Nel giorno dell’anniversario della strage di Capaci, è uscita al cinema la controversa storia di Buscetta, interpretato da un immenso Favino. Unico film italiano in concorso al 72° Festival di Cannes.
23 maggio 1992, ore 17.56. Sull’autostrada A29 nei pressi dell’uscita di Capaci (Palermo) avvenne uno dei fatti più agghiaccianti della storia italiana. A bordo di tre Fiat Croma c’erano Giovanni Falcone, sua moglie e la scorta. L’attentato al giudice fu brutale e feroce. L’esplosione fu atroce. Falcone, sua moglie Francesca Morvillo (anche lei magistrato) e gli agenti della scorta Vito Schifani (rievocato dalla moglie in un filmato storico dell’archivio Rai), Antonio Montinaro e Rocco Dicillo morirono in breve tempo. Oltre a loro 23 persone rimasero ferite tra cui gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza. L’attentato a Falcone chiaramente fu preparato con molta cura da Cosa Nostra. Questo evento fu festeggiato dai mafiosi nel carcere dell’Ucciardone, mentre in Italia lo sdegno fu totale. Marco Bellocchio mostra tutto questo nella scena emotivamente più importante del suo film. Secondo molti collaboratori di giustizia, l’attentato fu eseguito anche per danneggiare Giulio Andreotti. Il 25 maggio 1992 infatti fu eletto Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro (se avete visto “Il Divo” di Paolo Sorrentino c’è una scena piuttosto importante in merito).
Il figlio di Antonio Montinaro ha criticato la decisione di far uscire il film “Il traditore” proprio nel giorno dell’anniversario della strage. Invece credo che sia un bel di modo di ricordare agli italiani di memoria corta cosa successe quel giorno. Vi ricordo che domenica 26 si va ad eleggere i nostri rappresentanti nel Parlamento Europeo e, in molte parti d’Italia, anche gli amministratori dei nostri territori. Non a caso “Il traditore” di Marco Bellocchio rappresenta il cinema italiano al Festival di Cannes 2019. Il film avrà un’ampia vetrina internazionale che permetterà di far conoscere un episodio della nostra storia da non dimenticare. La pellicola infatti è stata girata tra Palermo, Roma, Rio de Janeiro e Colonia (“Il traditore” è co-prodotto da Francia, Germania e Brasile). Spero di sbagliarmi, ma in Italia in tanti andranno a vedere l’ennesimo remake made in Disney di “Aladdin”. Non fatelo! Andate a vedere “Il traditore”!
Già sui social ci sono le prime polemiche, soprattutto in Sicilia che non ne possono più di vedere film sulla mafia. Io vado controcorrente e credo fermamente nell’importanza di film come questi. Specie se, come in questo caso, sono fatti bene. Dopo “Buongiorno notte” e “Vincere”, il 79enne Bellocchio torna ai suoi antichi fasti girando un’altra pellicola su eventi storici italiani da non dimenticare: dopo il sequestro Aldo Moro e l’ascesa di Mussolini, questa volta si parla di un traditore molto particolare. Voglio spiegarvi bene il perché. Iniziamo questo viaggio partendo dall’inizio.
Il film non è una cronaca della strage di Capaci, ma parla prevalentemente di Tommaso Buscetta (Pierfrancesco Favino che attualmente sta effettuando le riprese di “Hammamet” di Gianni Amelio, nei panni di Bettino Craxi), “il boss dei due mondi”. Mafioso e uomo d’onore palermitano, classe 1928, che poi divenne collaboratore di giustizia ai tempi di Falcone e Borsellino.
Il traditore del titolo però, secondo Bellocchio, non è Buscetta. Il film non vuole santificare in nessun modo il collaboratore di giustizia. In una scena madre un perfetto Pierfrancesco Favino esclama: “Io sono stato e resto un uomo d’onore. Sono loro che hanno tradito gli ideali di Cosa nostra. Io non mi considero un pentito”. Tuttavia per cultura ed educazione Buscetta rimarrà mafioso per tutta la vita.
“Il traditore” inizia dal 1980 e finisce nel 2000. Durante la festa di Santa Rosalia si celebra una pace (apparente) tra Corleonesi e i palermitani. Sembra un incrocio tra “Il padrino” di Coppola e “Il gattopardo” di Visconti. Nel mezzo ci sono 20 anni di storia italiana, 366 mandati di cattura, stragi e rese di conti infinite. C’è l’arresto in Brasile, l’estradizione di Buscetta in Italia, passando per la stima verso il giudice Falcone e gli irreali silenzi al Maxiprocesso. Il 23 maggio 1992 scoppia la bomba a Capaci e Buscetta alza il tiro facendo il nome di Andreotti negli omicidi di Dalla Chiesa e Pecorelli: sarà costretto a fuggire dall’Italia. E poi c’è un nome non citato che si riferisce chiaramente ad Aldo Moro il cui sequestro è stato raccontato da Bellocchio in “Buongiorno notte”.
