Come da tradizione, anche quest’anno il Teatro Romano di Fiesole ha ospitato la 53a edizione del Premio “Maestri Del Cinema”. La prestigiosa onorificenza è stata conferita dal Comune di Fiesole in collaborazione con il Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani Gruppo Toscano e la Fondazione Sistema Toscana.
Dal 1966 sono intervenuti tra i più grandi registi e attori del cinema internazionale: solo per fare alcuni nomi da Fiesole sono passati Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Michelangelo Antonioni, Orson Welles, Alfred Hitchcock, Stanley Kubrick, Mario Monicelli, Stefania Sandrelli, Dario Argento, Giuseppe Tornatore, Terry Gilliam, Toni Servillo, Spike Lee, Bernardo Bertolucci, Nanni Moretti, Marco Bellocchio, Robert Altman, Ken Loach, Giuseppe Tornatore e Vittorio Storaro. L’elenco completo dei vincitori è sul sito del Comune di Fiesole, a cui bisogna aggiungere l’edizione 2018 con la partecipazione di Robert Guédiguian.
Quest’anno però il prescelto è stato l’ultimo regista italiano che ha vinto il premio Oscar: Paolo Sorrentino. Ovviamente non potevo mancare a un incontro così stimolante. Ho avuto già modo di conoscere il regista napoletano 6 anni fa, ma stavolta il contesto è diverso. Arrivo con un discreto anticipo. È sabato, l’ingresso è gratuito. Trovare parcheggio a Fiesole è ai limiti dell’impossibile. Per fortuna riesco nell’impresa in tempi abbastanza rapidi. Alle 18,30 il Teatro Romano di Fiesole è stracolmo di gente di ogni età.
Dieci minuti dopo, i protagonisti entrano in scena. In sottofondo ci sono le musiche dei film di Sorrentino. Qualche signora in là con l’età abbozza anche qualche movimento d’anca e di braccia al ritmo del (penoso) remix in versione tunz tunz di “A far l’amore comincia tu” di Raffaella Carrà.
Iniziano le presentazioni di rito del Sindacato dei Critici, della Fondazione Sistema Toscana. Gabriele Rizza, direttore artistico del Premio Fiesole, presenta l’edizione di quest’anno. Poi arriva il turno dell’appena rieletta sindaca di Fiesole, Anna Ravoni, che incappa subito in una gaffe chiamando Elena Maria l’attrice Elena Sofia Ricci. Per tutta la sera verrà crocifissa in sala mensa come Fantozzi con la solita battutina che per tutta la sera resterà un tormentone. Inizia la conferenza stampa. Paolo Sorrentino e l’attrice Elena Sofia Ricci (fiorentina di nascita), ottima Veronica Lario in “Loro”, vengono tirati in ballo.
La prima domanda è francamente irritante, visto che viene fatta da un critico di professione. A Sorrentino non piace parlare tanto per parlare. E così la prima domanda spazia dalle noiose ricette di cucina (come il vescovo de “La grande bellezza” di Roberto Herlitzka) fino a gossip calcistici. A Sorrentino viene chiesto cosa pensa di Sarri. Per chi non sa di cosa stiamo parlando, l’allenatore toscano ex Napoli è passato ai rivali della Juventus. Il regista è tifoso del Napoli. La risposta è stata fine ed elegante: parlare è noioso, preferisco il calcio giocato a quello parlato. E le ricette di cucina sono noiose, così come la verità (ricordate Le conseguenze dell’amore?). Sorrentino 1 – Critici 0.
Il raddoppio avviene pochi minuti dopo quando il regista ironizza su un critico dicendo che loro parlano tanto perché nei giornali hanno poco spazio (lo deve saper bene visto che la moglie è la giornalista di “Repubblica”, Daniela D’Antonio). Il pubblico aveva chiesto all’interlocutore di stringere con l’intervento. La cosa non è sempre un bene. Oggi c’è una profonda incapacità della gente di ascoltare e una velocità eccessiva di giudizio immediato. Indice di scarso approfondimento. Sorrentino se la ride, sa che il pubblico è dalla sua parte. Ma torniamo a noi.
