A proposito di ius soli
Il testo introduttivo dello ius soli e dello ius culturae è stato approvato dalla Camera il 13 ottobre 2015 e solo in questi giorni viene discusso in Aula al Senato, dopo un totale di quattro anni di lavoro nelle Commissioni delle due Camere.
Lo schema politico ricalca in parte quanto già visto sulla legge Cirinnà: Sinistra Italiana aggiunge i propri voti a quelli della maggioranza di governo; Lega e Fd’I sono agguerritamente contrari; Forza Italia contraria con qualche dissenso; il M5S astenuto nel tentativo di non scontentare il proprio elettorato di destra e di potersi accreditare comunque come forza appetibile per la sinistra.
Il parere della Chiesa cattolica, però, è nettamente diverso: Radio Vaticana ha invitato a un “fronte comune” per approvare la nuova legge di cittadinanza. D’altra parte la confusione agitata dalle forze xenofobe, che mescolano il tema immigrazione con quello cittadinanza, ha nuovamente polarizzato un tema – quello dello ius soli per i nati in Italia – sul quale si era in passato registrato un diffuso accordo popolare.
Con il dibattito scatenato sulle recenti proposte legislative sul cosiddetto “ius soli” (che un vero ius soli, come quello vigente negli Stati Uniti, non sarebbe assolutamente) le destre hanno raggiunto un livello di mistificazione ideologica della realtà veramente impressionante. Una minestra riscaldata di stereotipi tra l’immarcescibile narrazione dei migranti come “invasori” pronti a ghermire l’occasione offerta dalla “cittadinanza regalata” e gli ammiccamenti più o meno espliciti al razzialismo biologistico dei tanti italiani nazifascisti inconsapevoli, il cui timore di una improbabile “contaminazione” dell’italianità ad opera di una altrettanto improbabile superpotenza riproduttiva degli “stranieri” ci parla più di un profondo disagio psichico che di qualunque altra cosa. D’altro canto bisognerebbe anche ricordarsi che le destre xenofobe, avvelenando i pozzi con le loro narrazioni tossiche, fanno semplicemente quello che hanno sempre fatto. Non si deve rimanere al livello della sola denuncia retorica, o dell’appello alla ragione, si deve urgentemente opporre alle fandonie xenofobe una contronarrazione efficace, prima che completino al centro e a sinistra uno sfondamento già in buona parte riuscito.
Dovremmo anche andare in profondità, ed indagare nuovamente i legami che uniscono cittadinanza e comunità politica, privazione dei diritti e privazione della cittadinanza. L’Italia è uno dei Paesi europei a richiedere più anni di residenza legale per ottenere la naturalizzazione; il problema dei minorenni nati in Italia ma non cittadini è ormai noto anche ai disinformati. I non cittadini, anche se legalmente residenti e membri attivi delle nostre comunità da anni, addirittura anche se nati e vissuti da sempre in Italia, vivono intrappolati in una condizione precaria e carente di diritti, eterni “stranieri” da trattare peggio – o, bene che vada, diversamente – dei cittadini a pieno titolo. Si accetta di buon grado che lavorino, magari “a nero” o in condizione di ricattabilità, purché non abbiano accesso alla comunità politica dei cittadini italiani, quindi purché non contino politicamente e non si facciano sentire. In fondo, quindi, coloro che vorrebbero che a questi “stranieri” che stranieri sono solo di nome venisse negata la cittadinanza ed i venditori di fumo grillini e fascioleghisti che li rappresentano, non temono che l’accesso all’uguaglianza formale di una fetta di soggetti subalterni, condizione necessaria di qualunque emancipazione. È questa la banalità del male del “padroni a casa nostra”.
Quando parliamo di diritto il più delle volte intendiamo le norme che una comunità decide di darsi in seguito a una serie di procedure democratiche fatte di dibattito, deliberazione e decisione. Purtroppo la realtà degli Stati imperialisti è molto lontana da questo idealtipo liberaldemocratico. Vi sono continenti interi confinati in condizioni di povertà e sfruttamento delle risorse dei propri territori da secoli.
Svincolarsi dal sottosviluppo per questi paesi è stato impossibile durante le fasi di crescita e sembra tanto più impossibile ora, quando l’unica strategia rimasta è utilizzare il proprio differenziale salariale per attirare le imprese che delocalizzano. La crescita demografica si unisce così a contesti di povertà cronica. L’unica strategia per chi è colpito da una tale dinamica sembra essere rimasta quella più individualistica: l’emigrazione. Lo vediamo ormai persino in Italia. Come gli Stati decidono di concedere la cittadinanza è un nodo centrale ed è impossibile che chi governa non pensi che questa è una leva fondamentale per indirizzare o meno i flussi. Gli Stati Uniti negli anni venti del grande boom avevano lo ius soli.
L’Italia, che temeva lo spopolamento mantenne lo ius sanguinis, contando di non perdere definitivamente il proprio popolo ampiamente fuoriuscito e incentivando politiche per il ripopolamento. Oggi se è evidente che l’Africa e l’Asia stiano ampiamente strabordando il vero interrogativo sta nel capire cosa faranno i paesi come il nostro in regressione demografica con una popolazione autoctona che torna a emigrare in massa. Restare allo ius sanguinis permette di mantenere un legame con chi fugge da un paese disastrato come il nostro, abbracciare lo ius soli significa salutare il popolo di fuoriusciti per abbracciare definitivamente i cambiamenti che le migrazioni internazionali stanno apportando al tessuto sociale. Ai posteri il bilancio.