Le rivelazioni di Buscetta avevano fatto luce sull’organizzazione “piramidale” di Cosa Nostra, i suoi metodi, le collusioni con lo Stato, i traffici di droga con gli italo-americani (l’inchiesta Pizza Connection). “Ho sempre preferito fottere (le donne) al potere, mentre Totò (Riina) pensava il contrario” – dice Favino in uno dei momenti più intensi. Buscetta aveva reso la mafia debole, vulnerabile e doveva essere eliminato. I Corleonesi lo volevano morto. Non rinnegò mai il suo passato di mafioso, ma voleva difendere la sua grande famigghia: 3 mogli, 8 figli e 16 tra fratelli e sorelle. L’esplosione della spirale di violenza contro numerosi membri della famiglia dell’ “infame” Buscetta, costrinse Don Masino (così lo chiamavano) a vendicarsi. Bellissima in tal senso la scena del ritorno a Palermo con una folla che in processione porta cartelli con scritto, tra le altre cose, “W la mafia che ci dà lavoro”. Intanto sui muri ci sono imprecazioni sul “connuto” Buscetta.
Bellocchio ha evitato la retorica e ogni ideologia politica. Perché il protagonista gli ha ricordato il tradimento verso tutta una società, la sua educazione cattolica. “Il tradimento può essere un atto vile, ma può invece rappresentare una separazione. È stata illuminante la lettura di Giuda di Amos Oz” – ha rivelato il regista emiliano. Bellocchio ha ragione e francamente il suo è un messaggio importante e veritiero: “nella storia tradire non è sempre un’infamia. Può essere una scelta eroica. I rivoluzionari, ribellandosi all’ingiustizia anche a costo della vita, hanno tradito chi li opprimeva e voleva tenerli in schiavitù”.
La seconda guerra di mafia, iniziata nel 1981, aveva visto lo schieramento di Totò Riina vincitore. Buscetta faceva parte dell’altro facente capo a Inzerillo, Badalamenti e Bontante. Siccome all’epoca era in Brasile, i Corleonesi se la presero con i suoi parenti, sterminando buona parte della sua famiglia (ben undici componenti). Il 23 ottobre 1983 quaranta poliziotti lo arrestarono a San Paolo, in Brasile. Nel 1984 i giudici Giovanni Falcone e Vincenzo Geraci lo invitarono a collaborare con la giustizia, ma Buscetta rifiutò. Lo Stato italiano chiese e ottenne l’estradizione alle autorità brasiliane. Buscetta provò a suicidarsi ingerendo della stricnina. Fu salvato e, quando arrivò in Italia, fu costretto a collaborare con Falcone. Poi, come ho già detto prima, la sua fu quasi una liberazione: non condivideva più quella che era la linea della nuova Cosa Nostra. La scena del film sicuramente più importante e discussa è l’ingresso di Buscetta al Maxiprocesso. Favino entra in scena sembrando più una rockstar che un uomo d’onore. Le condanne sono scandite dal crescendo musicale del “Va pensiero” di Giuseppe Verdi (una scelta che, sottilmente, ironizza sul fatto che questa musica sia usata come inno della Lega padana). Chi sta attorno a Don Masino, gli urla contro di essere un infame, un “connuto”, un traditore, mentre gli altri mafiosi sono inquadrati come “bestie feroci ingabbiate”. Sui social molti hanno criticato la scelta di Bellocchio di usare un attore non siciliano come Favino. Secondo molti natii dell’isola, la parlata non è affatto somigliante (somiglierebbe al pugliese). Perché i siciliani sentono la propria parlata stilizzata, storpiata o peggio ridicolizzata come ai tempi in cui in Italia si facevano tantissimi film (o serie tv) sulla mafia. L’attore romano se la cava bene mostrando l’orgoglio e le fragilità del Buscetta uomo, districandosi tra inglese, portoghese, italiano. Non tanto sul dialetto siciliano per una voluta scelta del regista. Ma la scelta del film è azzeccata eccome: Buscetta non si sentiva più parte di Cosa Nostra. Questo lo voglio sottolineare perché è uno dei valori aggiunti della pellicola: Bellocchio te lo fa capire, ti fa respirare il clima di ostilità, nonostante Don Masino sottolinei più volte di essere mafioso, un uomo d’onore. Un’ambiguità voluta e riuscita: il pentito sembra un personaggio shakespeariano.
