A distanza di pochi mesi la Commissione Europea affronta un altro confronto sui numeri e sul debito pubblico con il Governo italiano. L’ultima volta, nel corso dell’approvazione della legge di bilancio 2019, quest’ultimo dopo poco, ha deciso di cambiare i numeri della legge e sottostare ai dettami di Bruxelles. Oggi, dopo l’apertura della procedura di infrazione per deficit, si alzano le dichiarazioni tutte muscolari del Ministro dell’Interno, quelle riduttive del Ministro dell’Economia oltre a quelle del Presidente del Consiglio. Questa settimana il Dieci Mani se ne occupa, immaginando scenari, sviluppi e rischi per l’Italia.
Piergiorgio Desantis
Ancora una volta si prospetta una spirale di contrapposizioni tra UE e governo giallo-verde dalla quale non ci si può aspettare nulla di positivo per il popolo italiano (e per i futuri destini europei). Le misure messe in campo per sbloccare il declino economico appaiono ancora del tutto insufficienti, sbagliate e inadeguate (si pensi solo alla flat tax). Tuttavia, anche alla luce delle recenti elezioni europee, la Commissione conferma le politiche di contrapposizione, di restrizione e di austerity. Insomma, nulla di nuovo sotto il cielo ma nuova benzina per la trazione “sovranista” incarnata dal già vincente Salvini.
Tutto ciò sembra preludere comunque, a breve, a una resa del governo italiano per evitare sanzioni varie. Tuttavia, manca sempre un minimo di respiro politico da una parte e dall’altra della “barricata”, piuttosto sembra di essere costretti, ancora una volta, a vivere in un immenso pantano economico e sociale dove i popoli europei (soprattutto del Sud) saranno costretti a stentare per la sopravvivenza oppure a emigrare.
Alex Marsaglia
La procedura d’infrazione che si è aperta nei confronti dell’Italia è assolutamente insensata, oltre che ingiusta. È insensata da un punto di vista strettamente economico, perché comminare multe da 3 o 4 miliardi ad un Paese già in difficoltà economica solo perché adotta politiche economiche non conformi all’ideologia economica dominante, che peraltro è quella dell’austerità, è un colpo basso mirato semplicemente a stabilire le gerarchie sovranazionali come intoccabili. Insomma, i soldi possono essere spesi in multe, ma non nella ricerca di politiche economiche alternative a quelle dominanti. Inoltre è ingiusta anche dal punto di vista sociale poiché a pagare quella multa saranno ovviamente le fasce più deboli che già stentano a tirare a campare e che avrebbero bisogno di più ossigeno. Inutile anche rammentare come altri Stati dell’Unione abbiano tranquillamente potuto sforare il proprio bilancio con politiche in deficit senza incorrere in alcuna procedura di infrazione.
Siamo alla contrapposizione tra una linea di cieca austerità sostenuta dalla Commissione Europea e i tentativi del populismo europeo di ritagliarsi un nuovo spazio rilanciando politiche anticicliche. Difficilmente i leader populisti arretreranno, poiché hanno molto da perderci dall’omologazione e molto da guadagnarci dalla contrapposizione. Come ci ricorda il Wall Street Journal, Salvini guadagnerà altri consensi fino a diventare il nuovo premier finché questa cieca contrapposizione non verrà sgonfiata in qualche modo.
Jacopo Vannucchi
È davvero un peccato che Paolo Savona sia stato provvidamente traslocato alla Consob, perché sarebbe stato interessante vederlo ancora Ministro per gli Affari europei ad affrontare la procedura di infrazione per deficit eccessivo, lui che a fine settembre 2018 aveva prospettato che il debito sarebbe sceso grazie a una crescita del Pil pari al 3%. Tanto più che le risorse per sbloccare gli investimenti generatori di crescita sarebbero state attinte dai «risparmi in eccesso degli italiani […] presenti da alcuni anni nella nostra economia» (leggi qui), ossia dalle cassette di sicurezza ora nel mirino della Lega.
Siamo certi che potrebbe farne valentemente le veci il senatore leghista Bagnai, il professore associato dell’Università di Pescara che, s’immagina con l’intento di tranquillizzare tutti, ha dichiarato che in caso di uscita dall’euro «ci faremmo il caffè» (leggi qui). Anzi no, «non l’ho detto recentemente, e ho detto che in caso di uscita dall’euro […] il giorno dopo la gente andrebbe a lavorare e andrebbe al bar» (leggi qui).
