoria storica sia sufficiente ad arginare una xenofobia sempre più dilagante e sdoganata e anche un ritorno di antisemitismo, come si può constatare da recenti e allarmanti fatti di cronaca (la porta dell’abitazione del figlio di Lidia Rolfi, partigiana ed ex deportata marchiata con la scritta: “juden hier”, nel comune di Mondovì) o dall’odio che è stato gettato contro la senatrice Liliana Segre, tanto da aver avuto bisogno di essere accompagnata da una scorta.
Ma di questo nesso, come accennato, il negazionista non si limita alla denuncia, bensì vi costruisce sopra l’aurea di miticità e menzogna. Il negazionismo non è soltanto la negazione della Shoah ma implica una più allargata ostilità nei confronti delle pratiche pubbliche pluraliste e democratiche affermatesi in Europa dopo il 1945. L’odio nei confronti di Awschwitz si estende a un odio verso democrazia e pluralismo che della memoria di Awschwitz si sono alimentati per consolidare pratiche pubbliche democratiche, anti-razziste e pluraliste. Pertanto il negazionismo è ricorso al concetto di “mito” e menzogna nell’ottica di screditare non soltanto la Shoah in sé ma tutto il sistema di principi e pratiche pubbliche democratiche che su quella memoria storica, o anche e soprattutto su quella memoria storica, si sono potute costruire e consolidare. Tuttavia la categoria di mito appartiene al lessico e all’immaginario della destra radicale. Fascismo e nazismo si sono fondati sui miti (della purezza della razza, della patria ecc…), ma le democrazie per esistere non si reggono su miti. Certamente si richiamano al passato, che però rimane un passato storicamente determinato5 e il passato in questione, la Shoah, “rifugge alle decantazioni mitiche metastoriche con cui il pensiero politico della destra antipluralista aveva inteso rileggere alcuni momenti del passato (la romanità, l’arianità ecc.), rivestendolo con quelle ‘acconciature’ che Benjamin aveva rilevato nell’idea di ‘Tradizione’ elaborata dallo storicismo del XIX secolo. La democrazia non necessita di appoggiarsi ai miti e a quella forma-mito che avevano svolto indubbiamente un ruolo decisivo nelle culture politiche del fascismo e del nazismo”6.
Ridurre la Shoah a menzogna presentandola come una vicenda mai svoltasi, significa al contempo colpire il cuore della democrazia e la memoria su cui essa si è radicata. Se oggi leggiamo sui giornali che la percentuale di negazionisti è arrivata al 15% , chi scrive ritiene che uno dei motivi sia una maggior fragilità dei sistemi democratici messi sempre più sotto attacco da movimenti nazionalistici, sovranisti, xenofobi, antisistemici ed estremisti. Il concetto stesso di democrazia sembra essere avverso da partiti e movimenti antipluralisti che in tutto l’Occidente si stanno affermando in maniera sempre più violenta e incontrollata. Le democrazie sembrano essere maggiormente incapaci di mettere in atto, a livello politico, sociale e attraverso un lavoro culturale, educativo, degli strumenti abbastanza efficaci da porre dei limiti all’odio contro un nemico collettivo individuato in intere categorie di individui e comunità (rom, migranti, ebrei, cinesi, transessuali, omosessuali ecc.)e movimenti anti-democratici o esplicitamente nazi-fascisti che arrivano a presentarsi alle elezioni e a ottenere seggi e cariche istituzionali (si pensi ad “Alba Dorata” in Grecia, a “Afd” in Germania, al “Movimento per un’Ungheria migliore” – Jobbik, e a molti altri). Tutto questo si ricollega e in parte è anche frutto o appendice, paradossalmente, di quello che è uno dei massimi dispositivi democratici, ovvero la libertà di pensiero e di opinione. Portato all’esasperazione, questo principio, questa conquista delle democrazie occidentali, si trasforma, coadiuvato dalla diffusione di mezzi sempre più veloci e accessibili a tutti, in un bacino di idee e parole il cui spessore assiologico e veritiero è appiattito su uno stesso metro di giudizio, che appartiene solo al soggetto giudicante, senza la necessità di riferimenti, verifiche, approfondimenti che rendano quell’idea, o quell’informazione più oggettiva e dotato di più reale fatticità.
