Domenica 11 luglio sono iniziate a Cuba quelle che appaiono come le più importanti manifestazioni antigovernative degli ultimi anni. I dimostranti protestano principalmente per la difficile situazione economica dell’isola, aggravatasi con la pandemia. Al loro fianco, i governi occidentali che spingono da tempo per un regime change nell’isola. Dall’altra parte della barricata ci sono i numerosi sostenitori del governo socialista, scesi in piazza per difendere i successi di un modello che, nonostante il bloqueo, garantisce istruzione e sanità di assoluta qualità e degli standard di vita indubbiamente superiori a quelli della maggior parte degli altri paesi caraibici.
Piergiorgio Desantis
La campagna di discredito e i vari tentativi di abbattimento del governo di Cuba vanno avanti (e non è certo la prima volta). Di certo la crisi economica che affligge l’isola non è una novità ma, oggi, causa covid è più grave anche a causa della drastica riduzione del turismo, vera fonte di approvvigionamento economico. Le difficoltà, l’assenza di sviluppo, nonostante vari tentativi di riforme provate da un gruppo dirigente nuovo, non fanno venire meno le ragioni di un appoggio sincero a ciò che è stato sempre un faro nell’America latina e nel mondo, ovvero Cuba.
Jacopo Vannucchi
Su Cuba uno potrebbe cavarsela citando le parole di Sandro Pertini sui tumulti in Ungheria nel 1956: se si è realmente socialisti bisogna stare con la classe operaia non solo nei giorni di sole, ma anche nei giorni di pioggia.Eppure conviene prendere le mosse da un singolare tweet del libertario statunitense Spike Cohen, che contesta l’embargo da una prospettiva di ritiro assoluto dello Stato dalla sfera del commercio. In consonanza con i tanti medio-progressisti che attribuiscono all’embargo un’involontaria ma efficace funzione di legittimazione del governo (pardon, regime) cubano, Cohen argomenta che, se veramente il bloqueo è la radice dei mali di Cuba, ne consegue che l’accesso al libero mercato migliora le condizioni economiche e che il comunismo (sic) può funzionare solo se ha accesso a economie non comuniste.
Mostrare la fallacia di questi ragionamenti è utile anche a fini generali per inquadrare, sia pur brevemente, il socialismo in una dimensione globale.In primis, chiedendo la rimozione dell’embargo Cuba non chiede l’accesso al libero mercato: ad essere repressa dall’embargo non è la libertà del mercato (le cui redini continuerebbero, fortunatamente, ad essere tenute dal governo cubano) bensì l’equità del mercato: un’isola di undici milioni di abitanti ha sviluppato due vaccini anti-Covid e fornito aiuto sanitario estero, anche all’Italia, ma non ha siringhe a sufficienza per vaccinare la sua popolazione.In secondo luogo, che le economie socialiste possano funzionare al meglio solo se in rapporti con economie capitaliste è una constatazione pacifica che deriva dall’osservazione delle diverse sorti dell’URSS e della Cina. Del resto nessuno pare sgomentarsi per il fatto che le economie capitaliste più avanzate tendano ad avere buoni numeri quando hanno rapporti con economie sottosviluppate tenute in stato di sfruttamento coloniale delle risorse e/o della forza-lavoro.
Un’ultima parola per i tanti gonzi che, anche a sinistra (?), contestano il carattere “dittatoriale” di Cuba, magari accomunandola all’Ungheria: è davvero patetico aderire nel 2021, nel pieno della più grave crisi capitalistica dell’ultimo secolo, alle semplicistiche e ideologiche tesi del 1989 sull’approdo universale al capitalismo liberale quale «fine della storia».
Alessandro Zabban
Difendere Cuba socialista di fronte ai tentativi di destabilizzazione in corso è una questione di civiltà. La differente scala delle manifestazioni dovrebbe far riflettere. Se i gruppi che stanno seminando il caos sembrano godere di un tiepido appoggio popolare, dall’altra parte abbiamo oceaniche manifestazioni a sostegno del governo. Come in Venezuela, la visibilità dei media è tutta per dei piccoli movimenti, sedicenti democratici, spesso finanziati da paesi stranieri, che puntano a seminare il caos per cercare una sponda politica in occidente e che hanno come obiettivo finale quello di rovesciare il governo, a prescindere da come la pensi il popolo.
Si tratta di un classico schema dell’imperialismo che abbiamo già visto in azione molte volte nell’America Latina, non solo in Venezuela, ma recentemente anche in Bolivia, dove gruppi di estremisti di destra che i nostri media hanno descritto come democratici A fiasi sono dati alle violenze dando all’esercito il pretesto per rimuovere il presidente socialista Morales. Il governo ad interim, espressione di quella “protesta”, ha dato impeto ad una terribile campagna di persecuzioni contro militanti e dirigenti della sinistra, picchiando, silenziando e intimidendo chiunque la pensasse diversamente.
Credere alla favola dei gruppi democratici spontanei è un grave errore, perpetuare continuamente questa menzogna è criminale. Libertà e democrazia sono solo elementi propagandistici usati per nascondere i veri interessi, che sono sempre quelli di rovesciare qualsiasi esperienza politica non sia conferme al capitalismo di matrice occidentale.
Immagine da commons.wikimedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.