Quando Buscetta entrò in aula al Maxiprocesso (oltre 200 avvocati e 475 imputati!), ci fu un silenzio totale quasi surreale. Gli uomini d’onore quando facevano silenzio, poi “parlavano con i fatti”. L’episodio è fondamentale: quando sembrava che la vera Giustizia potesse trionfare, le cose andarono nella direzione opposta. Ci fu la strage di Capaci, l’Italia perse il suo giudice più importante e incorruttibile e Buscetta fece il nome di Andreotti, alimentando di fatto nuove guerre. Falcone al Maxiprocesso disse che “aveva più paura dello Stato che della mafia”. Puntualmente dopo circa due mesi dalla strage di Capaci, infatti, il 19 luglio 1992, a Palermo in via d’Amelio fu assassinato anche l’altro incorruttibile magistrato che indagava su Cosa Nostra: Paolo Borsellino.
Le stragi continuarono. Ne sappiamo qualcosa noi fiorentini. Ricordate la celebre strage del 27 maggio 1993 in via dei Georgofili?
Pochi mesi dopo (nel mese di ottobre) il pentito Spatuzza rivelò che aveva incontrato il boss Graviano per compiere un attentato a Roma, allo Stadio Olimpico. Sempre in quell’occasione, Spatuzza rivelò che stavano prendendo campo grazie a numerosi contatti con Marcello Dell’Utri, intermediario di un certo Silvio Berlusconi. Alle politiche del 1994, Forza Italia vinse le elezioni. Tali eventi portarono alla cosiddetta trattativa Stato – mafia, che costrinse il primo a un compromesso pur di far fermare le stragi. Come raccontato e documentato nell’illuminante docu-film di Sabina Guzzanti, “La trattativa”.
Nel complesso è grande cinema italiano, giustamente in concorso a Cannes, con regia curata e ispirata, fotografia al top (con alcuni guizzi che rievocano la scelta di Vittorio Storaro di non illuminare totalmente Marlon Brando in “Apocalypse Now” per mostrare le ombre del personaggio), la sceneggiatura (a 10 mani) non ha effetti particolari, ma nemmeno cadute di stile. Menzione particolare va agli attori: quasi perfetti Fabrizio Ferracane (che fa Pippo Calò) e Nicola Calì (Riina), a cui ovviamente si aggiungono due autentici fuoriclasse come il mimetico Pierfrancesco Favino (guardate i piccoli particolari e confrontateli con i “tic” del Buscetta originale) e Luigi Lo Cascio. Quest’ultimo, palermitano, dopo aver interpretato l’indimenticabile Peppino Impastato nel memorabile film “I Cento Passi”, questa volta si cimenta nel ruolo del mafioso Totuccio Contorno. Favino effettua la performance più complessa e stratificata della sua carriera cinematografica.
Stupenda l’ultima mezz’ora che racconta tutte le contraddizioni di Buscetta che collegano questo film a “Vincere”: così come fu fatale l’amore italiano verso il fascismo (lo vediamo oggi) così è l’esser uomo d’onore per Buscetta. E quel finale magnifico, una grande zampata d’autore di Bellocchio: raggelante, elegante, inquietante che mostra che Tommaso Buscetta non era un traditore, ma un uomo d’onore in ogni senso. Ad aver tradito sicuramente non è stata solo Cosa Nostra, ma l’assenza (criminale) dello Stato italiano. I due mondi non sono l’Italia e l’America, ma Bellocchio lascia intendere che siano Stato e Cosa Nostra. Tutto non solo è doppio, ma finisce per essere addirittura triplo perché Bellocchio ci inserisce anche le immagini oniriche (il sogno ricorrente della morte di Buscetta).
Speriamo venga premiato a Cannes, sarebbe una gran cosa per lo smemorato popolo italico: un grande insegnamento per le nuove generazioni che credono che la politica sia solo occupare poltrone solo per guadagnare soldi e potere. Invece è fatta soprattutto per risolvere i problemi e cambiare le cose. La scelta di far uscire il film il 23 maggio (anniversario della strage di Capaci) è in questo senso felicissima.
Regia **** Musiche ***1/2 Interpretazioni **** Fotografia **** Sceneggiatura ***1/2 Montaggio ***1/2 Film ****
IL TRADITORE ****
(Italia, Francia, Brasile, Germania 2019)
Genere: Drammatico / Biografico
Regia: Marco Bellocchio
Sceneggiatura: Marco Bellocchio, Ludovica Rampoldi, Valia Santella, Francesco Piccolo e la collaborazione di Francesco La Licata
Cast: Pierfrancesco Favino, Bebo Storti, Luigi Lo Cascio, Fabrizio Ferracane, Nicola Calì
Fotografia: Vladan Radovanovic
Musiche: Nicola PIOVANI
Durata: 2h e 28 minuti
Produzione e distribuzione: Rai Cinema e 01 Distribution
Uscita: 23 Maggio 2019
Unico film italiano in concorso al 72° Festival di Cannes
Trailer qui
La frase cult: Non mi fraintenda, ma ho più paura dello Stato che della mafia (Giovanni Falcone)
Immagine da www.spettacolomania.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.