Si parte da un tema difficile come appunto quella della noia per entrare in argomenti di conversazione molto interessanti. Pertanto “i film sono belli quando si occupano del falso. La verità, usata come tendenza ossessiva, è pericolosa nel cinema. Si raggiunge perseguendo la coerenza”. Applausi, è proprio così. Nella vita come nella finzione. Ma il piatto forte sta per arrivare. Sorrentino per fare un esempio sceglie un personaggio piuttosto ambiguo: Giulio Andreotti. Quando gli fecero vedere in anteprima “Il Divo”, il politico disse che la parte pubblica era completamente inventata mentre quella privata era rappresentata benissimo.
Il Sorrentino sceneggiatore ha rivelato che invece per lui era l’esatto contrario. “Quindi penso che la verità nel cinema sia una questione di percezione. Infatti il film nacque da un piccolo dettaglio: Andreotti mi rivelò che si ricordava l’esatto importo dell’ultima bolletta della corrente elettrica”. Sorrentino, in maniera geniale, ha omaggiato tale chiacchiera nella scena in cui Servillo/Andreotti accende e spegne la luce in continuazione. Una doppia valenza che spazia alle luci/ombre del personaggio che non sono poche, visti i tantissimi segreti che Andreotti si è portato nella tomba. La risposta però non si è fatta attendere. Il figlio di Andreotti sul “Messaggero” ha risposto al regista napoletano definendo il suo film “una mascalzonata” (). Ciò testimonia sicuramente il buon lavoro del regista.
Poi il dibattito si accende. Sostituzione: esce il Sorrentino regista ed entra il suo doppio, lo sceneggiatore. Definisce il suo stile pseudoromanzesco (il suo maestro è Antonio Capuano). Non ama il didascalismo. Infatti i suoi script sono spesso ricchi di descrizioni, di abbellimenti, di situazioni paradossali come nei romanzi. Il suo immaginario gli ha permesso di raccontare l’animo umano con grande dovizia di particolari e di stati d’animo. Classico esempio è l’opera letteraria “Hanno tutti ragione”.
Poi il critico Claudio Carabba fa un intervento molto interessante: nonostante l’acuta ironia della scuola napoletana (stile Troisi), i personaggi di Sorrentino spesso sono soli e pessimisti. Tutti: da Tony Pisapia (L’uomo in più) a Titta De Girolamo (Le conseguenze dell’amore), da Giulio Andreotti (Il Divo) a Cheyenne (This must be the place), da Jep Gambardella (La grande bellezza) ai due anziani Fred e Mick (Youth – La giovinezza) fino al Berlusconi di “Loro”. Senza dimenticare Lenny Belardo di Young Pope e Tony Pagoda del libro “Hanno tutti ragione”.
Sorrentino ha un po’ glissato sulla riflessione ironizzando che anche a lui la cosa non è chiara. Poi ha spiegato il perché: nella vulnerabilità i personaggi spesso tirano fuori il meglio di sé mostrando le proprie contraddizioni, i loro pregi e i loro difetti. In effetti se analizziamo i suoi film, l’accensione del vulcano di Berlusconi in “Loro” e il Cheyenne truccato di “This must be the place” rappresentano il lato infantile dei personaggi. A Sorrentino interesserebbe far ridere, ma è molto difficile farlo percepire. Sono d’accordo con lui quando dice che “nella risata si possono trovare elementi di ossessione e di dramma”.
Prima dell’intervento di Elena Sofia Ricci, Sorrentino omaggia prima Mattia Torre e poi Luciano De Crescenzo. Il primo è stato uno sceneggiatore, morto da pochi giorni a soli 47 anni. Ricordate il bel cameo di “Boris il film”? Il secondo, napoletano, ha definito per Sorrentino “la stravaganza dell’essere umano”. Gli applausi sono meritati. In effetti il ricordo di questi due personaggi è sicuramente onorevole e giusto.
