Il voto greco segue di poche settimane quello europeo. Nea Demokratia ha vinto, ma Syriza ottiene un risultato capace di limitare le tinte fosche della sconfitta, almeno a leggere i commenti della stampa internazionale. Si conclude un’esperienza che molte speranze aveva suscitato cinque anni fa e che continuerà a essere parte della discussione sul futuro dell’Europa.
Piergiorgio Desantis
La sconfitta di Syriza alle elezioni politiche di domenica scorsa (nonostante le percentuali confortanti ottenute) conferma le grandi difficoltà di mantenere un profilo e una politica di sinistra nel contesto UE. Almeno per i paesi periferici e del SudEuropa, è sempre più arduo, infatti, intraprendere e incidere nel tessuto economico con un serio e tangibile programma di politica industriale, avviare interventi dello Stato nell’economia e nella creazione di posti di lavoro, mettere su un piano di infrastrutture (non solo fisiche ma anche tecnologiche) etc.
In breve, agli stati UE sono sottratte le fondamentali leve per gli importanti interventi che, un tempo, si sarebbero detti anticiclici diretti alle fasce più in difficoltà in una perdurante situazione di crisi economica. Probabilmente, il mix di austerity, privatizzazione dei servizi e del lavoro e politiche migratorie assenti favorisce e valorizza scientemente, sotto ogni aspetto, le destre che siano sovraniste o filoUE. Per la Sinistra si profilano tempi di opposizione non solo sul piano politico ma anche teorico, nel senso di rinnovamento e rigenerazione di fronte ai passaggi stretti della storia.
Alex Marsaglia
E così, com’era ampiamente prevedibile, è finita l’esperienza governativa di Syriza che avrebbe dovuto trainare l’Europa in una nuova direzione ostinatamente contraria all’austerità neoliberista. Infatti, che la sconfitta fosse prevedibile lo sapeva lo stesso Tsipras, principale responsabile assieme a Varoufakis, del tradimento della volontà popolare di porsi in opposizione ai diktat della Trojka (Commissione Europea, Bce e FMI) che ha letteralmente commissariato i governi democraticamente eletti dai greci per un decennio. Il ribaltamento di un responso referendario netto (furono 61% i no e 31% i sì) come quello del 2015 ha segnato l’attività del Governo greco. Quello che doveva essere il faro dell’alternativa delle sinistre europee si è ridotto ad essere un lumicino, a voler essere ottimisti.
Da allora tutto è cambiato, anche per le sinistre europee che hanno subito ancora di più l’affondo delle destre populiste senza aver più il benché minimo modello di riferimento. L’alleanza dei PIIGS è totalmente saltata e l’ordinaria amministrazione è diventato il recinto in cui l’alternativa si è potuta esprimere. Un po’ poco ad essere sinceri. E ora i greci, seguendo la classica Sindrome di Stoccolma, si riaffidano all’ex partito di Samaras. Come in un gioco dell’oca si riparte dal via, ma con un Paese devastato e senza più un orizzonte politico in cui credere e per cui impegnarsi. Ben fatto Alexis!
Dmitrij Palagi
Ho sempre considerato indecente il comportamento medio del tessuto della sinistra radicale nei confronti di Syriza. Il Synaspismos era la piccola formazione di Alexīs Tsipras, confluita nel processo da cui è nata Syriza. Con ironia si giudicava quell’esperienza “figlia di Genova” (2001), all’ombra del solido KKE. Poi l’Unione Europea ha dispiegato una serie di scelte criminali e la rapida ascesa del consenso della sinistra radicale greca ha portato alla nascita di un nuovo idolo (“oggetto o immagine cui si attribuiscono caratteri e poteri divini”). Nel campo della comunicazione vuota di una galassia che conta sempre meno nel vecchio continente è emerso anche Varoufakīs. In pochi si sono preoccupati realmente di capire quale rischio ci fosse per la sinistra radicale di ritrovarsi al governo. Infatti appena Tsipras è uscito vincitore, il tempo di un referendum, è iniziato il fuoco amico delle critiche (tanto fastidiose quanto inefficaci). I rapporti di forza hanno determinato uno spostamento di Syriza sul fronte progressista, cercando di tracciare un nuovo solco in cui far confluire almeno una parte della tradizione socialdemocratica (frequentata anche da Lafontaine e Mélenchon, anche se si tende a dimenticarsene).
