Che aspetto ha un classicista? A porre questa domanda al di fuori dall’ambiente accademico, e chiedere a una persona qualunque che non lavori nell’ambito dell’antichista di tratteggiare un ritratto plausibile della persona che si materializza nella sua mente quando sente la parola “classicista”, ci si può aspettare con certezza quasi assoluta un identikit basato su stereotipi in circolazione da almeno duecento anni.
Nella mentalità condivisa il classicista è quasi sempre maschio, è bianco, probabilmente europeo, si veste in maniera conservativa con completi giacca e cravatta, porta gli occhiali, ha studiato greco e latino al liceo, e passa gran parte del suo tempo a scartabellare volumi polverosi, godendo di una situazione privilegiata in cui può studiare un campo quasi completamente disconnesso dai problemi della realtà quotidiana. In sintesi, il classicista che tutti noi più o meno inconsapevolmente immaginiamo è un uomo bianco di mezz’età con una posizione economica solida, che studia una disciplina priva di qualsiasi ripercussione sulla società contemporanea.
È un’immagine tanto diffusa quanto problematica, e problematica per almeno due buoni motivi. Il primo motivo è che questa immagine contribuisce ad alimentare l’idea, o quantomeno il sospetto, che l’antichistica, e particolarmente lo studio delle lettere classiche, sia inutile: abbiamo assistito in Italia a interminabili dibattiti sull’opportunità o meno di rimuovere dalle scuole superiori lo studio del latino e del greco, ritenuti una perdita di tempo che non contribuisce nulla di utile allo sviluppo professionale dello studente. Al netto del fatto che una visione della scuola come unicamente finalizzata a costruire abilità commercializzabili è perlomeno preoccupante, questa visione delle lettere classiche è assolutamente limitata; ma l’idea che l’antichistica sia una sorta di torre d’avorio sulla quale stanno asserragliati studiosi privilegiati che vivono completamente fuori dal mondo reale è uno dei motori dietro la sua diffusione.
Il secondo motivo è che questo stereotipo di chi si occupa di antichistica finisce per tagliare fuori, più o meno consapevolmente, tutta una serie di altre persone che potrebbero avere un interesse e un’attitudine per la materia, ma che non si riconoscono nell’immagine della persona legittimata a occuparsi di classici. È un fenomeno diffuso e ben noto, ad esempio, che nelle università, anche in paesi come il Regno Unito o la Francia che vantano una grande varietà etnica nei loro corpi studenteschi, l’antichistica rimanga una materia decisamente “bianca”; lo stereotipo fa sì che lo studente di colore che ha propensione per gli studi classici si trovi di fronte a un ambiente in cui nessuno gli somiglia, in cui persone con la sua stessa estrazione non sono mai state portate ad esempio di eccellenza accademica, e questo costituisce un deterrente che dissuade persone che potrebbero a loro volta diventare studiosi eccellenti dal tentare di inserirsi in un ambiente che sottilmente suggerisce di non essere un posto adatto a persone come loro.
Non si tratta, chiaramente, soltanto di un discorso legato all’etnia; un altro enorme fattore in questo genere di considerazioni è quello di classe. Se l’antichistica viene presentata come scollegata dal mondo reale, se viene suggerito che il solo percorso professionale disponibile per l’antichista è quello della ricerca accademica, cui è notoriamente difficile accedere e che comporta l’accettazione di un lungo periodo di precariato, diventa chiaro che quei giovani studiosi le cui circostanze economiche non sono in partenza particolarmente solide non si sentiranno pronti a correre il rischio in primo luogo.
La presentazione dell’antichistica come un circolo di eletti appartenenti alle classi alte – non a caso alla disciplina si collega nell’immaginario collettivo il nome di poli accademici come Oxford, la destinazione stereotipica degli studenti di buona famiglia – non incentiva gli studenti dotati appartenenti a ceti meno abbienti a tentare quella strada. In questo modo, lo stereotipo del classicista bianco, europeo, benestante perpetua se stesso: non tagliando consapevolmente la strada a chi non somiglia a quell’immagine, forse, ma creando un ambiente ostile che spinge quelle persone a non tentare neppure il primo approccio.