Quando si parla di migranti e fenomeno migratorio la realtà passa in secondo piano. Secondo Luca Ricolfi la sinistra ha perso e si è distaccata dal popolo perché si ostina a porsi in modo sbagliato con chi subisce le conseguenze della globalizzazione, percependo il degrado delle periferie o dei centri storici, con gli autobus in cui capita di non sentire parlare la propria lingua (per fare un esempio). Negare un sentimento è forse poco sensato da parte di chi pratica una sfera dell’umano basata sul consenso, ma non ci si può rassegnare ad inseguire la totale follia logica delle destre e dei razzisti.
Prendete un bel respiro. Pensate al numero di nuove natalità del vecchio continente, poi date un occhio alle prospettive africane. Consultate i numeri dei flussi dall’altra parte del Mediterraneo, cercate di capire quanta mobilità interna rimane per adesso oltre il mare. Provate ad immaginare le cause. Aggiungeteci una breve curiosità su quanti, arrivando in Italia, desiderino effettivamente rimanere da noi. Poi provate a guardare un bimbo crescere nella nostra scuola, non avere alcun contatto con il paese da cui provengono i suoi genitori, augurandovi che un giorno torni in un posto in cui non è mai stato, magari forzatamente, senza essere reinserito in un nuovo contesto sociale, diventando di fatto apolide.
Lo ius soli nemmeno sappiamo realmente cosa sia, a livello di dibattito diffuso. Val bene un foto a favore (come ha fatto la sinistra di opposizione in Parlamento), anche se è veramente pochissimo rispetto al mare di disinformazione alimentato in quasi tutti gli ambiti. Un lavoro difficile, ma da iniziare prima o poi, anche fuori dalla categoria della solidarietà e della fratellanza.
L’approvazione dello ius soli, unita all’introduzione delle unioni civili, farebbe della Legislatura che si sta per chiudere quella più fruttuosa in tema di riforme dai tempi dei governi Andreotti di solidarietà nazionale, sotto i quali fu istituito il SSN e legalizzata l’interruzione di gravidanza.
La coincidenza della discussione parlamentare con il turno di elezioni amministrative, e comunque a non più di otto mesi dalle consultazioni politiche, vede le destre cercare di cavalcare l’umore xenofobo, confortate da alcuni buoni risultati di CasaPound. In particolare, tra questa e il M5S si è aperta una sfida per contendersi l’elettorato razzista. Da un lato Di Stefano approva la politica anti-migranti adottata dalla Raggi ma dispera della sua riuscita definendo i grillini “comunisti mancati”; dall’altro il partito di Grillo ripercorre l’itinerario del nazismo tedesco eliminando sempre più i contenuti sociali del programma a vantaggio di una visione di sciovinismo etnico.
Si capisce che l’introduzione dello ius soli sia vantaggiosa non soltanto per lo Stato, che potrà pienamente giovarsi dell’apporto lavorativo e previdenziale dei “nuovi italiani”, ma anche per i lavoratori. Con la garanzia della cittadinanza verrebbero sfoltiti i ranghi di un esercito industriale di riserva disposto ad accettare salari e tutele decisamente inferiori a quelli definiti dalla contrattazione collettiva, eliminando quindi la concorrenza lavorativa che, assieme alla criminalità, è il più diffuso timore delle classi popolari riguardo alla presenza di stranieri.
Il riconoscimento civile, da solo, non è in grado di garantire una perfetta integrazione sociale: si pensi agli stragisti di Daesh nel Regno Unito, in Francia, in Belgio, in larga parte nati e cresciuti in quei Paesi. Tuttavia, se è vero ciò che rilevano i sondaggi, cioè che i giudizi sugli stranieri conosciuti personalmente sono assai meno negativi di quelli sugli immigrati come categoria generale, allora l’estensione delle possibilità di frequentazione e interazione tra italiani “vecchi” e “nuovi” può favorire il superamento di divisioni interne alle classi deboli e quindi una maggiore spinta per la piena integrazione sociale di tutti i cittadini.
Il polverone che si è sollevato sullo ius soli mette ancora una volta in evidenza quanto il tema delle immigrazioni sia polarizzante. Ma sopratutto come sia facile strumentalizzarlo.
Non appena si entra nel merito, è difficile uscire dal vicolo cieco di una discussione che mette una enfasi ingiustificata sul pericolo del terrorismo o sulla paura ancestrale di una fantomatica “sostituzione etnica”. Lo ius soli non è per niente un assist allo jihadismo ma semmai il modo più razionale, dal punto di vista dello stato di diritto, per contrastarlo. Di fatto l’obiettivo è concedere la cittadinanza e i diritti e doveri a essa connessi a chi è di fatto già italiano, parla italiano, frequenta la scuola italiana e si sente e percepisce come italiano.
Non si tratta di una riforma rivoluzionaria, bensì di realizzare una forma di ius soli limitato ma funzionale all’integrazione dei giovani di origine straniera che sono già di fatto italiani ma senza un riconoscimento giuridico. Difficilmente con questa legge il nostro paese diventerebbe una calamita per l’immigrazione più di quanto già non lo sia ora perché di solito chi scappa da situazioni belliche, politiche, ambientali, economiche drammatiche ha mille ragioni più pressanti per arrivare in Italia. Inoltre la cittadinanza del figlio immigrato non arriva certo automaticamente, ma solo se sono soddisfatti certi requisiti fra cui il permesso di soggiorno di lunga durata da parte dei genitori che è questa una prospettiva che già di per sé spinge miglia si disperati ad attraversare il Mediterraneo su dei gommoni. Ancora più improbabile è poi voler trovare una correlazione fra terrorismo e ius soli: se uno è intenzionato a commettere un attentato terroristico, lo fa sia che sia cittadino italiano che no: è la mancanza di integrazione che porta al terrorismo, non il passaporto che si ha in tasca.
Chiaramente lo ius soli non è uno strumento perfetto e creerà sicuramente alcune distorsioni, ma in generale non può che essere accolto positivamente.
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