Oggi il debole mondo militante italiano della sinistra in senso ampio è pronto a passare ore su ore nell’insulto reciproco, a seconda di cosa scelgono di vedere nel voto greco (come si fa quando si leggono gli oroscopi). Una sconfitta di grande tenuta o il disastro frutto di un tradimento. La strada per un nuovo centrosinistra o la necessità di abbracciare definitivamente il paradigma alto/basso, oltre la sinistra. Nel frattempo la sinistra europea è uscita male dal voto europeo: Syriza è sopravvissuta, per ora, all’incapacità diffusa del suo campo internazionale. Bussa alle porte il tema del futuro. Chi ha velleità marxiste dovrebbe farsi coraggio, o cercare dove nascondersi. Il risultato di Tsipras ha una inevitabile lettura politica legata alla politica nazionale greca, di cui probabilmente troveremo traccia su riviste e nel mondo accademico. Poi c’è il messaggio che supera i confini nazionali: chissà se verrà interpretato alla luce della ragione.
Jacopo Vannucchi
A nove anni dall’inizio della crisi del debito greco, e a dieci anni dalle ultime elezioni greche del vecchio sistema politico, il primo commento che può trarsi dai risultati elettorali di domenica è: tutto cambia, nulla cambia.
Le fortissime turbolenze che hanno scosso in questo decennio la società greca sembrano aver lasciato una traccia tutto sommato minore. Oggi come ieri, il sistema è imperniato sul confronto tra due grossi partiti, uno a destra (Nuova Democrazia) e uno a sinistra (ieri il Pasok, oggi Syriza), con tre-quattro partiti minori di contorno, a sinistra (ieri il Partito comunista e Syriza; oggi comunisti, Pasok e Mera25 di Varoufakis) e a destra (ieri il Laos, oggi Soluzione greca).
L’elenco delle meteore politiche di questi dieci anni è lungo: Greci indipendenti, Alba dorata, Sinistra democratica, Accordo sociale, Alleanza democratica, Ricreare la Grecia, Azione, Alleanza liberale, Il fiume, Movimento dei socialisti democratici, Unione dei centristi, Unità popolare, Corso della libertà…
Eppure, tutto sembra essersi riassestato, con un unico mutamento sostanziale (l’inversione di sorti di Pasok e Syriza) e uno formale (la sostituzione di Soluzione greca al Laos quale partito della destra reazionaria).
La spiegazione di questo fenomeno apparentemente controintuitivo spiega anche perché i greci abbiano votato contro Tsipras un tempo acclamato e riportato al governo ND, ossia il principale responsabile della falsificazione dei bilanci statali che ha originato la crisi del debito.
Ante crisi il sistema politico greco si fondava, a tutti i livelli, su una presenza più o meno importante della corruzione. Il più delle volte, probabilmente, una corruzione del tutto legale: un sistema di clientele e fedeltà di clan che scambiava il consenso elettorale con forme di facilitazione della vita (maglie larghe per la pensione, assunzioni generose negli enti pubblici, norme ad hoc in questo o quel settore per trasferire improduttivamente denaro ai cittadini).
Questo modo di vivere è stato improvvisamente reso impossibile nel 2010. Non diversamente da quanto accaduto, più tardi e con meno convulsioni, in Italia, la società si è ribellata all’interruzione di queste moderne distribuzioni di grano e ha cercato una via d’uscita: in modo vuoi cieco e furioso (Alba dorata), vuoi più docile e speranzoso (Syriza). Quando la situazione macroeconomica è stata rimessa in sesto, in una società per decenni complice di un opaco sistema di scambi le pulsioni conservatrici hanno prevalso su quelle antisistema (che pure restano sempre latenti) conducendo sia al rinormalizzarsi del quadro politico sia al ritorno in auge di ND.