È importante discutere di questo problema, perché l’antichistica esercita un’influenza sulla mentalità contemporanea molto più grande di quanto verrebbe da pensare sulle prime. Viviamo in un momento storico in cui le destre estreme stanno costruendo un impianto ideologico quasi interamente imperniato su una presunta difesa della cultura occidentale, qualsiasi cosa questa vaga definizione voglia dire; e le destre estreme storicamente hanno sempre amato ricercare le radici del loro concetto di cultura occidentale nell’antichità classica. Che si tratti del militarismo romano o della democrazia ateniese, le culture antiche sono sempre state portate in questi contesti ad esempio della presunta superiorità e antichità di una cultura europea bianca che, nei termini in cui questi gruppi politici amano immaginarla, non è in realtà mai realmente esistita.
Si tratta di una prospettiva che supporta, e addirittura incoraggia, la sopravvivenza dello stereotipo del classicista bianco vestito di tweed. Se l’antichistica rappresenta lo studio della prima espressione di una cultura collettiva europea che si distingue per il suo essere bianca e uniforme, allora è naturale che il raggio d’azione di studiosi provenienti da etnie o culture diverse diventi estremamente limitato. Visto l’attaccamento dei gruppi di estrema destra alla loro immagine mentale del mondo antico, qualsiasi studio che contribuisca a scardinare quell’immagine può avere un enorme impatto benefico sul discorso politico contemporaneo.
Non è un caso, ad esempio, che un’enorme ostilità sia stata sollevata contro un programma educativo BBC che, parlando della Britannia romana, mostrava la presenza in quella provincia di romani neri. Eppure sappiamo ora, non solo attraverso raffigurazioni artistiche ma anche attraverso progressi nello studio dei resti umani che hanno permesso di rintracciare con sempre maggiore certezza le origini geografiche di singoli individui sepolti nei cimiteri romani, che l’Impero Romano era dal punto di vista etnico estremamente vario, e che individui provenienti dalle provincie più disparate non di rado viaggiavano e si stabilivano negli angoli più distanti dell’impero. L’immagine di un esercito romano uniforme e indubitabilmente bianco è stata da tempo accantonata con la comprensione sempre maggiore dell’importanza, ad esempio, degli ausiliari, le cui iscrizioni funerarie, ritrovate ai margini dell’Impero, hanno mostrato la presenza di arcieri siriani in Britannia o soldati cretesi in Germania.
Di fronte a un’immagine sempre più accurata di un mondo antico etnicamente variegato, non è sorprendente che sempre più giovani studenti con origini ed estrazioni di classe differenti si scoprano interessati a studiare questi aspetti della storia classica, e contribuire a restituirne un’immagine più corretta. Eppure la porta rimane per gran parte chiusa; o, se non serrata, talmente pesante che nella maggior parte dei casi è particolarmente difficile aprirla.
Non producendo brevetti o altre applicazioni immediatamente commercializzabili, il mondo dell’antichistica non gode della stessa quantità di borse di studio e supporti finanziari che si possono trovare nell’ingegneria o nelle scienze pure; questo contribuisce a mantenerlo sostanzialmente elitista. Molti studenti che non appartengono alla classe sociale che tendenzialmente produce classicisti si trovano di fronte alla necessità di un investimento economico importante in tasse accademiche, materiali di studio, talvolta viaggi o campagne di scavo i cui costi non sono coperti, senza la garanzia che questo investimento si risolva in un impiego professionale fruttuoso; per quelli che, arrivati al livello dottorale, cercano di avviare una carriera accademica, si aggiunge la necessità di partecipare a conferenze e convegni, spesso a proprie spese. L’onere economico è troppo spesso troppo grande perché giovani studiosi non appartenenti al solito circolo per cui l’antichistica è un lusso possibile, se non uno status symbol, possano sostenerlo senza aiuti esterni.
