Partirei dal libro Guai ai poveri, di Elisabetta Grande, che hai avuto modo di recensire e di cui parleremo prossimamente su Il Becco. Il testo illustra come, a partire dagli anni ‘70, il sistema politico statunitense abbia disegnato una società in cui crescono le disuguaglianze, dove i poveri aumentano mentre cresce la ricchezza complessiva del Paese, a vantaggio di pochi. L’azione discriminatoria sul piano sociale si sviluppa sul piano normativo, del diritto. Quali analogie ci sono rispetto alla situazione italiana?
In Italia ci avviamo verso una condivisione assoluta del modello statunitense, con pochissime eccezioni.
Il problema riguarda l’Unione Europea, con un’assenza di capacità decisionale del Parlamento Europeo e la mancanza di possibilità di intervento da parte degli stati nazionali: le agenzie internazionali e la Banca Centrale Europea non si sono appropriate della decisionalità, sono state delegate volutamente da parte della politica. Le normative europee sono la proiezione di un mercato assoluto dell’ordoliberismo che si fa norme e le norme sono dettate direttamente dall’UE.
Basti pensare, in Italia, al nuovo articolo 81 della Costituzione, con il pareggio di bilancio. Adesso si chiederà ai singoli paesi membri di firmare il fiscal compact come un trattato vero e proprio, per cui abbiamo l’occasione per organizzare una adeguata campagna di opposizione. Le normative europee mettono al centro il primato della concorrenza rispetto ai contenuti della prima parte della Costituzione italiana, incompatibile con i trattati di cui stiamo parlando. Non sto indicando l’uscita dall’euro come soluzione, ma la disobbedienza agli accordi deve diventare un punto di rottura in grado di trasformarsi in senso positivo per la costruzione di un’alternativa.
L’americanizzazione della formazione sociale avviene in forme pervasive ed anche veloci. Negli ultimi giorni abbiamo avuto degli esempi clamorosi di codifica delle prassi. Una disamina degli atti amministrativi locali ci indica come i comportamenti dei Comuni accomunino alcune amministrazioni di centrosinistra con quelle leghiste. Oggi ci troviamo di fronte ad un apparato normativo, di cui si parla giustamente nel testoni Elisabetta Grande, che rappresenta un salto di qualità.
La lotta alla povertà diventa lotta ai poveri. Ci si impegna per non “rovinare” le città con l’immagine delle elemosina in troppe realtà: la Giunta Nardella a Firenze e quella Raggi a Roma hanno approvato dei provvedimenti che fanno accapponare la pelle, come il divieto di rovistare nei cassonetti (nonostante i rom siano gli unici che la sanno fare, a Roma).
Le disposizioni contro i mendicanti possono portare ad uccisioni e rastrellamenti, come è avvenuto per Magatte Niang, il senegalese cosidetto ambulante di cui è stata provocata la morte anche con il “blitz anti-abusivismo”.
In secondo luogo il salto di qualità lo si può misurare con il reato di solidarietà. Il caso della campagna diffamatoria nei confronti delle ONG è eclatante. Diritto internazionale e diritto del mare obbligano, in maniera precisa, qualsiasi navigante, che abbia informazione di un naufragio nelle acque vicine alla propria nave, a prestare soccorso (quindi stiamo parlando di un diritto-dovere). Oltre alle cooperative sotto attacco ci sono affermazioni che arrivano ad indicare come reati delle forme di mutualismo: permettere ai poveri di sopravvivere diventa un crimine. Una volta che non posso più aiutare chi è arrivato, resta da capire come si dovrebbe liberare la popolazione indigena: con un omicidio di massa?
Quindi siamo di fronte a forme e messaggi culturali di una popolazione invitata ad armarsi, letteralmente, e a rompere con un messaggio di solidarietà che in linea di massima è stato un argine a forme di egoismo preoccupante, veicolato in forme peculiari dal Vaticano e dalla Chiesa cattolica.
Nell’ambito dei processi di americanizzazione rientrano anche il terrore di perdere il posto di lavoro, il fenomeno dei working poor, l’impossibilità o il basso tasso di sindacalizzazione nella frammentazione del precariato.