Per Tsipras c’è un’ultima lezione. L’8 maggio 2012 egli ricevette, dopo Samaras e prima di Venizelos, l’incarico di formare un governo. In questa veste denunciò gli accordi con UE e FMI sottoscritti dai precedenti governi, asserendo esplicitamente che in caso di ritiro unilaterale della Grecia le controparti non avrebbero comunque “chiuso il rubinetto” per il timore delle conseguenze. Questo atteggiamento spregiudicato e ostentatamente arrogante lo accompagnò fino alla vittoria nel referendum del 5 luglio 2015. Poi lo Tsipras arrogante cedette il passo, per sempre, a quello moderato: dopo aver spinto il popolo greco a votare contro il piano di salvataggio, il 13 luglio ne firmò uno ancora più gravoso, per evitare l’uscita del suo Paese dall’euro. Il rubinetto, evidentemente, si sarebbe chiuso.
O forse anche la “trojka” stava solo bluffando, ma Tsipras riuscì a capire che la posta più rovinosa era, comunque, quella greca.
Quell’accordo passò in Parlamento solo grazie al voto favorevole delle opposizioni di centrodestra e centrosinistra: Tsipras, avendo perduto la maggioranza (e ricordiamo che era in coalizione con la destra populista di Greci indipendenti), si dimise e vinse le nuove elezioni a settembre, con spostamenti minimi rispetto a quelle di gennaio. Segno che la società era più stanca che battagliera, e anticipazione del risultato di oggi.
A Tsipras è costato molto giocare spericolatamente col fuoco (sulla pelle di una nazione) quando aveva il coltello dalla scomoda parte della lama. Se avesse evitato, oggi forse sarebbe ancora al governo.
Alessandro Zabban
La parabola di Syriza e del suo leader Tsipras mette in luce la questione dei reali rapporti di forza in campo. Il capitalismo globalizzato, in tutte le sue varianti, ha vinto una lotta per l’egemonia che è già da almeno tre decenni praticamente assoluta. Non basta vincere le elezioni in un paese (tanto più se si tratta di un paese periferico) per poter pensare di cambiarne a piacimento l’indirizzo di politica economica senza venire incontro a ostacoli enormi. Non è sovranismo affermare che essere all’interno dell’Unione Europea e far parte della Moneta Unica renda ancora più difficile un’operazione di trasformazione anche solo in senso riformista dei rapporti di produzione.
Ma quel che è rimasto del popolo della sinistra si continua ad ostinare in un ottimismo irresponsabile. Se Syriza con la sua sconfitta programmatica ha indebolito la sinistra “radicale” europea, è anche perché abbiamo riposto troppo speranze in un processo politico nato morto. Tsipras aveva in realtà solo un’alternativa. Avrebbe potuto prendere atto della vittoria del “no” al referendum e sganciarsi dall’Unione Europea. Ma anche in questo modo la Grecia non avrebbe avuto molto probabilmente spazi di autonomia. Il feroce imperialismo occidentale avrebbe imposto sanzioni da far impallidire quelle inflitte all’Iran e un blocco economico paragonabile a quello di Cuba. Sarebbe poi cominciata una feroce campagna mediatica contro il “dittatore” Tsipras che “affama il proprio popolo”, ecc. provocando alla sinistra europea un danno di immagine persino superiore alla dura realtà di uno Tsipras addomesticato dai mercati.
La sinistra italiana può permettersi di criticare Tsipras perché è sotto il 3% e quasi sicuramente resterà su quelle percentuali per molti anni. Però crede nel processo politico puro. Critica Syriza per non essere uscita dall’Unione Europea e dunque per essersi piegata alla Troika, così come l’avrebbe criticata se fosse uscita dall’Unione Europea e quindi costretta ad attuare un delinking come le sporche e cattive Venezuela o Corea del Nord che non rappresentano il “vero” socialismo. Il suo invece è bello e puro perché non verrà mai attuato.
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