Una coscienza collettiva di questo problema sta, questo è vero, crescendo; e ci sono associazioni che stanno iniziando a lavorare nel tentativo di offrire una soluzione sia pure parziale. Tra le più notevoli va menzionata The Sportula, un gruppo di studenti dottorali e giovani studiosi in antichistica che ha deciso di lavorare insieme per creare una rete che fornisca microgrants – piccole somme di denaro necessarie a comprare un libro, o ad andare a una conferenza, o in generale a tamponare tutti i problemi finanziari in un ambito in cui troppo spesso il supporto manca – a studenti di antichistica provenienti da background meno convenzionali. Le microgrants di The Sportula si aggirano su cifre che vanno dai cinque ai trecento dollari, e i beneficiari sono spesso studenti appartenenti a minoranze etniche, che possono trarre benefici notevoli da un supporto sia pure piccolo in un ambiente accademico spesso ostile nei loro confronti.
L’ostilità, tuttavia, non si risolve col solo supporto
finanziario; una discussione più vasta su elitarismo, classismo, e mancanza di
varietà etnica nell’antichistica è necessaria, ed è stata attesa fin troppo a
lungo. Numerosi segnali recenti ne dimostrano l’urgenza.
Alla recente conferenza congiunta della Society of Classical Studies e
dell’Archaeological Institue of America, tenutasi a San Diego, California – una
delle più importanti conferenze internazionali per l’antichistica, e un luogo
importante di promozione per gli studiosi giovani o a inizio carriera – proprio
le rappresentanti di The Sportula,
due studiose di colore, invitate alla conferenza per ricevere un’onorificenza per
il loro lavoro in supporto degli studenti, sono state soggette a
un’esaminazione da parte della security, che richiedeva di verificare il loro
diritto a trovarsi nei locali della conferenza; un incidente evidentemente
dettato da un profiling razziale, dato che, come notato da molti degli
astanti, nessuno degli studiosi bianchi presenti, pur privi di tesserino, è
stato soggetto allo stesso genere di verifiche.
Alla stessa conferenza, la presentazione del Prof. Dan-El Padilla Peralta, uno
studioso di colore di Princeton, è stata il teatro di un attacco diretto da
parte di una studiosa che ha accusato il relatore di aver ottenuto il suo
lavoro unicamente sulla base della sua identità etnica.
Uno studio recente basato sulle pubblicazioni accademiche proposte nelle tre maggiori riviste di antichistica in America ha dimostrato che oltre 90% degli autori erano bianchi; due delle maggiori riviste di antichistica nel Regno Unito hanno pubblicato solamente autori bianchi nell’ultimo anno – a dispetto del fatto che queste percentuali non riflettano la reale composizione etnica del corpo degli studiosi in queste materie.
La riscoperta della varietà etnica del mondo antico, particolarmente ma non unicamente dell’Impero Romano, e l’apertura degli studi antichistici a giovani studiosi che provengono da background etnici o di classe non tipicamente associati a questi studi, vanno a braccetto; l’una agevola l’altra, e l’ambito dell’antichistica non può che trarre beneficio da entrambe. Ma bisogna in primo luogo rendersi conto delle resistenze che esistono, in maniera talvolta preponderante, in questo ambito, e agire materialmente per smantellare quelle resistenze e gli stereotipi che li sostengono.
Quando ci viene chiesto di immaginare un classicista, cerchiamo di fare l’esercizio mentale di immaginare qualcuno di diverso da un oxoniense senza volto uscito da un romanzo vittoriano, o una macchietta di archeologo con un elmetto coloniale. Il vero volto delle società classiche era molto meno monocromatico di quanto troppo spesso lo immaginiamo; è arrivato il momento di far sì che anche il volto di chi le studia sia tanto vario quanto merita di essere.
Immagine di Lalupa (dettaglio) liberamente ripresa da commons.wikimedia.org
Nata in Sicilia, ha studiato a Roma e Pisa e vive a Cardiff, in Galles, dove lavora a un dottorato in Storia Antica e insegna latino. Autrice di prosa e teatro, è pubblicata in Italia da Einaudi Editore.