Il regista/sceneggiatore finisce un attimo in disparte. Viene coinvolta l’attrice Elena Sofia Ricci. Fiorentina di nascita, ma residente a Roma per lavoro. “Ho lavorato con Monicelli, Sordi ma Loro è stato fondamentale per la mia carriera da professionista”. Il provino per ottenere la parte è costato quasi 3 mesi di preparazione. La scena da fare era quella del litigio con il marito Berlusconi (Servillo). La Ricci ha raccontato che ha provato la scena a casa con il marito. Si era talmente ossessionata che la domestica credeva che i due coniugi si stessero separando. Ha raccontato di essersi affidata alla sceneggiatura del film, oltre alla biografia dell’ex moglie di Berlusconi a cura di Maria Latella, per entrare nella parte. Una volta l’ha trovata in albergo e l’ha vista sola, discreta e gentile. Ha cercato di riprodurre Veronica come l’ha vista senza fare caricature del personaggio. L’interpretazione in effetti è molto curata. Sia lei sia Servillo hanno lavorato benissimo, con grande sintonia. Ho avuto modo di parlare con Elena Sofia Ricci e mi ha assicurato che la sceneggiatura era molto precisa. Sorrentino voleva rendere l’idea che l’ex moglie di Berlusconi fosse l’unico appiglio di un’opposizione incapace, in realtà, di contrastarlo veramente. Cosa che nel film è stata espressa in maniera ottima.
Applausi. Prima delle imbarazzanti domande del pubblico (c’è perfino chi prende il microfono per dire che le sedie del cinema agli Uffizi sono scomode), Sorrentino ha rivelato il suo ultimo progetto a cui presto lavorerà: la seconda stagione di Young Pope, intitolata “The New Pope”. Nel cast John Malkovich, Sharon Stone, Silvio Orlando e Jude Law. Ha raccontato che la Tv ha una narrazione più libera, mentre il cinema ha tempi più stretti. Sorrentino parla soprattutto da sceneggiatore. Spesso taglia circa metà di quanto ha prodotto a livello di scrittura. Tuttavia il regista ha sottolineato che oggi manca una figura professionale: il critico televisivo. Che non è quello di talk show e reality, ma colui che “guida” il pubblico nella scelta della qualità delle serie tv.
Francamente però, a livello personale, non sono affatto d’accordo sul fatto che la qualità televisiva sia la stessa di quella del cinema. Primo perché la televisione parla a un pubblico diverso e poi perché le serie tendono ad allungare troppo il brodo, finendo spesso per annacquare la qualità. Il problema è che il cinema si è dovuto adattare a una moda e si è snaturato. A ciò bisogna aggiungere che l’originalità delle idee è piuttosto bassa e la Disney ha (quasi) il monopolio con oltre il 35% del mercato cinematografico. Un esempio tipico è l’ultima trilogia di Star Wars: è stata bersaglio di critiche perché ha una scrittura da serie tv e non da cinema come la saga originale di Lucas. Solo Netflix può, al momento, provare a contrastarla, ma anche il colosso dello streaming punto quasi tutto su sceneggiati televisivi.
Ma torniamo all’incontro con Sorrentino. L’ultima domanda del pubblico, prima del buffet, è molto interessante. La spettatrice nota che i personaggi delle sue opere hanno nomi stravaganti: Jep Gambardella, Lenny Belardo, Cheyenne, Tony Pagoda. Sorrentino ha raccontato che sono alter ego di personaggi reali che lui conosce. In particolar modo quest’ultimo, il protagonista del suo libro “Hanno tutti ragione”, è l’alter ego di un parente. Un giorno disse al regista/scrittore che quando faceva sesso con sua moglie gli piaceva la posizione “a pagoda”. La gente ride perché nessuno capisce cosa possa essere. Perfino il regista ignora la cosa. Da lì Sorrentino ha attinto per creare l’alter ego su carta.
Infine ecco che l’imitazione di Crozza esce fuori in tutta la sua potenza. Una spettatrice chiede al regista il perché delle giraffe. Come nel clone del comico genovese, Sorrentino inizia a parlare dell’uso degli animali nel suo cinema. Il motivo si riconduce al fatto che a lui e al co-sceneggiatore Umberto Contarello è sempre sembrato divertente usare le bestie come deterrente di narrazione. Nessun altro regista italiano poteva descrivere il berlusconismo come un condizionatore e l’italiano medio, naturalmente, come una pecora collassante (l’inizio del film “Loro”). All’epoca dei primi film, ha raccontato il regista napoletano, il co-sceneggiatore Umberto Contarello aveva nel cassetto uno script dove un cane rabbioso difendeva il suo padrone, nascosto dietro una tenda, dalla moglie dopo una delle tante scappatelle extraconiugali. Da allora questo stratagemma è stato utilizzato in diverse pellicole.
