“Non l’amore, non i soldi, non la fama, datemi la verità”. Non è Christoph McCandless di “Into the wild”. Stavolta è Xavier Dolan che cita Thoreau. Il primo film hollywoodiano dell’enfant prodige del cinema internazionale (già 7 film all’attivo a 30 anni, con un ottavo in arrivo) si apre così. Dopo una lunga serie di peripezie, finalmente arriva nelle sale italiane.
Un’opera maledetta. Un copione strabordante da più di trecento pagine, due anni di montaggio, una durata da film biblico (pare che la prima stesura superasse le quattro ore). Secondo me poteva essere un’ottima serie televisiva vista la durata. Dolan è costretto a montare più volte il film: viene tagliato il personaggio di Jessica Chastain (come si fa a tagliare un’attrice del suo calibro?), la storia cambia, la durata viene compressa a circa due ore. Eppure proprio il regista canadese aveva annunciato di aver scritto il film proprio sulle capacità interpretative della Chastain. Dolan sembra che si sia un po’ montato la testa (notare in tal senso il finale) e ha ceduto alla notorietà di Kit Harington (che ha da poco terminato Il Trono di Spade). Tuttavia il giovane attore non ha la maturità artistica per reggere il film sulle sue spalle. Molto meglio, sicuramente, le veterane Susan Sarandon (sulla scia della figura materna di “Mommy”), Kathy Bates e Natalie Portman oltre al piccolo Jacob Tremblay che, ancora una volta, è piuttosto efficace.
Il regista dopo i tagli non riconosce più la sua opera. Prende tempo, rifiuta la partecipazione al Festival di Cannes 2018. Il film ancora non è uscito negli Stati Uniti. Ufficialmente dice alla stampa che “la cultura dei troll, del bullismo e dell’odio gratuito non dovrebbe essere così intrinsecamente parte dell’esperienza analitica cinematografica”. Tutto questo perché Dolan stesso ne ha sofferto parecchio.
Poi a Toronto, nello stesso anno, ecco la svolta: il film viene presentato in anteprima. Si capisce così che ci sono stati tantissimi problemi nella lavorazione. È avvenuto il più classico dei compromessi. Risultato? Un disastro. 35 milioni di budget e incasso leggermente superiore ai 2. La critica americana ha ferocemente recensito la pellicola. Francamente il trattamento riservato a Dolan è stato penoso, visto e considerato che finora è uno dei pochi veri registi veri e riconoscibili della mia generazione. Può succedere di sbagliare un film, anche se nel precedente “È solo la fine del mondo” si avvertiva che stava cambiando qualcosa.
Pensavo che l’opera non arrivasse in sala. La Lucky Red, che porterà nei cinema italiani a ottobre anche l’ultimo film di Woody Allen (censurato negli Usa per il caso “MeToo”), ha deciso di portarlo nelle sale italiane a fine giugno. Ma veniamo al film.
Tutti, quando eravamo bambini, avevamo uno o più idoli che avremmo voluto conoscere. Xavier Dolan ha scritto con Jacob Tiernay la sceneggiatura in inglese basandosi su elementi biografici. A 8 anni il giovane canadese (non ancora famoso) scrisse una lettera al suo idolo, l’attore Leonardo Di Caprio. Questo è il succo di ciò che scrisse Xavier al suo beniamino.
“Ciao Leonardo,
mi chiamo Xavier Dolan-Tadros. Vado a scuola, amo la scuola. Ho 8 anni ma il 20 marzo ne compirò 9. Sono uno dei tuoi fan. Ho visto Titanic (5 volte). Reciti molto bene. Sei un grande attore e ti ammiro. Anche io sono attore. Ho girato qualche pubblicità per una catena farmaceutica molto nota e ho avuto delle belle parti in 4 film in francese. Mi piacerebbe recitare con te un giorno. So che un giorno verrai a Montreal. Montreal è un posto molto popolare come location di film. L’anno scorso, 100 film americani sono stati girati qui (The Jackal, Snake Eyes…). Proverò a incontrarti in quella circostanza. Quando verrai a Montreal per girare un film, sappi che io proverò a fare dei provini nel caso tu avessi bisogno di un giovane attore nel cast.
Caro Leonardo, spero sinceramente che risponderai alla mia lettera, spedendomi una delle tue foto.