Il giorno dopo? Forse sì. Già un mese dopo il caffè potrebbe essere stato sostituito dalla cicoria, e invece di andare a lavorare, o al bar, si potrebbe stare in fila fuori dai negozi. Del resto il razionamento dei consumi è ufficialmente contemplato dal Regno Unito in caso di Brexit senza accordo (vedi qui) e il Governo italiano tentò già di introdurne il principio assieme al reddito di cittadinanza (vedi qui).
Se poi si aggiunge l’introduzione dei minibot quale cattiva moneta e/o artificio contabile che graverà ancora di più sulle spalle delle classi deboli il giogo della follia sovranista, il quadro è completo.
No, non è completo: manca osservare che gli uomini al timone dell’Italia si sono trovati largamente isolati in Europa. Il M5S ha come unico alleato la pattuglia di Nigel Farage, che in Europa spera di restarci il meno possibile. La Lega ha fallito il tentativo di allearsi con forze di governo quali le destre radicali al potere in Polonia e in Ungheria. Né viene manifestata una grande capacità diplomatica, se è vero che, alle trattative per la Commissione, Roma ha chiesto gli Affari economici, la volpe (non molto volpina in questo caso) a guardia del pollaio.
In perfetto stile british, due inglesi divisi dal voto (una signora Remain, un signore Leave) così descrisse il proprio stato d’animo all’indomani del referendum: «disappointed» (lei), «interested» (lui) (vedi qui). Sembrano entrambi adeguati alla situazione presente.
Alessandro Zabban
Non può stupire la procedura d’infrazione intrapresa contro l’Italia. L’Europa ha deciso di affrontare la crisi sistemica del neoliberismo, iniziata nel 2007/2008 con una politica di riduzione del deficit dei suoi paesi membri per accrescerne la solidità finanziaria. Contro l’Italia non c’è accanimento, solo un’applicazione abbastanza rigorosa di questa politica economica che continua a dimostrarsi inefficace se è vero che gli ultimi dati mettono dei forti punti interrogativi persino sulla salute dell’economia tedesca.
Risulta dunque impossibile stare dalla parte di chi continua a dirci, dopo decenni di fallimenti del paradigma ordoliberista, che la soluzione è rendere lo stato più leggero e meno costoso. Di fronte a questa prospettiva, si presentano due scelte: rompere con Bruxelles oppure adattarsi ai suoi paradigmi cercando di ritagliarsi uno spazio di autonomia (invece almeno per ora l’idea di “cambiare l’Europa dell’interno” appare quantomeno irrealistica). Siccome il governo gialloverde, nonostante i toni battaglieri, è tutt’altro che rivoluzionario, ci si aspetterebbe da chi sbraita contro l’ingiustizia dell’austerity quantomeno una politica che prova a ridare un piccolo slancio agli investimenti e a contrastare le disuguaglianze sociali.
Del resto, nonostante i solidi paletti che mette l’Europa alla libertà di manovra dei suoi stati più indebitati, ci sarebbe qualche margine per poter ridare un po’ di respiro ai lavoratori (che sono ovviamente quelli che “hanno vissuto sopra le loro possibilità”, mentre le classi abbienti hanno continuato ad arricchirsi). In Portogallo e di recente in Spagna, si sta provando, timidamente ma con dei piccoli risultati, ad aumentare le tasse ai ricchi e aumentare i diritti sociali dei lavoratori. Niente di rivoluzionario, ma piccole cose che permettono di non rompere con Bruxelles e allo stesso modo di fare concretamente qualcosa per il popolo: accrescere la giustizia sociale andando a prendere i soldi laddove non mancano.
La politica economica del nostro governo però non sta adottando neppure questa strategia. Da una parte il reddito di cittadinanza, misura di per sé non da schifare, non sta comunque dando i risultati auspicati ed è stata finanziata tagliando istruzione e sanità, mentre ora l’idea è quella di fare una costosissima flat tax che di fatto diminuisce le tasse ai ricchi aumentando le già insostenibili disuguaglianze sociali nel nostro paese. Va bene battere i pugni sul tavolo di Bruxelles, ma se lo fai perché vuoi dare ancora più soldi ai ricchi, significa che non sei migliore dei tuoi aguzzini. Senza una sinistra di classe forte e con le idee chiare continueremo a trovarci fra l’incudine dell’Europa e il martello di questo scellerati “sovranisti”.
Immagine di European Parliament da www.flickr.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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