L’incontro termina qui. Si va al buffet. Ne approfitto per comprare il libro “Vero, falso, reale: Il cinema di Paolo Sorrentino” (molto bello e ben curato). Il regista è in astinenza da sigaro e si gode un attimo di relax. Riesco fra una selva di telefoni e taccuini a farmi autografare il manoscritto. Riesco perfino a parlare con il regista de “Le conseguenze dell’amore”. Gli faccio notare che secondo me è il suo film migliore, in cui la sua idea di cinema viene fuori in tutta la sua forza. Il regista gradisce ed ammette, ringraziandomi, che è l’opera a cui è più affezionato. All’epoca, mentre stava girando il film a Treviso, stava nascendo il suo secondo figlio Carlo. ” È un’opera molto sentita. Il personaggio di Titta De Girolamo è basata sull’osservazione di uno strambo personaggio che ho incontrato in un hotel in Brasile. Stava sempre in albergo vicino a una finestra ad attendere e a osservare il mondo esterno non comunicando con nessuno. Da sceneggiatore ho usato la mia osservazione per renderlo interessante da un punto di vista cinematografico”- mi ha detto. Intanto ai tavoli del buffet sembra di assistere ai festini de “La grande bellezza”. Gente di ogni età approfitta del “capannello” intorno al regista premio Oscar per riempirsi i piatti e per abbuffarsi. C’è addirittura chi divide il cibo con il proprio animale domestico. Ma sì! Tanto è gratis. I vassoi sono vuoti dopo circa 10 minuti.
Ne approfitto per parlare con Elena Sofia Ricci. Dopo averle fatto i complimenti per l’interpretazione di Veronica Lario, ci mettiamo a conversare del film come se ci conoscessimo. Francamente mi ha aperto gli occhi su dei piccoli particolari che non ricordavo (considerate che “Loro” non è ancora uscito in dvd dopo quasi due anni e non l’ho ancora rivisto). In particolar modo sulla splendida scena tra Berlusconi e il nipote che discutono della cacca dei cani. Un’allegoria perfetta per comprendere l’Italia all’epoca del berlusconismo.
Sono le 21.20 circa. È il momento più atteso, quella della premiazione. Sul palco del Teatro Romano, Elena Sofia Ricci premia Paolo Sorrentino (potete vedere un estratto qui). Vengono lette le motivazioni del “Premio Maestri del Cinema 2019”. Rizza le legge al pubblico: “Incalzante, spiazzante, traboccante, perturbante, inquietante. Metafisico, barocco. Dirompente. Il cinema di Paolo Sorrentino – ha spiegato Rizza – emerge dalle fratture dell’Io contemporaneo e si immerge nel fondale della dispersione mimetica. Con elaborato cinismo e pulsante emozione. Speleologo dell’interiorità, esploratore di territori in bilico fra anatomie periodiche e derive sociali, Paolo Sorrentino sviluppa un itinerario poetico (coerente e personalissimo) che solca di pari passo, intimamente, la coscienza dell’individuo e, pubblicamente, l’humus culturale di cui essa è insieme figlia, erede e vittima. Il Premio Fiesole ai Maestri del Cinema 2019 incorona Paolo Sorrentino, sceneggiatore, scrittore, filmaker, regista, scuola partenopea, classe 1970, Oscar da Grande bellezza, habituée di Cannes, corpo, sguardo e silenzio, impresso nei movimenti di macchina, campi e inciampi, di Toni Servillo, attore feticcio e dedalo di visioni. Una rilettura del suo cinema che riconduce alle origini di una visionarietà estrema, che guarda sempre più verso l’alto, verso il divino: “Ma quando parlo di Dio, parlo della fatica di stare al mondo”.
Il sindaco di Fiesole annuncia che per i prossimi 5 anni ci saranno altrettante edizioni al Teatro Romano. Sono le 21.45 ed inizia la proiezione de “La grande bellezza” dopo lunghi applausi.
Immagine di copertina di Tommaso Alvisi
“E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa”
Cit.