Questo è il mio indirizzo.”
Il film “La mia vita con John F. Donovan” parte da qui, indagando sulla contrapposizione tra il peso della celebrità e la solitudine del singolo che vuole rimanere sé stesso in un mondo che non accetta la diversità. I nomi sono cambiati: il giovane Dolan si chiama Rupert Turner (Jacob Tremblay, il bambino degli splendidi “Wonder” e “Room”), Di Caprio si chiama John Donovan (Kit Harington de “Il trono di spade”). Il film all’inizio si alterna tra il 2006 e il 2017 tra Londra e Praga con continui sbalzi temporali (i primi 7 minuti del film li potete vedere qui). Sullo stile della parte iniziale di “Titanic” di James Cameron che Dolan svela di aver visto 5 volte nella lettera a DiCaprio (caro Xavier qui mi sei caduto in basso). Dopo cinque anni di scambi epistolari, Rupert apprende della morte di Donovan (a solo 29 anni) per sospetta overdose dopo una lunga depressione. Così Turner (Ben Schnetzer che non somiglia per niente a Jacob Tremblay), divenuto attore e scrittore di successo, decide di raccontare la sua amicizia con John Donovan in un’intervista alla giornalista Audrey Newhouse. Flashback.
Turner (Jacob Tremblay) è un bambino di 11 anni. Decide di intraprendere questo rapporto epistolare senza far sapere nulla alla madre (Natalie Portman). I fan di Xavier Dolan sanno già che nelle sue pellicole il rapporto materno è difficile (specialmente nello splendido “Mommy”). Anche qui non è da meno visto che la donna è rimasta single poco dopo la sua nascita. Ciò si riflette sul rapporto con il figlio. Un giorno però il bullo della scuola ruba le lettere di Rupert mettendo in moto la “macchina mediatica”. La stampa insinua che Donovan abbia una relazione con il ragazzino minorenne e non con la nipote di Mubarak. Anche se non è vero, tutto ciò scatenerà polemiche sul comportamento della star. Ovviamente uno dei segreti di Donovan è la repressione della sua omosessualità (ricordo a tutti che Dolan è dichiaratamente gay e ciò spiega diverse cose). Recentemente sono uscite pellicole musicali come Bohemian Rhapsody e Rocketman che, sotto sotto, raccontano la storia di due cantanti gay che l’hanno detto a gran voce attraverso il filtro della musica (il testo di Bohemian Rhapsody era particolarmente sentito da Mercury perché dichiarava la sua omosessualità). L’invadenza dei media cambierà la vita di entrambi (ma possiamo tranquillamente dire anche il regista enfant prodige).
Uno dei problemi più grossi del film è che tutto è triplo. Il rapporto tra Tremblay e la Portman è doppio di quello tra Harington e la Sarandon. Così mentre c’è il ragazzino che sogna di diventare una star e Donovan sogna di liberarsi dal giogo della repressione della sua omosessualità, ecco che viene fuori lo scoop. Francamente l’ambizione di Dolan è smisurata. Da un lato è un bene (idealisticamente parlando), ma a livello di scrittura diventa un gran casino. Si vede che mancano dei pezzi, che sono state limate parti fondamentali del racconto. Anche grandi attori come Gambon, Sarandon e la Bates (la manager di John Donovan) appaiono e scompaiono, senza capire il perché. La pellicola diventa un po’ ingenua, retorica ed eccede in vari punti (finale compreso). La cosa successe a Sergio Leone quando il produttore israeliano Arnon Milchan decise di rimontare “C’era una volta in America” per il mercato statunitense. La durata di 4 ore e mezzo fu compressa a meno di due. Leone si arrabbiò e ci fu un aspro litigio che culminò in una causa. Il regista aveva chiaramente ragione. Fu un fiasco al boxoffice perché mancavano troppi tasselli per comprendere una storia stratificata e complessa. L’edizione integrale invece è divenuta un successo mondiale. Il grosso rimpianto è che probabilmente non vedremo mai l’opera completa come Xavier Dolan l’aveva pensata. Sarebbe molto interessante vedere la performance (tagliata) di Jessica Chastain nei panni di una giornalista.
