A che punto sono gli
scioperi nelle università inglesi?
Degli scioperi nelle
università inglesi avevamo già parlato l’anno scorso. La vertenza
è ancora aperta, ed il 3 febbraio l’UCU (University and
College Union) ha proclamato ulteriori 14 giornate di sciopero
nei mesi di febbraio e marzo di quest’anno: gli scioperi
cominceranno il 20 di febbraio e termineranno con una settimana di
fermo dal 9 al 13 di marzo; agli scioperi si aggiungeranno altre
azioni di contrasto, come il blocco degli straordinari, e quindi
l’indisponibilità a modificare i propri turni per coprire i
colleghi assenti.
I temi al centro del conflitto sono tre: la
sostenibilità del nuovo sistema di calcolo dei contributi
pensionistici (che aveva caratterizzato anche gli scioperi degli
ultimi due anni), il peggioramento dei livelli salariali e la
crescita della numerosità dei contratti precari.
Secondo
stime dell’UCU, il salario in termini reali del personale
universitario è calato del 20%, mentre è aumentato il numero di
contratti precari ed il carico di lavoro (UCU stima che 7 ricercatori
su 10 lavorino con contratti a tempo determinato o in condizioni
ancora peggiori, ad esempio con contratti pagati a ore).
Gli scioperi colpiranno 74 università (in cui si è già concluso con voto positivo il referendum per aderire alla vertenza); oltre un milione di studenti saranno colpiti dal blocco delle lezioni, e probabilmente molti di loro chiederanno alle università a cui sono iscritti una compensazione per il danno subito. Alcuni sindacati studenteschi hanno paventato il rischio che gli studenti delle università più colpite dagli scioperi possano perdere la possibilità di laurearsi quest’anno.
In un sistema diventato costosissimo
negli ultimi anni il tema delle rette è centrale per gli
studenti: come negli Stati Uniti, una parte importante dei prestiti
contratti per pagare i costi dell’università si prevede non
saranno mai ripagati. Il tetto massimo delle rette universitarie è
salito da 3.500 sterline nel 2012 fino a 9.250 sterline nel 2018, e
quasi tutte le università chiedono oramai il massimo consentito
dalla legge; negli anni si è però anche alzato il limite di
esenzione per la restituzione del debito, che è legato al reddito
percepito con il lavoro successivo alla laurea.
Nel 2018 il
debito medio per studente per una carriera universitaria era stimato
in circa 50.000 sterline, il doppio della stima del 2011; date queste
condizioni, l’IFS stima che oltre l’80% dei laureati saranno
esentati da ripagare in tutto o in parte il debito, scaricando parte
di questi costi sullo stato.
Mentre peggiorano le condizioni di
lavoro e aumentano i costi per gli studenti, le università
spendono cifre sempre più alte in marketing, in investimenti
immobiliari e negli stipendi per il top management.
In
queste condizioni, il sistema va verso il collasso: oramai circa un
quarto delle università inglesi sono in deficit, e siccome gli
istituti hanno bisogno di attrarre sempre più studenti-clienti,
rendono sempre più semplice conseguire la laurea con i voti più
alti per aumentare il proprio rating, di fatto svalutandone il
valore reale.
Immagine di Alarichall (dettaglio) da Wikimedia Commons
Delegato sindacale CGIL dal primo contratto di lavoro, rimasto tale anche durante i periodi di precariato a vario titolo, alla faccia di chi dice che il sindacato non è per giovani e per precari. Ora funzionario sindacale per la FLC CGIL. Sono stato in minoranza di qualsiasi cosa durante tutta la mia storia politica.