Entra ancor più nel vivo la disputa tra M5s e Lega, entrambi contraenti di governo ma che cercano di rinsaldare posizioni di forza presso il proprio elettorato. Continuano e si fanno ancor più serrate le contrapposizioni, vere o amplificate, che hanno contraddistinto i partiti di governo. Il Dieci mani di questa settimana se ne occupa, aspettando e ipotizzando possibili scenari futuri.
Piergiorgio Desantis
Non è il caso di scomodare Guy Debord e la sua “Società dello spettacolo” per ritrovare alcune analogie nello scontro/spettacolo quotidiano in atto nel governo. Dammi a me autonomia differenziata e io ti darò salario minimo. Nessun tipo di approfondimento, conoscenza o visione (almeno) di medio periodo, solo la ricerca del consenso immediato. Un M5s sempre più in tempestose acque, alla ricerca di parole d’ordine che richiamino i loro (presunti) elettori (quali?). In questo avanzare di temi e linguaggi, la Lega si pone nettamente in avanti (ieri con “i porti chiusi” oggi con “il censimento dei rom”) mentre i nodi di fondo su sviluppo, impatto ambientale e lavoro restano lì a decantare e a peggiorare (da ultimo la notizia dell’esplosione delle quantità delle ore della cassa integrazione straordinaria). L’Italia si conferma non essere un paese per vecchi, ma nemmeno per giovani, semplicemente, guardando la classe politica ma non solo, un paese in crisi.
Jacopo Vannucchi
La frattura più importante per comprendere lo stato della maggioranza di governo in Italia non è quella tra M5s e Lega, che è largamente inesistente. I due partiti formano infatti una maggioranza organicissima almeno sotto un aspetto, probabilmente anche sotto un altro.
In primo luogo, la loro alleanza riproduce lo storico blocco reazionario del Paese tra i profittatori capitalisti del Nord e i redditieri, eredi del latifondo, del Sud (qui rimpolpati anche dal continuo lealismo sanfedista delle plebi ex-monarchiche).
In secondo luogo, il M5s svolge oggi nei confronti della Lega lo stesso ruolo che la Lega svolse venticinque anni fa nei confronti di Forza Italia e del Msi, e che esso pure si ritrova nella storia italiana. Ogniqualvolta vi sia il pericolo di una svolta progressista, sorge un movimento violentemente antipolitico che ha il mero compito di sfasciare le forze democratiche per puntellare nuovamente il vecchio regime. Così sono sorti i Fasci di combattimento dopo la Grande guerra, l’Uomo qualunque dopo il crollo del fascismo, la Lega alla fine del pentapartito e il M5s al tramonto del berlusconismo. E tutti costoro hanno poi concorso a mantenere al potere le forze reazionarie, in forme diverse: col regime fascista, con il sostegno da destra al clientelismo Dc, con il sostegno al Polo della libertà, oggi con la coalizione “giallo-verde”.
(Il Pci nel dopoguerra e il Pd di Renzi ebbero la forza, nel primo caso, di evitare lo scivolare verso soluzioni apertamente dittatoriali e nel secondo caso di ritardare il compiersi del progetto reazionario.)
Tra M5s e Lega c’è dunque una simbiosi che è al cuore stesso del predominio reazionario nella storia italiana e che quindi non sarà certo incrinata quest’oggi.
La frattura fondamentale è, invece, quella interna alla Lega: che vede un Salvini leader accerchiato da Giorgetti, Attilio Fontana e Zaia, e forse alcuni ministri, che chiedono la crisi di governo, le elezioni anticipate e la ricomposizione dell’alleanza tradizionale di destra con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Questa frattura esprime la natura bicipite della Lega: Salvini è riuscito, facendone un partito nazionalista, a consolidare un largo consenso personale e a far sorgere nuove leve a lui fedeli, ma ciò è avvenuto a prezzo dell’accantonamento delle esigenze più immediate dell’egoismo territoriale delle origini. E in quei territori il gruppo dirigente leghista è ancora quello tradizionale, “padano”, nonché l’unico nel partito ad avere una vera pratica amministrativa (si ricordi che Giorgetti aveva espresso già prima delle europee la preoccupazione che una Lega al 35% portasse, per via dell’improvviso arrivo sul proscenio di perfetti sconosciuti, a uno scadimento delle competenze politiche della dirigenza).
Prima della crisi del sistema politico Pannella scrisse a Craxi di essere preoccupato per «il grado di insensibilità con cui continui a farti odiare dalla gente». L’arroganza di Salvini è esattamente il difetto che gli impedisce, come impedì al segretario del Psi, di condurre con intelligenza la propria (sbagliata) battaglia. E alla fine, nel tentativo di mantenere a tutti i costi una presa strettissima sul potere, finirà con il mandarlo in frantumi.
Alessandro Zabban
Il governo vive una sorta di crisi perenne che è ormai diventata la nuova normalità. La lite continua è radicata nelle differenze di visione politica di 5 Stelle e Lega ma è anche essa stessa una forma e una tecnica politica. 5 Stelle e Lega sono movimenti di protesta che hanno nel loro DNA la verve polemica. Il litigio è funzionale a mantenere salda la loro natura antagonistica che verrebbe altrimenti meno nel passaggio da forza di opposizione a forza di governo. Questo giochino di essere al governo ma mantenere uno stile da opposizione è emblematico di una democrazia malata, ridotta a perenne campagna elettorale ed è un gioco a cui Salvini sa giocare meglio di Di Maio e compagnia.
In questa situazione la crisi funzionale aiuta a scongiurare o quanto meno a posticipare una reale rottura, che sembra comunque difficilmente inevitabile nel lungo periodo. Ma ad oggi se non è ovviamente interesse dei 5 Stelle far cadere il governo (avrebbero prima bisogno di recuperare molti consensi e questo nel loro caso può avvenire solo con le riforme), neppure la Lega sembra avere tanto da guadagnarci. Da quando è al governo Salvini ha aumentato esponenzialmente i consensi ma non ha ancora portato a casa le riforme chiave del suo programma, su tutte la flat tax. Una rottura senza una reale motivazione potrebbe scontentare una parte dell’elettorato di Salvini che ha riposto in lui molte speranze ma che ancora non ha visto grandi risultati (qualcuno si deve pur accorgere che le sue sono solo “chiacchiere e distintivo” prima a poi). L’equilibrio è delicato ma sicuramente sia Lega che 5 Stelle hanno paura di fare il passo più lungo della gamba. Polemizzare l’un l’altro appare molto più rassicurante.
Immagine da www.ilmessaggero.it
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.