Al netto dei difetti, il film è da vedere soprattutto per i fan di Xavier Dolan. Anche se opere come Mommy, Laurence Anyways e È solo la fine del mondo (leggi qui), seppur imperfette, appaiono più riuscite ed accorte in molte delle fasi della lavorazione. Ci sono tutti i temi cardine della poetica dolaniana: la ricerca dell’identità, la famiglia, il difficile rapporto con i genitori (specialmente con la madre), l’omosessualità, la crescita, la rottura delle convenzioni sociali. Inalterata la struttura narrativa tipica del cinema di Dolan: le discussioni in macchina, le luci al neon, i dialoghi urlati, i primi piani stretti e quasi claustrofobici, i flashback, l’uso di canzoni pop per dare ritmo. Stavolta oltre a questo, c’è anche il tema della società del gossip che sentenzia, etichetta, travolge e distrugge. Il film è un monito per le giovani generazioni: non è tutt’oro ciò che luccica. Perché il vero tema della pellicola è il rapporto tra verità e menzogna che sono come maschere che l’essere umano usa piuttosto spesso (soprattutto la seconda). John Donovan ne rimarrà soggiogato per la tutta la vita, impedendosi di fatto una via di uscita. Come detto il film ha diversi difetti: il montaggio perde la sua brillantezza, le immagini scorrono veloci per diminuire la durata totale.
Anche le musiche, che solitamente nei film di Dolan sono personaggi importanti, scorrono un po’ sfilacciate rispetto alle immagini. Tra i pezzi in scaletta ci sono “Pieces” dei Sum41, Pink, “Jesus of Suburbia” dei Green Day, “Adam song” dei Blink 182, “Rolling in the deep” di Adele (non scordatevi che Dolan ha diretto il videoclip di “Hello”) e Bittersweet Simphony dei Verve che scorre potente sui titoli di coda. Senza dimenticare la magnifica cover di “Stand By Me” di Florence and the machine che fa da sottofondo alla classica corsa con abbraccio sui marciapiedi di Londra tra Rupert e la mamma.
Francamente nel complesso però è un grande casino perché un problema non risolto si ingigantisce ed appesantisce la visione. La pellicola non è continua, ha diversi alti (la splendida fotografia di Andrè Turpin) e bassi (sceneggiatura, montaggio). Dolan pare che abbia fatto un passo indietro. Già nella sua opera di prossima uscita (Matthias e Maxime, acquistato da Lucky Red al Festival di Cannes 2019), pare che abbia fatto un soggetto molto più scarno e semplice. “La mia vita con John F.Donovan”, va detto, arriva nelle sale italiane nel momento giusto. Dopo la fine delle riprese del “Trono di Spade”, l’attore Kit Harington è entrato in una clinica del Connecticut. Secondo la stampa americana, alla base di questa decisione c’è una lunga dipendenza ad alcool, droghe e un periodo di stress prolungato. Donovan non di nome, ma (quasi) di fatto?
FONTI: Cinematografo, Comingsoon, Mymovies, Film.it, Bad Taste
I film di Xavier Dolan
- J’ai tué ma mère (2009)
- Les Amours imaginaires (2010)
- Laurence Anyways e il desiderio di una donna… (Laurence Anyways) (2012)
- Tom à la ferme (2013)
- Mommy (2014)
- È solo la fine del mond (Juste la fin du monde) (2016)
- La mia vita con John F. Donovan (The Death and Life of John F. Donovan, 2018)
- Matthias & Maxime (uscirà probabilmente nel 2020 con Lucky Red, è reduce dal Festival di Cannes, 2019)
Regia*** Colonna Sonora*** Interpretazioni***1/2 Fotografia***1/2 Sceneggiatura**1/2 Montaggio*** Film ***
LA MIA VITA CON JOHN F. DONOVAN ***
Genere: Drammatico / Biografico
Nazione: Canada 2018
Regia: Xavier Dolan
Sceneggiatura: Jacob Tierney, Xavier Dolan
Cast: Jacob Tremblay, Natalie Portman, Kit Harington, Kathy Bates, Susan Sarandon, Michael Gambon
Fotografia: Andrè Turpin
Durata: 2 ore e 6 minuti
Distribuzione: Lucky Red
Uscita: 27 Giugno 2019
Trailer qui
La frase cult: Nessuno potrà capire la nostra amicizia
Immagine da www.leganerd.org
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.