Nonostante i negazionisti, come detto, abbiano un rapporto conflittuale, di ostilità nei confronti del pluralismo democratico, allo stesso tempo ne sfruttano la potenzialità. Grazie anche alla cassa di risonanza costituita dai social e a un’informazione mediatica spesso parziale o tendente a pubblicare qualsiasi cosa renda la notizia sensazionalistica, senza, molte volte, verificarne il grado di attendibilità o la fonte originaria, anche esternazioni, come quelle portate avanti dai negazionisti che affermano che l’Olocausto sia stato solo un’invenzione degli alleati e degli ebrei (ai quali, per altro, sempre secondo i negazionisti, sarebbe servita come forma di ricatto per ricevere compensi e indennizzi per le sofferenze subite), in questo, per dirla con Levy, “diluvio informazionale”, riescono ad avere una diffusione capillare e una presa molto più forte. Questo accade sia per una diseducazione e disinformazione che colpiscono anche, o soprattutto, i cosiddetti nativi digitali (nativi sì ma alfabeti digitali poco), sia perché l’antisemitismo negazionista cavalca il clima di odio e la narrazione nazionalistica, xenofoba e anti-democratica che si sta imponendo con sempre più allarmante vigore, anche per un’incapacità, da parte delle sinistre, di trovare un lessico e una narrazione realmente alternative a quelle della destra e spesso finendo per emulare quest’ultima mettendo in atto politiche e strategie (si pensi alle politiche in materia di immigrazione ma anche alle misure securitarie poste in essere in diverse città) che vanno nella direzione opposta a quelle che rispecchierebbero una reale visione di sinistra. E quando la legittimità delle idee perde qualsiasi tipo di gerarchia, persino la veridicità storica del nostro passato assume il mero valore di opinione personale, che si può mettere in discussione come fosse qualcosa di soggettivo su cui ciascuno può avere un’idea in merito, che può essere passibile persino di punti di vista che arrivano a negare l’esistenza dei fatti storici accaduti invocandone l’inverosomiglianza o la miticità, elaborando l’idea che determinate vicende, come appunto il genocidio di massa, siano state un’invenzione costruita a tavolino per scopi finanziari, culturali, economici, psicologici, manipolatori, ecc.
Oltre al radicato antisemitismo, infatti il negazionismo è connotato anche da aspetti complottistici che, credo, in questo momento storico, abbiano il potere di raggiungere molte persone. In un contesto come quello odierno di costante instabilità e precarietà che sembra coinvolgere sempre più aspetti della vita dell’individuo, visioni del mondo semplificatorie e risolutive come quelle negazioniste, cucite a doppio filo con narrazioni tossiche che esaltano lo “smascheramento della beffa”, “la menzogna del sistema”, possono infoltire la cerchia dei propri sostenitori molto più che in passato. Soprattutto in un mondo in cui si sostituiscono sempre di più i rapporti interpersonali reali da quelli virtuali e la condivisione e diffusione di informazioni è sempre meno controllata.
Abbiamo visto che il negazionismo si nutre e trae linfa vitale da quei principi delle democrazie moderne che tutelano la libertà di parola e di espressione: la diffusione del pensiero fa sì che la narrazione negazionista nasca, cresca e si rafforzi, in un contesto sociale, politico, culturale e persino psicologico sempre più pericolosamente diffidente nei confronti dell’altro e in continua e direi quasi patologica costruzione di nemici interni e/o esterni su cui scaricare odio e frustrazione sociale, economica ed esistenziale. Con queste premesse può il negazionismo essere combattuto sino alla sua sconfitta all’interno di un assetto democratico? Quali strumenti possono essere utilizzati all’interno di un regime democratico per arginare e limitare il fenomeno del negazionismo? Abbiamo già valutato come l’attivismo legislativo di un Parlamento sensibile a questo fenomeno, attraverso l’emanazione di una norma che istituisca un reato di negazionismo e quindi una pena appropriata, possa aiutare a porre dei paletti alla diffusione del fenomeno relegando la narrazione negazionista al di fuori del recinto del dibattito democratico. Ma quando un fenomeno è così radicato nella società non basta porre un veto alla sua diffusione. Come tutti i fenomeni complessi il negazionismo ha bisogno di essere fronteggiato su più direzioni, non basta una legge, come non basta qualche isolato approfondimento storiografico durante una lezione di storia, serve riacquisire la possibilità di un dibattito e confronto serio e sincero in seno alla collettività; occorrono riflessione, impegno, costanza. C’è bisogno di riappropriarci della dimensione di critica e autocritica, di instaurare o re-instaurare un approccio riflessivo con la rete e con i social. Tutto questo non dà la garanzia che il negazionismo sia debellato ma può