I fenomeni di Sanders, Corbyn e Mélenchon, in modi diversi, indicano la necessità di una rottura assoluta e completa con le forme classiche del liberismo temperato, che non esiste più. Abbiamo la necessità di una nuova rappresentanza, diversa dal passato, di una nuova formazione operaia e proletaria.
All’interno della discussione interna di Rifondazione Comunista hai evidenziato la necessità di lavorare e discutere della violenza biopolitica del Capitale. Puoi aiutare a spiegare il senso di questa espressione per chi è meno informato?
Voglio dire che la lotta alla povertà, marxianamente, inizia ad essere forza materiale. Significa che il capitale interviene a fondo nella formazione e nella composizione sociale. Dentro ed oltre la contemporaneità dobbiamo comprende come oggi il capitale si inserisca nei processi di accumulazione in modo sempre più pervasivo e competitivo, scegliendo forme violente di contrapposizione tra lavoratori. Volgarmente viene chiamata guerra fra poveri ed è la logica del capro espiatorio, in una selvaggia lotta dove il penultimo deve allontanare l’ultimo.
Mutano le composizioni del capitale: non c’è più una contraddizione classica capitale-forza lavoro, con una soggettività antagonista, chiamata a svolgere il ruolo di “becchino del capitale”. Si tratta di un punto su cui discutere a sinistra anche sul piano teorico, ma è un problema concreto che riguarda la vita ed i vissuti delle persone. Ogni nostro ambito di vita è messo a lavoro.
Se questo è vero, la composizione sociale del capitale rende lo scontro biopolitico, crea una conflittualità tra capitale e vita, nuove forme di oppressione.
Lo stato sociale è sempre meno rispettoso dei diritti di cittadinanza. La scuola, la sanità pubblica, il diritto all’abitare ed il vivere urbano in generale sono al centro di un’offensiva. Al contempo nelle nostre scuole ci sono classi in cui troviamo il 50% di bambini migranti. Se non viene fatto un salto di qualità lo stato sociale si trasforma in stato penale globale.
Negli Stati Uniti, secondo alcuni calcoli, si è stimato che un terzo della popolazione (al 90% nera) fra i 23 ed i 16 anni è nel circuito penale, tra controlli quotidiani (biopolitici), pratiche di sorveglianza e solo in parte attraverso misure carcerarie.
Vediamo anche come con gli attivisti politici siano messe in pratica misure preventive personali. Rinchiusi nella propria casa o obbligati a non uscire dalla propria città, i militanti sociali e politici si vedono rendere impossibile la stessa organizzazione del conflitto. I leaders di movimento che si occupano del diritto all’abitare sono tra i più colpiti.
È un grandissimo problema di cui ci stiamo occupando molto poco. Con i compagni spagnoli (di Izquierda Unida e Podemos) ed alcuni avvocati francesi ci stiamo riunendo per contrastare gli stati di eccezione, anche attraverso l‘ipotesi di un osservatorio contro la repressione e la richiesta di un’amnistia sociale contro gli attivisti politici.
La repressione del dissenso e la criminalizzazione della marginalità sociale sono aspetti legati di una stessa questione?
Questa è la tesi che stiamo cercando di portare avanti. Non è facilissimo, stiamo continuando a costruire nessi e riunioni. Spero che questi comitati vadano avanti. Sono certo che Rifondazione Comunista debba fare molto di più, a partire dai gruppi dirigenti delle Federazioni. Serve un salto di qualità nell’opporsi a questi processi di americanizzazione, nell’affiancare alle lotte la richiesta di garanzia degli spazi democratici.
Pubblicato per la prima volta il 18 maggio 2017
Immagine CAU Napoli (dettaglio) da flickr.com
Classe 1988, una laurea in filosofia, un dottorato in corso in storia medievale, con diversi anni di lavoro alle spalle tra assistenza fiscale e impaginazione riviste. Iscritto a Rifondazione dal 2006, consigliere comunale a Firenze dal 2019.