far sì che non si propaghi e diffonda in maniera ancora più endemica e dannosa di quanto non abbia già fatto. Occorre riflettere sul fatto che è arrivato un momento in cui la necessaria libertà di espressione si scontra con la non meno necessaria protezione di alcune categorie di individui o di determinate minoranze e, ancor di più, occorre ribadire che razzismo, fascismo, negazionismo non sono esempi di libertà di espressione ma reati che implicano discriminazione e istigazione all’odio, perseguibili a livello giudiziario e penale. Sulla rete esistono troppe piattaforme appartenenti a gruppi negazionisti e come primo passo sarebbe quello di segnalare, monitorare, chiudere tali siti o pagine social, identificarne i membri ed, eventualmente, passare ad azioni legali. Come detto sopra, non sono sufficienti in sé misure punitive, se non vengono accompagnate da un lavoro educativo, culturale, sociale. Deve essere però chiaro che la libertà di opinione, tanto sbandierata quando si tratta di giustificare l’offesa nei confronti del prossimo per motivi etnici, religiosi, di genere o orientamento sessuale ecc, non può essere la comoda scusa per mascherare un reato dietro un falso paravento che lo relega e vorrebbe sminuirlo a mera opinione. Apologia del fascismo e negazionismo, odio razziale, appunto, non sono opinioni e non vanno considerati come tali. Abbiamo visto come esistano leggi che puniscono questi reati (Legge Scelba contro l’apologia al fascismo, la Legge Mancino contro l’istigazione all’odio razziale, a cui è stata aggiunta l’aggravante di negazionismo, la legge Fiano contro la propaganda, o la vendita, di immagini o contenuti propri del fascismo o del nazionalsocialismo…). Se perdiamo di vista il reale carattere di queste posizioni anti-democratiche, non assimilabile a quello di semplice “opinione” o prospettiva su aspetti della realtà, qualsiasi tentativo di contrasto, rischia di risultare vano. Sicuramente il lavoro da fare è prima di tutto di consapevolizzazione, a cominciare dalle scuole, ma deve essere anche la politica a condannare, in maniera forte, chiara, evidente, la reale sostanza di posizioni negazioniste, che è quella di ledere la comune convivenza e la dignità di alcuni esseri umani, fomentando e alimentando odio e xenofobia nei loro confronti. L’augurio, per quanto ingenuo e probabilmente fin troppo ottimistico, è che questo dato, così alto, rilevato dal rapporto Eurispes, non rimanga l’ennesimo numero infilato anonimamente in una serie di altre statistiche, ma che venga preso e affrontato come un segnale allarmante di crisi delle basi e dei principi su cui si è costruita la nostra democrazia e sulla fragilità e vulnerabilità di questa, soprattutto in tempi storici in cui l’accanimento contro, perdonate il gioco di parole, un “nemico collettivo”, svuotato di ogni ontologia e preso come categoria meramente avversativa, sembra avvalersi di una sorta di legittimità o giustificabilità di fondo, come se nel mondo della libera circolazione di idee persino l’odio verso il prossimo, considerato altro da sé, sembra impassibile di punibilità in quanto ridotto a un proprio diritto di parola, a un proprio diritto di opinione. Che quel dato risvegli una sinistra che non sembra rendersi conto della gravità delle derive estremiste che anche, come molti altri paesi occidentali, l’Italia sta prendendo. E davvero c’è bisogno di creare, per usare il termine usato dal cognitivista e neuro linguista George Lakoff, dei frame, potenti, ovvero delle cornici mentali che determinano la nostra visione del mondo e compongono quello che gli scienziati cognitivi chiamano “inconscio collettivo”7. Anche il linguaggio è una spia dei frame, perciò bisogna che la sinistra, per produrre visioni del mondo e conseguenti comportamenti sociali non ripeta, anche solo per negarlo, il linguaggio delle destre, rafforzando e rievocando i frame che quel tipo di lessico politico porta nell’immaginario collettivo, fino a determinare una visione del mondo che diventa senso comune. Occorre trovare nuove parole, nuovi concetti, narrazioni efficaci e rispecchianti una gamma di principi che dovrebbero appartenere all’identità della sinistra, capaci di resistere alle narrazioni tossiche che hanno finito per sostituirsi alla realtà e che siano in grado di contrastarle. Altrimenti quel 15% sarà destinato a crescere ancora, la memoria storica si indebolirà sempre di più, e le vittime dell’odio e della ferocia nazifascista e discriminatoria moriranno tante e tante altre volte ancora.
Immagine da www.wikipedia.org
1 J. Luther, L’Europa antinegazionista, in F. Germinaro, Il negazionismo. Un fenomeno contemporaneo, Carocci Editore, Roma 2015, p. 37.
2 Ibidem, cit.
3 Ivi, p. 13.
4 Ivi, p. 14.
5 Ibidem.
6 Ibidem.
7 G. Lakoff, Non pensare all’elefante, chiare lettere ed., Milano 2019, p.6.
Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.